Il De Occulta philosophia commentato dall’esoterista neo-pitagorico
Arturo Reghini è stato un punto di riferimento della tradizione esoterica primo-novecentesca. È noto che diresse e collaborò a numerosi e vivaci periodici dell’epoca e che fu in contatto con esponenti del tradizionalismo romano, non ultimo Julius Evola, con il quale giunse, dopo un periodo di collaborazione, alla definitiva rottura. Momento rilevante, nell’elaborazione del suo sistema speculativo-operativo, è rappresentato dal confronto con l’opera di Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535). La nostra affermazione trova conferma in un volume di recente pubblicazione, Agrippa e la sua magia secondo Arturo Reghini, comparsa nel catalogo delle Edizioni Aurora Boreale, per la cura di Nicola Bizzi, Lorenzo di Chiara e Luca Valentini (per ordini: edizioniauroraboreale@gmail.com, pp. 327, euro 20,00). Il libro contiene tre saggi contestualizzanti dei curatori, lo scritto di Reghini inerente l’opera di Agrippa, la biografia del neo-pitagorico vergata dal discepolo, Giulio Parise, nonché un’ampia bibliografia.
A Nicola Bizzi si deve uno scritto ricostruttivo, che esalta la funzione svolta dall’esoterista italiano nel contesto storico in cui si trovò ad agire. Azione centrata la sua, su una pars destruens, la critica del: «modello di Massoneria post-illuministico» (p. 55), e su una pars construens, la riattualizzazione della Massoneria iniziatica e dei suoi riti. Bizzi ricostruisce in modalità organica l’iter intellettuale-realizzativo reghiniano, intervallando dati biografici e discussione dei plessi teorico-operativi più rilevanti della visione del mondo del pensatore-matematico. Da queste analisi si evince l’importanza che l’opera di Agrippa ebbe sul Nostro. Il mago di Nettesheim corresse, come opportunamente ricorda nel suo scritto Di Chiara, in senso prassista, la pur grandiosa visione del mondo neoplatonica di Ficino e di Pico. L’opera maggiore di Agrippa, il De occulta philosophia, non può essere derubricata ad esempio di enciclopedismo erudito rinascimentale. Nell’ultima edizione del 1533, frutto di accorta e ampia revisione testuale: «si fa più forte la necessità […] di procedere ad una radicale opera di purificazione e di restaurazione del corpo di insegnamenti magici legati all’antica sapienza teurgica» (p. 9). Essi, infatti, stavano correndo il rischio di cadere nell’oblio, oscurati dai rivestimenti intellettualistico-secolari, che la visione moderna stava loro imponendo.
Il compito che Agrippa si pose è il medesimo che, nel Novecento, si porrà Reghini: vivificare l’antico sapere magico-ermetico. Allo scopo, la frequenza di Tritemio, che lo stimolò allo studio della tradizione esoterica, risultò assai proficua. Tritemio, e sulla cosa concordano i più noti biografi di Agrippa, fu Maestro di quest’ultimo, avendolo incontrato in un periodo nel quale questi usciva da esperienze vissute in circoli iniziatici, che non si erano rivelate del tutto positive. Tra il 1510 e il 1533, Agrippa consolida il proprio patrimonio ideale, le proprie esperienze lungo la Via trasmutativa. Pertanto, con l’edizione del 1533 si realizza: «una vera e propria sistematizzazione degli insegnamenti magici ed esoterici disponibili all’epoca» (p. 10). Lo studioso riuscì a tanto, grazie alla protezione dell’Arcivescovo di Colonia, Hermann Von Wied. Nel De Occulta si evincono disparate influenze, dedotte dalle traduzioni ficiniane dei testi ermetici, misterici, teurgici e pitagorici, ma anche riferibili a Pico. Evidenti sono i richiami al De Verbo Mirifico di Reuchlin o a studiosi quali Paolo Ricci e il francescano Francesco Giorgio Veneto: «Ampio credito riscuoteva infine la grande tradizione di magia naturale medievale che dal maestro Alberto Magno passava per […] Ruggero Bacone» (p. 15).
L’opera di Agrippa è organizzata in tre libri. Il primo si occupa del livello più basso della magia, legato alla dimensione naturale. Il secondo discute la cosiddetta magia astrale, ovvero è una trattazione della sfera intermedia e celeste. Infine, il terzo libro tratta di quel tipo di magia che: «investiga il piano sovra celeste e prettamente intellettuale […] connesso al regno delle essenze eterne» (p. 16). L’universo agrippiano è retto da una serie di corrispondenze interne, il livello inferiore, mantiene un rapporto simpatetico e analogico con quello superiore, e viceversa. Il cosmo è animato, vivente. Per tale ragione, ogni ente non può essere conosciuto attraverso i suoi aspetti di superficie, fermandosi alla modalità esteriore, apparente: «giacché esistono molteplici livelli di conoscenza di uno stesso essere» (p. 17). Del resto se l’inferiore è sorto dal processo emanazionista, che conduce dall’Uno ai molti, nulla vieta di pensare una possibile conversione epistrofica, una “risalita” degli enti all’Uno: «E’ il principio dell’anima mundi che in Agrippa fonda tanto la veduta speculativa, quanto l’applicazione magico-operativa della dottrina» (p. 17). Il cosmo è, quindi, imago Dei, mentre l’uomo è considerato da Agrippa, in quanto microcosmo, “immagine di una immagine”, imago mundi.
Mago è l’uomo che sa attirare a sé forze dall’alto, per servirsene allo scopo di “sgrezzare la pietra” e trasmutarla nella sua reale natura divina: «Alla base di tale ideale, vi è l’intima persuasione […] circa il carattere o dignità integrale […] congenita all’uomo» (p. 25). Il mago riunifica i tre livelli del reale in una potente operazione di reintegrazione. Coglie nel segno Valentini, individuando nella dea Hecate, che nel mondo greco-romano ebbe funzioni psicopompe, la simbolizzazione di una funzione essenziale: unire i tre mondi del Cosmo. La dea era rappresentata con un volto infero, un cane, indicante la realtà ctonia, un volto terrestre, rappresentato da un cavallo, animale vitale per antonomasia. Infine, un volto celeste, quello di un serpente, forza dei primordi, che ha alchimicamente sublimato la caducità e la transitorietà dei primi due mondi indicando: «la rigenerazione finale di Ecate triforme […] che cambia la propria pelle, che da strisciante nella melma diviene lo Djed egizio […] il cobra eretto» (p. 32). Tripartizione rintracciabile, lo fa rilevare Valentini, anche nell’Ermetismo.
In tale tradizione, il mondo elementale, campo d’azione del filosofo naturale, è dato dal Sale, la cui realizzazione si ottiene con il Separando Lunare, che induce una prima autonomia dalla fisicità. Il mondo siderale è alchimicamente assimilabile al Mercurio, la cui Opera al Bianco getta le premesse per il superamento del tellurico. Alla fine del percorso l’assimilazione con il mondo intellettuale, associabile allo Zolfo e all’Opera al Rosso, testimonia la trasmutazione nell’Oro. Detto ciò, si comprende che il commento reghiniano ad Agrippa è in realtà un trattato teorico-realizzativo sull’ Opus Magicum.
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