La popolazione nordica di Roma antica

Gli eredi del potere in tutta la zona mediterranea antica furono alla fine i romani, anch’essi di sangue nordico. Già verso il 2000 a.C. le costruzioni palafitticole dell’Italia settentrionale mostrano “caratteristiche che indicano influenze provenienti dal Nord delle Alpi, caratteristiche osservabili anche nel modo di vita generale. Gli immigrati abitavano villaggi protetti da zone lagunari e incineravano i loro morti”.

Urna biconica da Vulci, necropoli dell'Osteria, IX sec. a.C. Musei Vaticani.
Urna biconica da Vulci, necropoli dell’Osteria, IX sec. a.C. Musei Vaticani.

Sia lo stile delle loro terrecotte che la pratica dell’incinerazione dei cadaveri indicano una provenienza nordica. L’archeologia degli stanziamenti palafitticoli dell’alta Italia ha rivelato che la popolazione era sia dolicocefala che brachicefala; e ciò può essere spiegato assumendo che la popolazione proveniente dal Nord – che paraticava l’incenerazione dei cadaveri e che perciò non lasciò dietro di sé tracce scheletriche – si istallò come classe dirigente su degli aborigeni estide-occidentali. Si trattò forse di una qualche stirpe italica che fece da avanguardia alla massiccia penetrazione italica che doveva seguire? Si trattò forse degli oschi (sanniti) e degli umbri? Comunque, i villaggi palafitticoli dell’alta Italia erano organizzati in modo molto ordinato, come poi lo fu la “Roma quadrata”. Ai ponti che portavano sulla terraferma si collegavano figure religiose, che forse diedero luogo alla denominazione di pontifex, poi adottata dalla principale figura religiosa a Roma.

L’immigrazione italica massiccia, che poi portò alla fondazione di Roma, venne dopo, “nell’età del bronzo”  La forma delle terrecotte indica una sede primigenia che doveva stare nella Germania centrale; e lo stesso viene indicato da diversi studi linguistici. Secondo Much (2) “Che gli itali (italici) provenissero da Nord delle Alpi, è una conclusione obbligata quando si considerino le loro relazioni di parentela con i popoli del Nord”. In ragione della stretta parentela fra l’italico, il celtico e il germanico, e di quest’ultimo con il greco, la scienza delle lingue deve obbligatoriamente arrivare alla conclusione che ci fu nella preistoria una zona di contatto fra le popolazioni che parlavano queste lingue (o per lo meno fra i popoli dai quali italici, celti, ecc. poi derivarono): si pensa che la Boemia o la Moravia possano essere state questa zona di contatto. La migrazione degli italici verso l’Italia ebbe luogo a partire dal medio Danubio attraverso i passi più bassi delle Alpi orientali.

Il percorso delle forme culturali italiche è descritto da Schuchhardt: “Questa cultura si propaga lungo l’Adriatico, attraversa il medio Appennino e poi segue il Tevere fino a Roma; e a essa corrispondono le sepolture preromulee del Foro. Un altro gruppo si mantenne più a Nord per raggiungere Tarquinia nell’Etruria meridionale; ma le propaggini culturali italiche si riscontrano anche a Est degli Appennini, fino a Tarante”. È importante il fatto che questa nuova cultura gira attorno all’Etruria; ovviamente perché lì c’erano degli stati consolidati che fecero resistenza. E difatti l’Etruria era un’unità culturale antica e consolidata (cfr. cap. 7).

Quando si considera la storia romana nel suo insieme, se ne riceve l’impressione che le popolazioni nordiche arrivate in Italia – e che dopo si prepararono a fondare un impero mondiale – non dovevano essere molto numerose in confronto agli aborigeni non-nordici. Ma le stirpi nordiche (gentes), dotate di una volontà di ferro e di abitudini semplici e guerriere, imposero e mantennero la loro fisionomia romana fino a tempi molto tardi, quando ancora gli uomini appartenenti alla razza creatrice risaltavano come dotati di una durissima capacità di azione. I romani ci appaiono ancora più nordici dei greci, in ragione della loro grande serietà – le qualità romane della gravitas e virtus – nonché della posizione molto libera della donna. Ancora nei tempi della tarda romanità valeva quanto ha da dire Giuffrida-Ruggieri: “Nella tranquillità e nella crescita silenziosa del popolo romano, i discendenti delle stirpi nordiche allevarono quegli uomini acuti e capaci di violenza che noi riconosciamo di tempo in tempo nella storia romana” (1).

