L’ideale di Bayreuth

Pubblichiamo di seguito un estratto della introduzione di Giovanni Sessa, Tertium datur. Wagner, temporalità e arte tragica, al volume di Richard Wagner, L’ideale di Bayreuth, Oaks Editrice, pp. 378, euro 25,00.

 

Questo volume di Richard Wagner colma una lacuna nel mondo editoriale italiano. La sua prima ed unica edizione risale all’ormai lontano 1940 […].  L’ideale di Bayreuth raccoglie testi che Wagner compose tra il 1864 e il 1883, a esclusione dei bellissimi Saggi su Beethoven, già ripubblicati. Queste mie brevi note fanno seguito a quanto, a proposito del musicista, abbiamo scritto nella prefazione al suo Religione e arte e nella introduzione alla biografia di Éduard Schuré, Richard Wagner. Nel primo saggio, ricordavamo il giudizio espresso da Herbert von Karajan, grande direttore d’orchestra, che dichiarò: «di considerare Wagner “più grande” di Omero e “più completo». Affermazione forte, che può, naturalmente, non essere accettata in toto, ma che il lettore dovrebbe tenere in debito conto per avere proficuo accesso anche agli scritti teorici che di seguito presentiamo.

L’ideale di Bayreuth contiene i saggi wagneriani più significativi su musica e teatro, composti nell’ultimo quindicennio di vita del Maestro. Alcuni risalgono al periodo di Tribischen, altri furono scritti a Bayreuth. Il curatore della prima edizione, Ferruccio Amoroso, ricorda che tale frangente storico: «segna non solo la svolta finale e trionfale della vita dell’Artista, ma anche un approfondimento […] una chiarificazione del suo pensiero». Da ciò la crucialità di queste prose per la comprensione del mondo valoriale wagneriano. Sappia il lettore che l’attività propriamente critica di questo artista si è sviluppata in tre fasi successive. Nella prima, che corrisponde al soggiorno parigino del compositore, si mostra un’ideale estetico vago, non ancora completamente definito, accompagnato da: «un’intuizione presaga d’un titanico mondo futuro»; nella seconda, afferente al soggiorno zurighese, si fa sentire l’influenza dell’adesione politica dell’autore all’esperienza rivoluzionaria, agli ideali maturati nella dissoluzione dell’hegelismo realizzata dalla “sinistra hegeliana”. Inoltre, in essi si evince il definirsi dell’esperienza artistico-musicale cui Wagner giunse durante il soggiorno a Dresda: a tale fase sono ascrivibili la composizione del Tannhäuser, del Lohengrin e la stesura poetica della Trilogia. Un’epoca della vita del Maestro, in cui conseguì la maturità creativa […] Infine, nella terza epoca, condensata in questo volume, e sviluppata a Tribschen e Bayreuth: «Il suo pensiero […] si orienta sempre più verso la concreta realtà dell’opera d’arte rappresentata; il problema dell’interpretazione, come sintesi di creazione e di esecuzione diventa il problema fondamentale dell’ultimo Wagner; la persona dell’autore e quella degli interpreti si fondano […] in una superiore unità individuale».

A differenza di Amoroso, che nega tratto filosofico alla prosa wagneriana, in quanto essa presupporrebbe: «la distinzione dell’arte da altre forme spirituali», siamo convinti che solo  l’esegesi teoretica di questi scritti e, più in generale, della musica del grande compositore, possa consentire una loro effettiva comprensione e una loro decodificazione. Per il Maestro, infatti, la concezione della Regenerationslehre, Rigenerazione spirituale e comunitaria di ascendenza schopenhaueriana, rappresentava il cuore vitale della propria produzione artistica e teorica. Il problema cui cenneremo in queste pagine è dato dal fatto che il compositore, legando a un fine, a un obiettivo storico da realizzarsi, la dimensione poietica, “tradì” l’idea di arte quale trascrizione dell’Ur-grund, del fondo abissale che anima la vita: ludico, eracliteo, gratuito e tragico. Per chi scrive, l’origine del filosofare in Grecia, stante la lezione di Colli, va rintracciata in ciò che precede, che sta alle spalle del suo definirsi storico nei pre-platonici, ovverosia nel sapere misterico e sapienziale.

