Spartaco Pupo, docente di Storia della dottrine politiche presso l’Università della Calabria, è uno dei più rappresentativi intellettuali conservatori italiani. Eminente studioso di Hume, del quale ha sviluppato un’organica, puntuale e non “censurante” esegesi del pensiero politico. Negli anni Settanta, infatti, nelle curatele italiane dell’opera dell’empirista fu sottaciuto o sminuito il suo apporto al pensiero conservatore. Pupo non è, sic et simpliciter, un erudito chiuso nella turris eburnea, ma è aduso confrontarsi, con coraggio, con le problematiche del nostro tempo. Lo mostra, in modalità esemplare, una sua recente pubblicazione, Oicofobia. Il ripudio della nazione nelle librerie per i tipi di Eclettica (per ordini: info@ecletticaedizioni.com, pp. 183, euro 16,00).
Si tratta di un testo snello, coinvolgente, ricco di riferimenti teorici. L’oggetto di indagine è una tendenza assai diffusa nella post-modernità, non solo in Italia, l’oicofobia: espressione indicante il rifiuto dell’appartenenza culturale, il disancoraggio dalle consuetudini e tradizioni nazionali, l’abbandono frettoloso della “casa” in cui si è nati, il dileggio della storia nazionale. Punto limite di tale tendenza, propagandata dai ceti urbani borghesi ed “intellettualmente corretti” è rappresentato dalla Cancel culture che: «travolge personaggi famosi e fatti storici con la richiesta della loro “rimozione dai luoghi pubblici […] e perfino dai libri scolastici» (p. 7). Si tratta di un vero ostracismo di ritorno, che rende coloro che nel presente o nel passato siano ritenuti dai “chierici” di potere “non conformi” al pensiero Unico, dei “sottouomini” da marginalizzare. Che lo spirito del tempo sia connotato in tal senso lo mostra, rileva Pupo, il documento «Union of Equality, varato nel 2021 dalla Commissione Europea al fine di promuovere un linguaggio epurato da ogni riferimento“di genere, etnia, razza, religione”[…] a iniziare dai nomi di persona tipici della tradizione cristiana ritenuti offensivi di altre religioni» (p. 8).
L’oicofobia ha colonizzato l’inconscio e l’immaginario dell’uomo europeo. La partigianeria è tratto distintivo di tale cultura: si accusa, sostiene l’autore, di razzismo Hume, a causa di una affermazione contenuta in una nota di un suo volume, senza tener conto del contesto culturale, che Schmitt definì “centro di riferimento” di un’epoca, atto a spiegare le ragioni di tale posizione. Si dimentica volutamente, d’altro canto, che il razzismo fu merce assai diffusa nelle pagine degli Illuministi: Voltaire, presentato quale padre della tolleranza, era decisamente antisemita e riteneva i neri assolutamente inferiori ai bianchi. Kant sostenne, nientemeno, l’“immutabilità” delle razze e si interrogò sui caratteri morali spettanti a ognuna di esse. Inutile sottolineare che definì la razza bianca “basilare”. Pupo conduce, con persuasività argomentativa, il lettore nelle tappe fondamentali della storia dell’oicofobia. Ricorda come esimi psichiatri, fin dalla fine del secolo XIX, l’avessero individuata quale stato d’animo patologico. Essa: «è ingiustificata dal punto di vista razionale» (p. 23), in quanto ingenera il terrore nei confronti della propria identità. Lo mostrò, con organicità argomentativa, tra gli altri, George Orwell. Nell’età contemporanea, il critico più radicale di tale atteggiamento esistenziale, va individuato nel pensatore conservatore Roger Scruton. Per il filosofo, l’oicofobia rappresenta l’altra faccia della medaglia del multiculturalismo che: «incarna il tentativo oicofobico di “pluralizzare” a tutti i costi ciò che è essenzialmente singolare, ossia la nostra identità di esseri sociali» (p. 29). L’oicofobia induce la tendenza al vilipendio della storia e delle tradizioni patrie. Lo evidenziano gli atti vandalici messi in atto contro monumenti che ricordano
personaggi illustri, da Cristoforo Colombo a Montanelli.
È solo il Noi che sorge dalla Tradizione che, come chiarito da Gentile, parla al fondo di ogni Io. Il Noi può consentire il recupero della “luce interiore” dei popoli, di cui disse José Antonio Primo de Rivera. Conoscere il proprio da-dove diventa segnavia per rintracciare, nella continuità storica, il per-dove cui siamo destinati. In questo senso, chiosa giustamente Pupo, è necessario affidarsi alla facoltà della memoria che non costringe il passato ad assumere forma astorica, irrecuperabile, come accade nelle visioni centrate sulla nostalgia, ma realizza la simpatia, la condivisione sociale, sulla quale Hume fondò il proprio conservatorismo. Un conservatorismo, ci sia concesso, nient’affatto reazionario, ma rivoluzionario, in quanto fondato, anche grazie alla lezione di Burke, su un’idea di storia fatta di possibili “Nuovi inizi”, che sempre in forme nuove, simili, ripropongono nel consesso civile ciò che Heidegger ha definito l’ “abitare poetico”, il sentirsi a casa, il recupero del “focolare”.
“Rivoluzionario”, in tale contesto non implica una prassi politica soteriologica, nel senso indicato da Dugin, mirata a contrapporre al Grande Reset il Grande Risveglio. Scruton, e con lui Pupo, suggeriscono di recuperare l’idea di nazione nella sua valenza positiva, sottratta alle appartenenze tribali o religiose. Fare della tradizione nazionale punto di riferimento politico, è “uscita di sicurezza” dallo scacco “epidemico” che sta trasformando la democrazia in un Nuovo regime, la governance. Solo uomini consapevoli della propria storia, possono partecipare, con cognizione di causa, alla vita pubblica democratica e comprendere perfino le ragioni dell’altro-da-sé, solo a partire dalla propria coscienza identitaria.
Nazione e Stato nazionale, pensati non in termini giacobini, possono determinare un confronto proficuo con gli universalismi sovranazionali, burocratici, astratti, privi di vera vita. Le scuole di pensiero che oggi hanno maggior ascolto, lo mostra con chiarezza Pupo in un ampio excursus storico-teorico, dal neo-marxismo alle filosofie analitiche e continentali, sono pervase dall’atteggiamento oicofobico. La cosa è particolarmente evidente in Italia, dove a causa della particolarità della nostra storia, la relazione tra statualità e nazionalità, cruciale per il riconoscimento dell’identità italiana, è irrisolta. Con la caduta del fascismo, la “morte della Patria” è divenuta fatto compiuto. Tale situazione negativa è stata accelerata dal boom economico e dal contemporaneo diffondersi dell’internazionalismo marxista. Immigrazione, globalizzazione hanno fatto il resto. In simile contesto, il libro di Pupo è davvero di stringente attualità. Dalle sue pagine si evince la via da seguire per uscire dallo stato presente delle cose. Conditio sine qua non, superare l’odio per noi stessi e la nostra storia e rammemorarla con orgoglio. Un cammino ancora in fieri, appena iniziato.
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