Dai tempi semimitici dei re di Roma ci sono tramandati molti degli aspetti caratteristici della lotta dei primi intrusi nordici contro gli etruschi per il dominio dell’Italia. È lecito supporre che anche gli etruschi, con la scomparsa della loro classe dirigente nordica, avessero perso i loro più validi condottieri. Probabilmente, nel popolo etrusco le componenti estidi e levantine avevano preso sempre più il sopravvento; e gli etruschi degli ultimi tempi rivelavano una sensualità di tipo levantino, venendo altresì descritti dai romani come obesi e pingui. Erano anche additati come esempi di avanzata degenerazione etica.

Le testimonianze storiche più antiche che si abbiano sui romani si riferiscono alle lotte contro le altre stirpi nordiche (umbri, oschi, sanniti, sabelli, sabini) e la loro annessione. Gli umbri, nei quali si ha forse da vedere l’avanguardia della penetrazione nordica in Italia, avevano già fondato uno stato nella zona dello sbocco del Po.

La prima costituzione romana, come già quella spartana, ci da un’immagine esatta della stratificazione razziale: i 300 patrizi, che da soli costituivano lo stato romano, corrispondevano alle 300 stirpi latine, che erano quelle dei conquistatori nordici: i plebei, mancanti di ogni diritto politico, erano le popolazioni autoctone, di razza prevalentemente occidentale anche se già misti di estide, dinarico e levantino. Patrizi e plebei, inizialmente, non costituivano una contrapposizione di classi sociali, ma una separazione razziale: i plebei erano i discendenti di genti liguri e iberiche, prevalentemente di razza occidentale. Rimangono delle indicazioni secondo le quali i plebei erano retti da istituzioni matriarcali; mentre i patrizi di razza nordica avevano usi patriarcali, sui quali si insiste in modo particolare nelle loro leggi (patria potestas).

Urna a capanna da Castel Gandolfo - Montecucco, tomba A. Prima metà del IX sec. a.C. Musei Vaticani
Urna a capanna da Castel Gandolfo – Montecucco, tomba A. Prima metà del IX sec. a.C. Musei Vaticani

L’educazione alle virtù civiche e le abitudini semplici e guerriere che erano proprie degli antichi romani ricordano sotto molti aspetti le costumanze nordiche pure documentate per l’Islanda nei secoli X e XI; e perfino nelle espressioni verbali della lingua latina si è trovato molto in comune con quelle usate nelle saghe islandesi. C’è poca informazione sulla storia delle popolazioni locali preromane; comunque sembra che esse mancassero completamente della dura volontà e del senso di decisione dei romani. I romani biondi non si fidavano delle genti scure: il detto “Romano, non ti fidare di chi è ‘nero'” (hic niger est; hunc tu, Romane, caveto!), del quale da notizia Grazio (Saturnali, I, 4, 85) risale probabilmente ai primi tempi della romanità, con le sue contrapposizioni nordico-occidentali. Naturalmente, Grazio non poteva ormai sapere quale fosse l’origine di questo adagio.

Gli scopi eugenetici erano raggiunti con l’uccisione dei nati deformi, comandata dalle legge delle dodici tavole.

Ma questo sembra che avesse condotto ad abusi; e difatti le leggi romane posteriori tesero a favorire la prolificità, pur senza dimenticare le misure eugenetiche. Ancora Seneca (2) scriveva: “Noi affoghiamo i deboli e i deformi. Non è la passione, ma la ragione, che ci indica che chi è valido deve essere distinto da chi non lo è”; ma ai tempi di Seneca (circa 41 d.C.) sembra che questo fosse più un consiglio che la descrizione di una pratica fattuale. A idee eugenetiche consapevoli arrivarono alcuni romani soltanto quando la denordizzazione e la degenerazione avevano ormai acquisito proporzioni incurabili.

