Come tutti ben sappiamo l’elemento geografico che accomuna l’Etiopia e l’Egitto è il Nilo, il quale è il più lungo e il più importante dei fiumi Africani e il primo al mondo per la lunga distanza dalle sorgenti, circa 3800 chilometri.
Il suo bacino è inferiore a quello di molti altri fiumi. Ha una doppia origine: un ramo è il Nilo Bianco che trae alimento dalla regione climatica in cui scorre, la quale ha abbondanti piogge distribuite sopratutto in due stagioni dell’anno. Il suo corso superiore, che si origina negli altipiani dell’alta Africa, ha vastissimi bacini lacustri seguiti da una zona paludosa che conferisce il colore lattiginoso da cui prende appunto il nome di Nilo Bianco. In questo tratto il Nilo riceve a destra l’affluente Sobat, quest’ultimo ha una portata quasi uguale a quella del Nilo e drena con il suo complesso sistema di affluenti le pendici occidentali etiopiche.
Le perdite subite nella zona paludosa del Bahr el Gazzal e la mancanza di affluenti in questa zona comprometterebbero l’esistenza del fiume nel lunghissimo tratto del medio e del basso corso se a Karthum non ricevesse da destra il ricco tributo del Nilo Azzurro o Abbai, il quale nasce dai monti dell’Agaumede. Dopo di che il Nilo scorre senza affluenti fino ad arrivare in Egitto.
Nel quarto secolo il paese di Kush a est del Nilo tra la quinta e la sesta cataratta era composto da alcune piccole città come Naga le quali insieme alla città reale di Meroe erano attivi centri di commercio con l’Egitto , il mar Rosso e l’ Africa; le merci di scambio erano varie come avorio, oro, pietre preziose, elefanti e altro. Le vie carovaniere erano indirizzate anche verso l’ oriente. Tutto ciò contribuiva con grande importanza all’attività industriale della città.
Le origini dell’insediamento a Meroe risalgono al VI sec. a.C. quando più a nord di Napata sulla curva del Nilo ai piedi di Djbel-barkal i principi nubiani gettarono le basi di un grande impero cuscita che andò a dominare l’Egitto proprio con la presa di Tebe tramite gli Assiri nel 633 a.C. Nel sesto secolo Meroe diventa il centro politico del regno che si darà il nome di Kush il quale è designato come Nubia.
Le ricerche archeologiche mostrano che occupava una vasta porzione di territorio nella zona nubiana. I palazzi, i templi, le piramidi furono costruite in un tempo lungo e possiamo notare come i templi sono stati dedicati agli dei egiziani Amon e Iside e al dio Nubiano Apedemak. I rilievi sono in gran parte usati per decorare i muri di questi edifici e rappresentano statue di grandi dimensioni. Essi offrono una caratteristica dell’arte meroitica originale anche se ancora fortemente impregnata dell’influenza dell’Egitto faraonico. Anche le piramidi furono costruite in pietra come ad esempio a Napata. Non solo nell’arte ma anche negli oggetti di uso quotidiano e di bigiotteria si riscontrano questi contatti con l’Egitto.
Possediamo poche informazioni sugli ultimi secoli di Meroe dal I al III secolo; la sua potenza scese gradatamente e il commercio sul quale si basava l’economia precipita con le vie carovaniere.
L’archeologia infatti constata che a partire dal II secolo le piramidi si rimpiccioliscono e vengano rimpiazzate da semplici dispositivi funerari. Dentro le tombe gli articoli d’ importazione sono sempre di minor numero. Questa penuria attesta che Meroe poco a poco riduce le sue relazioni con il mondo esterno e aumentano anche le incursioni come i popoli Noba, i quali sembra che nel IV secolo si appropriarono del regno di Kush.
Contatti fra l’Egitto e l’Africa a sud di Meroe
Purtroppo le ricerche archeologiche non hanno dato risultati evidenti dei contatti fra l’Egitto e l’Africa a sud di Meroe. Perciò le teorie esposte più avanti sono basate su delle ipotesi e devono essere considerate come una prima evidenza dando loro il giusto peso.
Pochi anni fa si è parlato della scoperta di oggetti egiziani nel cuore del continente africano: statuette di Osiride datate a partire dal XVII sec. trovate nello Zaire sulla banchina del fiume Lualaba, vicino alla confluenza del Kalmengongo; statuette inscritte con le cartucce di Thutmosi III (1490-1468) trovate a sud dello Zambesi. Non avendo riscontri oggettivi possiamo asserire che nei tempi antichi non esistevano relazioni tangibili tra l’Egitto e il resto dell’Africa del sud. Abbiamo però influenze di tipo simbolico come quelle mostrateci da E. Meyerowitz, la quale ci illustra come gli Acan hanno adottato l’avvoltoio come simbolo della loro creazione e questa è una prova dell’influenza egiziana. Un altro esempio è il culto del serpente, infatti anch’esso fu in un primo tempo riconosciuto di origine egiziana nonostante la segretezza dei loro culti.
