La popolazione nordica della Grecia antica

Prassitele, Afrodite Cnidia. Glyptothek, Monaco (Germania).
Prassitele, Afrodite Cnidia. Glyptothek, Monaco (Germania).

La storia greca può essere interpretata come lo scontro fra lo spirito delle classi dominanti nordiche e quello delle classi aliene sottomesse. In un popolo composito, fatto di dominatori e di dominati, in nessuna parte la composizione razziale degli uni e degli altri è tanto ovvia come fra gli spartani. La popolazione di Sparta era divisa in tre classi rigidamente separate: la classe superiore era quella dei signori dorici, i nordici spartiati; la seconda era composta anch’essa da uomini liberi, i perieci, soggetti al servizio militare e alla tassazione, che erano i discendenti degli achei predorici ma ancora prevalentemente nordici; la terza erano gli iloti, già precedentemente sottomessi dagli achei, e nella loro maggior parte servi di razza occidentale. Ogni famiglia spartiata aveva ricevuto una proprietà terriera che non poteva essere alienata – anche la parola tedesca Adel [nobiltà] è collegata a una radice che indica proprietà terriera. Lo stato spartano si conservava essenzialmente per mezzo della rigida disciplina guerriera nordica, alla quale erano sottomessi tutti i cittadini liberi durante tutta la loro vita. Attraverso regole eugenetiche – di igiene razziale – gli spartani facevano il possibile per mantenere forte la classe dirigente nordica; mentre nel contempo non si permetteva alla classe degli iloti di essere troppo prolifica. Brasida vedeva chiaramente quanto una classe dirigente potesse essere assediata e minacciata da una classe sottomessa razzialmente aliena: “Siamo in pochi in mezzo a tanti nemici”.

Di conseguenza, c’era la proibizione dell’emigrazione e c’erano multe per i celibi e premi per le famiglie numerose. Chi avesse quattro figli o più, non doveva pagare tasse (una misura che è stata proposta anche dai moderna ricercatori dell’eugenetica). Ma anche i bambini delle classi superiori erano soggetti a una rigida selezione: gli anziani decidevano se un bambino appena nato doveva essere allevato: se era debole o deforme, veniva esposto. “Era meglio sia per il bambino che per lo stato che egli non vivesse, se non era forte e di figura armoniosa”.

religiosita-indoeuropeaQuesto ce lo dice Plutarco, il quale aggiunge che gli spartani furono i primi a cercare di migliorare, per mezzo della selezione, non soltanto i cani e i cavalli ma anche gli uomini; impedendo la riproduzione incontrollata degli idioti, dei malati e dei deboli. E il giudizio di Senofonte era: “È facile vedere come per mezzo di queste misure si potè produrre un popolo di prima qualità, forte, possente. Difficilmente si potrà trovare un popolo più sano e sveglio di quelle spartano”.

La bellezza delle donne spartane era proverbiale, mentre la loro salute e il loro autocontrollo erano le qualità più stimate. Bacchilide (quinto secolo a.C.) le cantò definendole bionde.

Hans Friedrich Karl Günther, Tipologia razziale dell’Europa

Le idee eugenetiche contenute nelle leggi di Licurgo non poterono se non indebolirsi a seconda che la mentalità arcaica veniva aggredita da dottrine ‘illuministiche’ che enfatizzavano l’unicità del singolo (individualismo) di contro alla collocazione del medesimo all’interno della comunità e nella successione delle generazioni passate e future – punto di vista adesso stigmatizzato come ‘fuori moda’. Già ai tempi di Platone a Sparta la denordizzazione e la degenerazione – i due invariabili araldi della decadenza – erano in uno stadio avanzato. Agide III (244 – 240 a.C.) cercò, senza riuscirvi, di rimettere in piedi i costumi sanciti dalle leggi di Licurgo, dando anche buoni consigli e un personale esempio di semplicità di vita: ma per Sparta la libertà era divenuta libertinaggio, e Agide venne ben presto condannato a morte. Anche il buddhismo, nell’India antica, aveva messo l’accento sul singolo, sganciandolo dalla comunità popolare. Tutti i fenomeni di decadenza di nazioni basate sulla cultura nordica furono innescati da idee ‘illuministiche’ e ‘individualiste’. L’Atene della decadenza lo dimostra in modo ancora più evidente di Sparta nei suoi tempi di illuminismo sofistico, con il suo individualismo potenziato al massimo.

La composizione razziale dello stato ateniese, che prima fu una monarchia e poi una oligarchia aristocratica, è meno ovvia che a Sparta, ma anch’essa perfettamente documentabile. Anche ad Atene, come a Sparta, araldo della decadenza fu l’inaridimento del sangue nordico. Non appena in uno stato basato su stratificazioni razziali la categoria sociale smette di dipendere dalla qualità razziale per passare a dipendere dal censo, la strada è aperta agli incroci. Gli arricchiti di razza non-nordica divennero sempre più potenti nella cosa pubblica; la classe dei nobili e dei contadini liberi, proprietari della terra, perse il suo potere politico. Inoltre si assottigliò con le guerre, che venivano combattute soltanto dai liberi, e con le lotte intestine per il potere, tanto tipiche delle classi dominanti nordiche, per poi finire con l’accettare i matrimoni misti, che sono il mezzo più rapido per cancellare ogni frontiera razziale. La costituzione ateniese di Solone (549 a.C.), che originalmente si era orientata verso il possedimento terriero, si orienta in seguito verso il possedimento del denaro; questo è un indicatore di cambiamenti razziali. L’insorgere di tiranni, che si appoggiavano al “popolo” (demos) – Pisistrato, per esempio, si appoggiò agli abitanti della costa, che vivevano di commercio, e ai più poveri fra quelli delle montagne; ambedue, probabilmente, componenti non-nordiche della popolazione – sono un indicatore di una avanzata condizione di rovesciamento delle proporzioni razziali. Seguirono le condanne a morte di dirigenti politici nobiliari, cioè l’eliminazione dei più arditi esponenti delle classi superiori nordiche, e l’esilio dei cittadini migliori, il che significava un montante potere in mano a una massa che vedeva in ogni grande uomo una disgrazia pubblica.