La legge delle dodici tavole, che costituisce il documento primordiale del diritto romano, è il risultato di una regolamentazione giuridica delle relazioni fra patrizi e plebei. Sotto la repubblica ci furono i primi cambiamenti importanti nella stratificazione sociale. Il console P. Valerius Poplicola fece passare leggi mirate ad assicurargli la simpatia della plebe; con la conseguenza che nel senato penetrarono molti arricchiti che non erano di sangue patrizio (510 a.C.). Ci furono lotte fra la due stratificazioni sociali, ci furono dei giovani patrizi che proposero di ristabilire la monarchia, i plebei si ritirarono sul Monte Sacro per costringere lo stato ad accettare le loro pretese, le stirpi patrizie finirono anch’esse per essere divise da litigi; e finalmente fra patrizi e plebei si arrivò ad accordi di compromesso che però significarono l’inizio della mescolanza razziale. Nel 445 a.C. la lex Canuleia de connubio rese legali i matrimoni fra patrizi e plebei. Prima, i figli di matrimoni misti appartenevano alla pars deterior o, per usare un’espressione legale tedesca antica, alla ”argeren Hand” [‘colui che è sottomesso’]; e così il sangue della classe superiore era mantenuto puro. In seguito, i figli vennero ad appartenere alla classe del padre; e così il limite fra le razze venne cancellato. E questo, alla lunga, portò anche nella plebe un quantitativo tale di sangue nordico che proprio fra i plebei poterono insorgere famiglie di eccellente mentalità nordica, che ebbero una notevole influenza nella nobiltà burocratica (nobilitas) fino ai tempi delle guerre puniche.

Marco Porcio Catone (234 a.C. – 149 a.C.)
Marco Porcio Catone (234 a.C. – 149 a.C.)

Il progressivo cambiamento della costituzione romana può essere riportato ai cambiamenti che seguirono nella stratificazione razziale. Il sangue nordico si inaridiva lentamente; nordici erano soprattutto i guerrieri che combattevano e morivano per la grandezza di Roma; e i funzionari che amministravano le terre conquistate. Il confronto con i celti, genti nordiche che irrompevano dal Nord, portò a lunghissime guerre nelle quali si scontrarono le rispettive classi dirigenti, nordiche da una parte e dall’altra. Il sangue nordico si disperse al servizio della patria. Catone fu un genuino romano (morto nel 149 a.C., appartenente all’alta nobiltà, egli fu maestoso, un grande patriota e un genuino uomo di stato e combattente nordico). Secondo Plutarco (e anche secondo una certa poesia canzonatoria) egli era biondo e aveva gli occhi azzurri; ma è possibile che già ai suoi tempi il tipo nordico non fosse più tanto abbondante, nomi paleoromani, che venivano scelti per indicare i tratti nordici delle persone (come Fulvius, Flavus, Rufus, ecc.) continuarono a essere usati anche dopo, per inerzia, oppure proprio perché nei tempi di decadenza i capelli biondi erano divenuti così rari. È probabile che le guerre civili abbiano contribuito parecchio alla distruzione dello strato nordico, perché in ambedue i campi a cadere erano ogni volta i dirigenti nordici, oppure rimanevano vittime della vendetta dei vincitori. E’ ben noto come Mario, dirigente dello strato plebeo, dopo aver vinto Siila (il duce della nobiltà, che Plutarco ci descrive come biondo dagli occhi azzurri), avesse fatto strangolare moltissimi uomini eminenti della nobiltà; come Silla, più tardi, si fosse vendicato nella stessa sanguinaria maniera contro i dirigenti a lui ostili. I casati nobiliari della Roma antica si estinsero anche perché, sotto la pressione di una alta tassazione, riducevano sempre più la loro discendenza attraverso una limitazione consapevole delle figliolanza. I Fabi si erano dovuti dare una legge privata secondo la quale bisognava obbligatoriamente allevare ogni bambino nato nel loro casato. Ma la malaria, le guerre, le guerre civili, la dissoluzione etica e l’estensione del potere su tutto il bacino del Mediterraneo e oltre, non potevano se non diluire sempre di più lo strato nordico, soprattutto quando si consideri che non c’era più alcuna immigrazione nordica. La diminuzione della classe contadina, come conseguenza delle importazioni di grano provenienti dalle colonie, ebbe conseguenze fatali per il nerbo razziale di Roma (come fu molto più tardi il caso dell’Inghilterra). Sembra che nei paesi di campagna un salutare tipo nordico si sia mantenuto più a lungo che altrove; e perciò la diminuzione della classe contadina comportò una rapida denordizzazione e degenerazione. Eppure, ancora sotto l’impero, a Roma rimaneva una classe dirigente abbastanza nordica.