La civiltà egiziana si è sicuramente sviluppata in modo autonomo e distaccato dalle altre popolazioni limitrofe o periferiche pur facendo parte del medesimo bacino geografico, creando così una discrepanza cronologica e tecnologica fra le parti. In Africa lo sviluppo si trova solo in alcune parti mentre la cultura Egiziana è itinerante da est verso sud. Culturalmente l’Egitto faraonico e quindi il nord è totalmente estraneo ai suoi popoli vicini, infatti secondo teorie antropologiche esistono profonde differenze tra la vita degli egiziani e quella dei loro vicini.
È importante considerare le ragioni per cui era adoperata una certa scrittura e c’erano alcuni elementi di coesione culturale e sociale nella valle del Nilo. Le risposte a ciò sono molteplici per esempio di tipo biologiche naturali o spirituali o politiche sociali.
Il simposio del Cairo nel 1974 ammise che la cultura e l’etnia egizia durò 3000 anni con i faraoni come Re. La parte sottostante della valle del Nilo era stata popolata per trenta secoli tramite infiltrazioni o migrazioni dalle varie periferie. Quindi vivevano a stretto contatto con le frontiere dell’Egitto, anche perchè la valle del Nilo provvedeva a dare uomini e cibo al faraone. Salvo questo legame altri sono riscontrabili solo nella classe sociale più alta o sottoforma di tributi alla civiltà egizia in segno di sottomissione. Di conseguenza le affinità sono dettate dalla dittatura egizia.
Tutto ciò porta alla conclusione che la civiltà egizia con grossa probabilità ha influenzato la civiltà Africana, anche se gli elementi di unione sono poco riconosciuti e il contatto non è reciproco e dura circa 5000 anni in modo discontinuo; sarebbe interessante sapere quando inizia e come si evolve in modo preciso.
Un altro quesito è il modo in cui i testi e la tecnologia riuscivano a circolare. La risposta è sicuramente generica dato che i modi di trasmissione possono essere molteplici, nessuno escluso. L’Africa conosce direttamente o indirettamente gli egiziani e come già detto abbiamo poche prove al riguardo, mentre sono ben documentati i meccanismi fra gli Egizi e le popolazioni Cuscitiche e Libiche. I contatti tra l’Egitto e l’Africa sono anche resi più difficoltosi dalle cause naturali come l’alto Nilo e il deserto del Sahara. Un altro fattore di uguale importanza era la sofisticata organizzazione politica e militare, la quale ha un creato un impero egemone simile a quello degli Assiri o quello degli Ittiti. Così era assicurato un territorio integro con un grosso potere di controllo sulle entrate e le uscite di ogni genere. La popolazione era distribuita in modo non uniforme: infatti c’erano zone impopolate e zone ad alta densità, nelle coste del mar Rosso, nell’Africa centrale e lungo la valle del Nilo. Comunque anche il deserto era parzialmente abitato, sopratutto nelle oasi di proprietà egizia.
Alcuni documenti ci indicano conquiste soprattutto nel periodo del nuovo regno con la Nubia e con il paese di Punt. Si espansero anche dopo il terzo periodo intermedio e durante il domino persiano l’Egitto riuscì ugualmente ad avere contatti con il mar Rosso. Ulteriore prova di tali avvenimenti si ritrova anche nei toponimi africani di origine egizia. Le relazioni con le varie regioni dell’Africa nella loro peculiarità vengono comunque mantenute fino alla fine del nuovo regno.
Con il nome di Etiopia erano designate dagli Egizi e dagli altri popoli mediterranei le terre poste a sud della terza cataratta del Nilo; Etiopi erano di conseguenza sia gli abitanti del paese di Kush sia quelli dell’odierno Sudan orientale sia quelli dell’altopiano etiopico. Tuttavia erano note le differenze di razza e di civiltà dei vari popoli; si sapeva che esistevano “paesi e popoli diversi abitati da Africani e da orientali” (Omero) e che le genti presentavano tipici caratteri Etiopidi, secondo Erodoto uomini dai capelli crespi. Già ai tempi di Salomone esistevano scambi commerciali con le genti stanziate sull’altopiano etiopico, scambi mediati dai Sabei, e l’Egitto per di più aveva collocato gli scali lungo tutte le coste dell’Eritrea e della Somalia attuali.