La filosofia aurorale ebbe tratto museale: sempre unita a un fare atto a trascrivere, in una poietica sempre-all’opera, la dynamis, la libertà-potenza-possibilità, la cui eco risuona nella physis. L’arte, davvero ricongiunta alla vita, s-determina le fissità stabilite dal concetto, recupera l’innocenza arbitraria del principio, non ha bisogno di visibilità, in quanto rompe la ragnatela tessuta dal logocentrismo, manifesta un’interiorità pura, la vita nuda. Tutto questo Wagner lo intuì e lo manifestò nella ripresentazione della musica tonale, patrimonio sonoro originario dell’uomo europeo, in particolare nel Tristano. Egli, essendosi successivamente fatto latore di un’estetica teleologica, si allontanò progressivamente da tale rilevante intuizione, che pur fa mostra di sé, di quando in quando, anche in questi scritti […]  L’incontro di Wagner con il tragico si è realizzato a metà. Il suo grande genio musicale, nonostante la straordinarietà compositiva, è rimasto troppo vincolato a concezioni escatologiche, proprie dell’epoca, finendo per chiudersi in una prospettiva redentiva e fideistica, implicanti l’accettazione degli idola tedeschi del tempo. Per cogliere il valore profondo della musica è il caso di ricordare quanto ebbe a scrivere Walter Friedrich Otto, uno dei maggiori esegeti della civiltà greca. Questi sostenne la musica trovarsi: «già nel regno animale […] presso leggerissimi insetti e prima di tutto presso gli uccelli alati, molti dei quali ci ammaliano con il loro canto». Solo tornado all’ascolto (ogni vero musicista, prima che compositore e esecutore, è un uomo all’ascolto) del suono vibratile e ritmico della dynamis nella natura, anche all’uomo contemporaneo sarà possibile, quantomeno, tentare di ri-sintonizzarsi sui ritmi di un’origine sempre presente. Nell’antica Grecia la musica fu esperita sotto il segno della potestas di Dioniso. Dio “ambiguo” per antonomasia, rappresenta il ritmo vigente in tutto l’esistente, incarnazione divina dell’energeia, della dynamis che palpita in ogni ente di natura, in ogni “atto” in senso aristotelico, mai normabile o tacitabile. Per questo, la musica si definisce in relazione a una natura che ha sempre tratto temporale, addirittura segmentario. […] La musica, le cui atmosfere disegnano il “regno” di pertinenza dionisiaca, disvela ai greci che l’uno è solo nei molti, nella parte, nel frammento e che nel tempo vive il perpetuo suono originario, come colto da Marius Schneider. Infatti: «L’identico, nella musica, esperisce la verità del proprio sempre essere diverso da sé»: è la dynamis, la possibilità dionisiaca a mostrasi nella mousiké […] Solo nel tempo della musica: «i diversi appaiono con la massima evidenza come l’autentico inverarsi dell’identità dell’identico».

Dioniso e la musica mettono in scacco il theorein, il conoscere distinguente impostosi con il principio d’identità e con quello di non-contraddizione e, scardinando le certezze della visione di senso comune, permettono un’effettiva comunicazione degli umani con il divino […] Wagner intuì tutto questo […] Intuì la necessità di realizzare in musica la coincidentia oppositorum, ma legando la propria proposta a una visione escatologica di filosofia della storia, perse il tratto tragico della vita, non comprese fino in fondo la nostra esposizione alla libertà, la nostra costitutiva nudità. Comunque, come testimonia anche il libro che vi accingete a leggere, tutto quello che fece, lo fece da apripista, da ineguagliabile genio.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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