religiosita-indoeuropeaLa caduta della repubblica coincise con la scomparsa degli ultimi uomini che incarnavano la Roma nordica. La sconfitta di Bruto, di Cassio e dei loro alleati significò il collasso dell’ideale repubblicano e di quel che rimaneva della nobiltà romana. Avevano assassinato Cesare, capo del “popolo”, il che, a quei tempi, significava ormai le classi inferiori urbane. Ma i progetti monarchici di Cesare sopravvissero alla sua morte e trionfarono sugli ideali repubblicani, che non avevano trovato per rappresentarli alcun dirigente valido. Cesare è l’esempio principe di un uomo dalle immense capacità al servizio della “vita calante” di un tempo di decadenza. Egli fu il fondatore dell’impero romano che, un poco alla volta, come conseguenza della deriva razziale, acquistò i tratti di una monarchia medio-orientale e finì per divenire l’involucro di lusso di un mondo putrefatto.

Un poco alla volta la nobiltà scomparve dalla vita romana. L’ultimo a estinguersi fu il casato dei Calpurni, che fino all’ultimo produsse delle nobili figure (ancora fino alla fine del I secolo d.C.). Gli imperatori non di rado si vedevano costretti ad accattivarsi il favore del “popolo” per mezzo di azioni di violenza contro le persone più nobili che ancora rimanevano. Al posto della contrapposizione razziale arcaica fra patrizi e plebei, ai tempi dell’impero era intervenuta la contrapposizione fra ricchi e poveri. I vecchi casati rimanevano impoveriti se rifiutavano di entrare nei giri di affari delle grandi città, i quali in tempi imperiali diventarono sempre più scellerati. A partire dal 122 a.C., a fianco della vecchia nobiltà venne accettata anche una ‘nobiltà’ del censo, gli equites, maggioritariamente elementi arricchiti provenienti dalle classi inferiori, che già negli ultimi tempi della repubblica eseguivano speculazioni finanziarie e la cui vita privata era particolarmente sensuale. Il loro pessimo esempio fu una delle cause principali della decadenza dei costumi; e le loro manipolazioni finanziarie portarono al logoramento della classe dei liberi – la classe media romana – e allo snaturamento etico della classe dei funzionari; al punto che anche Cesare (nella sua De bello gallico, I, 39,40) faceva dei commenti sulla loro nefasta influenza. Questi grossi capitalisti comperavano le proprietà terriere e così l’Italia da terra di contadini passò a essere una di latifondi, mentre grandi estensioni vennero abbandonate (latifundia perdiderunt Italiani).