Rapporti di tipo archeologico
Per quanto riguarda i rapporti archeologico veri e propri fra l’Etiopia e l’Egitto, non avendo a disposizione elementi che ci permettono di avere una visione generale di tali influenze, ci dirigiamo nel particolare e come esempio prendiamo di seguito due reperti simbolici per queste due civiltà: la sfinge per quanto riguarda il periodo pre-Axumita in Etiopia e le stele per quanto concerne il periodo Axumita.
Le sfingi
Tagliate nella roccia e modellate nella terra questi animali sono numerosi ad Hawlti, sicuramente usati come ex-voto, inoltre nell’ambito dell’archeologia pre-axumita un posto particolare viene riservato alle sfingi.
Esse sono di dimensioni ridotte . La più antica è stata trovata in Eritrea ed è stata circa 40 anni in un sito dell’ Akkeleè- Gouzay ad est di Kakasè. Questo sito non è mai stato oggetto di ricerche metodiche; venne infatti scoperto dagli abitanti del luogo e la sfinge venne chiamata Addi- keramateu. L’oggetto in questione è in pietra e misura 24 cm di altezza, il collo è adornato con un doppio collier di pendenti e i capelli sono acconciati con delle trecce. Il trattamento del viso richiama le statue di Hawalti e di Addi – Gelemo, un listello inquadra gli occhi sporgenti. È conservata al museo di Asmara insieme ad un leone acefalo proveniente anch’esso dall’Eritrea.
È superfluo ricordare come le sfingi siano un emblema della tradizione orientale abbondantemente illustrata con queste figure ibride. Sempre in Eritrea nel sito di Feqya, qualche km a sud di Matara vi è una sfinge di pietra calcarea situata oggi al museo di Addis-Abeba lunga 98 cm e larga 46 cm. La parte superiore è avvallata quasi a formare una specie di vasca poco profonda sicuramente adibita a contenere i liquidi sacrificali. Ad una estremità di tale contenitore vi sono due protomi di sfinge simmetriche. Reperti simili sono stati ritrovati presso santuari all’aperto. Sono anche visibili iscrizioni a rilievo sui due grossi blocchi di pietra che riportano una dedica alla divinità Dhatyham. Tutti questi dati appartengono logicamente al periodo pre-axumita.
Caratteristiche delle stele etiopiche ed eventuali diversità dagli obelischi egizi
Le stele funerarie sono molto usate nella cultura axumita e ciò è ampiamente confermato dalla presenza di megaliti nel nord Etiopia. Oggi conosciamo i seguenti tipi di monoliti:
1) non intagliate, allungate di pietra piatta in alcune occasioni con disegni irregolari alla cima e coprono normalmente dai tre ai cnque metri di altezza;
2) con disegni lisci intorno alla zona della base a sezione quadrata, aventi altezza variabile dai metri 1,60 a metri 9,50;
3) con lastre intagliate, ma con basi lisce a sezione rettangolare e incisioni sui lati rotondi dell’apice. Superavano i ventuno metri di altezza.
I monoliti sono orientati tutti verso sud-est, alcuni hanno tavole da offerte munite spesso di piccoli bacini su piccole basi per le offerte e ornamenti vegetali. Essi sono venuti alla luce scavando nei siti dove venivano erette: si tagliavano nella roccia e si innalzavano tramite un sistema complesso di tronchi di legno. In questo espediente la vicinanza con le tecniche egizie è notevole la quale ha sicuramente influenzato le idee axumite.
Le stele sono maggiormente localizzate nella regione del Tigrai nei siti di Addi-dahno, Gijorgis, Axum, Henzam, ‘Anza. Pochi monoliti sono stati trovati a Matara e sono decorati con il disco del sole e della luna crescente all’apice , mentre di fronte hanno iscrizione paleo-Etiopiche. Nelle stele di Rora Laba ci sono invece figure di leoni che mangiano bovini. Le stele axumite sono originali come monumenti religiosi.
Studiosi come Poncet nel 1709, Bruce nel 1790, Salt nel 1814 li paragonavano agli obelischi egiziani o anche alle stele semite in genere. Krencker e Chittick confermano suggestive ipotesi di un uso funerario. Questi monoliti risalgono alla prima parte del periodo Axumita. Le iscrizioni delle stele di Matara e ‘Anza sono precedenti del Re ‘Ezana, come si può notare dalle evidenze paleografiche. La stele di Gudit è databile al terzo quarto secolo sulla base di qualche bicchiere di vetro egiziano trovato in una tomba di questa area. Da notare anche come le false porte di questi monoliti sono simili a quelle degli altari votivi di Cartagine e riflettono quindi l’uso delle stele funerarie del nord dell’ Etiopia e del sud Arabia. Questi legami sono, lo ricordiamo, solo ipotetici ed infatti esistono dei fattori elencati da Fattovich che provano la loro confutabilità:
1 la differenza concettuale delle stele con i nephesh: questi hanno infatti una valenza solo simbolica;
2 le stele funerarie non sono introdotte nel nord Etiopia dalle popolazioni dell’Arabia del sud durante il periodo pre-axumita;
3 i megaliti funerari non sono arrivati nel nord etiopia dalla penisola araba data la loro assenza nella cultura pre-islamica.