platone-custode-della-vitaLe guerre contro i persiani e, più ancora, le lotte fratricide fra Elleni dovettero portare a una rapida diminuzione numerica nelle classi superiori, dalle quali provenivano i guerrieri. “Sia la gloria che la decadenza di Atene si può spiegare con riferimento alla composizione della sua cittadinanza, che non fu mai di più di 30000 anime. Gli ateniesi, durante la guerra del Peloponneso soltanto nella loro spedizione in Sicilia persero 60000 uomini, dei quali naturalmente non tutti erano cittadini a pieno diritto. Dopo la battaglia di Cheronea si dovette dare la piena cittadinanza a 20000 non-cittadini; e così il demos ateniese perse il suo carattere nobiliare. Qui vale la pena di ricordare quel famoso passaggio del discorso che l’eupatride Licurgo pronunciò contro Leocrate, nel quale egli si pronuncia contro l’estensione del diritto di cittadinanza anche dopo la situazione di emergenza che si diede dopo la battaglia di Cheronea, descrivendola come la più grande disgrazia che sia toccata allo stato, e dicendo che fino ad allora il più grande orgoglio del popolo ateniese era stato quello di avere un’origine contadina pura. Atene decadde per mancanza di ateniesi; e quel che rimase della sua gloria fu qualcosa come la luce di quei pianeti che da un pezzo si sono spenti”.

Atene decadde allo stesso ritmo con cui il sangue della sua classe dirigente nordica si prosciugò. Ancora durante i tempi della predominanza ‘popolare’ insorse, dal sangue dell’alta nobiltà, il grande Platone (427 – 347 a.C.), che percepì la fine: nella sua opera Le Leggi egli propone dei piani di costituzione improntati ad una straordinaria comprensione per l’eugenetica (igiene razziale); piani che erano diretti a mantenere e a salvare Atene, alla quale si sarebbero volute trasferire le cure eugenetiche della Sparta dei primi tempi – ma era troppo tardi. Le guerre civili e internazionali avevano intaccato in profondità le classi nordiche. “Sembra poi che la malaria abbia avuto un importante effetto, in quanto la razza nordica è meno resistente a questa malattie che i meridionali scuri”.

Tempio di Poseidon. Paestum.

Sotto queste circostanze, si fece avanti anche il cambiamento delle idee etiche. “Ma il vero e proprio colpo di grazia gli Elleni lo ricevettero dalla diminuzione intenzionale delle nascite, la quale, come è il caso anche adesso presso di noi, colpì principalmente le classi superiori. Come dice Polibio in un suo conosciuto passaggio, gli Elleni del suo tempo non volevano più sposarsi, e quando lo facevano avevano pochissimi figli. C’erano diversi metodi di contraccezione in uso, e gli aborti volontari erano frequenti. L’amore omosessuale, che già ai tempi di Piatone non era visto come qualcosa di ripugnante, godeva di grande popolarità anche perché non era adatto alla riproduzione. Anche l’ideale dell’etera, cioè della donna interamente libera che concedeva i suoi favori a un uomo solo perché le piaceva e senza alcun legame sancito da matrimonio, ebbe la sua origine, in parte, dal poco interesse per la procreazione. Uno scritto sul monumento a Lais da un’idea di quanto queste cose abbiano contribuito al collasso della grecità: “Ellade, un tempo indomita e feconda di eroi, fu sottomessa dalla divina bellezza di Lais. Tutte queste circostanze cooperarono per fare sì che, per esempio, la casta guerriera degli spartiati, che al tempo delle guerre persiane poteva ancora mandare a combattere 8000 uomini, alla battaglia di Leuttra ne contasse 2000 e nel 230 a. C. soltanto 700“.

Il sangue non-nordico riaffiora chiaramente in tutta la Grecia: Dicearco (II secolo a. C.) ci descrive le classi più ignoranti di Atene, gli “attici”, come “chiacchieroni curiosi”, di contro alla classe superiore, gli “ateniesi”, che erano ”magnanimi, cortesi e retti nella loro amicizia”. Per questi ultimi fare gesti troppo palesi con le mani era segno di diseducazione. Perfino gli oratori dovevano essere tanto parchi nei loro gesti da non mettere in disordine le pieghe del loro vestiario; e questo era qualcosa di incomprensibile per genti di razza occidentale.

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Brani tratti da Tipologia razziale dell’Europa, Ghénos, Ferrara 2003.

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Hans Friedrich Karl Günther (Friburgo in Brisgovia, 16 febbraio 1891 – Friburgo in Brisgovia, 25 settembre 1968) è stato un antropologo tedesco. Fu un esponente di spicco della teoria della razza e grande sostenitore dell'eugenetica. Tra le sue opere maggiori si ricordano Rassenkunde des deutschen Volkes (1922), Rassenkunde Europas (1924), Adel und Rasse (1926), Rassengeschichte des hellenischen und des römischen Volkes (1929), Die nordische Rasse bei den Indogermanen Asiens (1934), Frömmigkeit nordischer Artung (1934), Herkunft und Rassengeschichte der Germanen (1935), Formen und Urgeschichte der Ehe (1940), Das Bauerntum als Lebens- und Gemeinschaftsform (1941), Platon als Hüter des Lebens (1966).

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