La decadenza dell’Impero Romano, della quale tanto si è parlato, incominciò in Italia. La religione romana antica, che imponeva la discendenza, era da tampo dimenticata. L’importazione di schiavi portò non poco sangue levantino in una terra già impoverita del suo proprio sangue. Le leggi che tentavano di mettere rimedio alla denatalità non attaccavano il male – la degenerazione dei costumi – alla sua radice. Allora come adesso, gli strati sociali con le peggiori caratteristiche genetiche erano i più prolifici: e in quel modo si arrivò alla degenerazione e alla denordizzazione, entrambi fattori che resero gli ultimi tempi di Roma così orrendi. Plinio se ne rese conto, ed elogiava i primi tempi di Roma, quando non c’era ancora bisogno di medici; ma ormai era troppo tardi per una ripresa. Era il proletarius (da proles = figliolanza) a determinare, con la sua vittoria numerica, le circostanze dell’impero in rovina. Il sangue delle centinaia di migliaia di schiavi e di liberti procedenti da tutti gli angoli del mondo allora conosciuto aveva fatto dell’impero romano nient’altro che una discarica razziale. E l’eliminazione di tutte le barriere razziali fu sancita giuridicamente dalla concessione della cittadinanza a tutti i cittadini liberi dell’impero (lex Antoniniana). Questa legge fu promulgata nel 212 d.C. sotto Caracalla, figlio di un africano e di una siriaca (Fig. 238), egli stesso una spaventosa figura di degenerato criminale. Questa estensione del diritto alla cittadinanza “fu salutata con comprensibile giubilo da tutti i proletari dell’impero, perché adesso il socialismo accattone del governo romano, la distribuzione di granagle, ecc. arrivavano anche alle plebi di quelle città che, attraverso qualche speciale decreto, non avevano ancora ottenuto la cittadinanza”.

I pochi ancora nobili e consapevoli non potevano se non cercare quella dignità e tranquillità che ancora si potevano conservare in mezzo alla decadenza e al disfacimento generalizzati. Ormai non si poteva intraprendere più niente. Ai migliori fra i romani non rimase se non rivolgersi allo stoicismo, una filosofia diretta al singolo e mirata ad aiutarlo a sopportare un destino opprimente. Lo stoicismo (dovuto a Zenone e a Posidonio), una filosofia della probità, che rifiutava ogni ozioso gioco di parole e insisteva su di una condotta onesta, ma che nel contempo esortava alla tranquillità e alla estraneità dal mondo, probabilmente attrasse quelle genti che ancora in quei tempi di disfacimento avevano una natura nordica e che in mezzo alla dissoluzione dell’Impero Romano tenevano alla propria dignità. Anche lo scritto di Cicerone Dei doveri (De officiis), di ispirazione stoica, rivela una natura virile e nordica in quei tempi crepuscolari.

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Brani tratti da Tipologia razziale dell’Europa, Ghénos, Ferrara 2003.

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Hans Friedrich Karl Günther (Friburgo in Brisgovia, 16 febbraio 1891 – Friburgo in Brisgovia, 25 settembre 1968) è stato un antropologo tedesco. Fu un esponente di spicco della teoria della razza e grande sostenitore dell'eugenetica. Tra le sue opere maggiori si ricordano Rassenkunde des deutschen Volkes (1922), Rassenkunde Europas (1924), Adel und Rasse (1926), Rassengeschichte des hellenischen und des römischen Volkes (1929), Die nordische Rasse bei den Indogermanen Asiens (1934), Frömmigkeit nordischer Artung (1934), Herkunft und Rassengeschichte der Germanen (1935), Formen und Urgeschichte der Ehe (1940), Das Bauerntum als Lebens- und Gemeinschaftsform (1941), Platon als Hüter des Lebens (1966).

  1. bianca mucedola
    | Rispondi

    la situazione in italia dalla preistoria fino alla nascita delle prime civiltà è estremamente confusa. la nascita di roma e l’origine della civiltà latina sono importanti anche per la determinazione di quella occidentale. la provenienza nordica dei nostri avi è ormai, anche se ci sono forti resistenze negli ambienti “ultra conservatori accademici”, accettata anche se non in maniera così radicale come vuole l’autore di questo articolo .in tutta l’area dove si sono imposte popolazioni di stirpe indoeuropea i ceti dominanti si sono sovrapposti alle popolazioni autoctone imponendo le loro tradizioni militari ,religiose e giuridiche.

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