Le stele Egiziane hanno comunque una differenza sostanziale nel loro bagaglio culturale, infatti vennero usate fino al periodo proto dinastico e uno dei primi obelischi risale alla prima o alla seconda dinastia.
L’obelisco è comunque il monumento peculiare dell’Egitto, modellato sia in legno sia nell’ abbondante materiale litico: l’arenaria , il calcare e il granito. Se erano impiegati per un uso funerario misuravano pochi centimetri di altezza e portavano incisi i nomi dei personaggi defunti nell’antico regno.
In un primo tempo le stele erano dedicate solo ai nobili mentre in epoca più tarda divennero di uso comune. L’ altezza poteva raggiungere decine di metri con centinaia di tonnellate di peso nei monoliti di granito rosa eretti esclusivamente da re o regine nei templi alle divinità. Come si può dedurre gli obelischi etiopici sono più recenti di quelli egizi e come già detto essi abbondano nella regione attorno ad Axum e ad Axum stessa.
Sono grandiosi monoliti naturali di forma allungata appiattita e appuntita e alla civiltà etiopica spetta la costruzione e l’erezione di monoliti di altezza persino superiore a quelli egizia a sezione quadrangolare o rettangolare che finiscono con un estremità arrotondata o a forma di conchiglia, con facce non lisce sulle quali viene inciso il motivo della facciata di un edificio a più piani. Di tali monoliti è stato accertato l’uso funerario.
In Egitto la stele cominciò ad essere usata come monumento funerario durante il periodo arcaico, sotto le prime dinastie e il suo uso non fu poi abbandonato.
Fin dai tempi più antichi si distinsero due tipi di stele: una originaria dell’alto Egitto, arcuata nella parte superiore, l’altra originaria del basso Egitto, di forma rettangolare e terminante con una cornice. Il secondo tipo fu il più diffuso fino al Medio regno quando prevalse quello incurvato nella lunetta superiore; in quest’ultimo, inoltre, erano rappresentate varie figure con delle iscrizioni nella parte inferiore.
La stele di tipo rettangolare restò legata esclusivamente all’uso funerario mentre la stele arcuata venne adottata con uno scopo commemorativo di fatti storici e delle imprese dei faraoni. Nelle stele funerarie i basso rilievi rappresentano dei banchetti funebri in cui il defunto appare solo o con la famiglia e le iscrizioni si riferiscono alla vita del defunto.
Gli esemplari di stele ritrovati in Egitto sono molto numerose con grande varietà di dimensioni e materiali, la più famosa sicuramente la stele di Rosetta.
Da ultimo una veloce descrizione delle stele di Axoum. Queste ultime sono molteplici e sparse nei campi ai confini delle località o in ambito domestico. Oltre alle classiche stele per uso funerario ne esistevano anche alcune dette giganti.
Il gruppo di sette elementi trovato nel sito di Majj-Hedja offre caratteristiche particolari: il loro decoro architettonico è in alcune parti come in origine perciò intatto anche se alcune erano riverse a terra.
Una di loro, e precisamente la settima, venne portata a Roma al teatro di Caracalla.
Sei di queste stele imitano un’architettura a piani multipli: la più grande, di circa trenta metri di altezza, ha nove piani sulle sue facciata e il suo peso è di circa sei tonnellate. Prendendo in esame due delle stele sopra menzionate possiamo così descriverle: hanno porte, finestre, travetti perfettamente scolpiti in una pietra dura che raffigurano un insigne dimora. Il significato di tale architettura ci sfugge e non può essere spiegata con altre prove archeologiche.
L’altra stele porta l’immagine di un capitello ionico a volute sopra il quale su entrambi i lati vi è una rappresentazione emblematica e schematica di una casa. Infine una lastra di pietra con una cavità cilindrica per offerte propiziatorie è stata disposta alla base di alcuni monoliti.
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Bibliografia essenziale:
W.V.Davies, Egypt and Africa, Nubia from preistory to Islam, London 1991.
A.Badawy, Gazzette des beaux arts, Colossali monoliti Egiziani come e perchè venivano eretti, Paris 1987.
Haggai Erlich , The cross and the river, London 1987.
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