I nuovi scenari politici che negli ultimi mesi fanno intravedere un processo unitario in ciò che comunemente viene denominata “Area nazionalpopolare”, cioè l’insieme di micropartiti, di comunità militanti e di singole individualità che in maniera differenziata riferiscono il proprio agire politico ed esistenziale ai movimenti di reazione al falso duopolio capitalismo-comunismo, che durante le due guerre mondiali ebbero la concretizzazione più alta in varie parti d’Europa e del mondo (riferirsi solo all’Italia o alla Germania sarebbe per noi davvero troppo riduttivo, non considerando, per esempio, movimenti come il Rexismo belga di Léon Degrelle o la Guardia di Ferro rumena di Corneliu Codreanu), ci impongono delle considerazioni generali su ciò che tradizionalmente si deve intendere col termine “Politica” e col termine “Destra”, e non perché si voglia in alcun modo prender parte al gioco delle fazioni o delle sette, purtroppo ancor presente, ma solo, come sempre nei nostri scritti, per rendere onore alla Verità, che è pura aderenza alla Dottrina, e per indicare, a chi voglia e soprattutto a chi sappia, la Via.
Incominceremo a disquisire sul reale significato della parola Politica, che ovviamente è cosa molto diversa da ciò che comunemente si intende oggi, cioè un movimentismo, un’azione per l’azione, non animato da alcuna Idea superiore, ma solo da slogan e frasi fatte, che nel migliore dei casi non conducono a nulla, se non ad una satanica rincorsa al potere, nel senso più materialista ed antitradizionale del termine, e per fare ciò sarà indispensabile riferirsi principalmente all’opera di Platone. E’ d’uopo analizzare, in primis, ciò che tradizionalmente intendeva il discepolo di Socrate per Politeia, per rappresentare al meglio un’idea di riferimento, un archetipo primordiale, che ci possa far ben distinguere tra concezioni istituzionali tradizionali e moderne aggregazioni societarie alla Hobbes o alla Rousseau.
Si può cominciare ad intuire l’essenza della concezione politica e statuale platonica, che, precisamente verte sue due identità, quella tra Civitas terrena e Civitas Celeste, come ci ricorderà più in là nei secoli S. Agostino, e quella tra la comunità organizzata ed il singolo cittadino della polis. Entrambe ripresentano la diretta corrispondenza della dottrina tradizionale tra macrocosmo e microcosmo, rappresentando l’istituzione statuale un elemento, nel primo rapporto (con il Divino), di levatura microcosmica, e nel secondo rapporto (con il civis), di valenza macrocosmica. Si noti, pertanto, la centralità che riveste nel pensiero platonico l’idea di Politeia, tra l’Olimpo Divino e l’interiorità umana.
Per comprendere al meglio ciò che vogliamo intendere per diretta corrispondenza tra Civitas Celeste e Civitas terrena, riprenderemo dalla tradizione vedica il mito cosmologico della formazione dei diversi varna: nel Rig-Veda l’emanazione delle tre parti del corpo di Purusha, rispettivamente della bocca, delle braccia e delle anche, rappresentavano la gerarchia ontologica dei brahmana, degli kshatriya e dei vaisya. In Platone, parimenti, ritroviamo la divisione dell’organismo sociale nelle tre “caste” dei sapienti, i custodi dello Stato, dei guerrieri e dei produttori. Tale tripartizione è tipica dell’organizzazione istituzionale delle grandi civiltà indoeuropee: oltre alla civiltà indù già citata, si ricordi come nell’Avesta si narri dei tre pishtra – i signori del Fuoco (athreva), i montatori del carro da guerra (rathaesta), gli allevatori-agricoltori (vastriya-fshuyant) – , come tra i Celti ci fosse la separazione tra druidi, nobiltà guerriera ed agricoltori, e come nella stessa Roma le tre funzioni sociali fossero rappresentate dai flamines majores, i sacerdoti della triade capitolina Juppiter, Mars, Quirinus.
A questo punto è d’obbligo chiarire il reale rapporto tra la sfera spirituale dell’uomo e la comunità organizzata, anche e soprattutto per comprenderne e “giustificarne” l’esistenza, per esplicitare la nostra definizione di gerarchia ontologica e demolire ogni vana interpretazione economicistica. Il discepolo di Socrate enuncia tre aretè e stabilisce la funzione di ciascuna a seconda dell’elemento che predomina nel microcosmo, determinando, anche nell’interiorità umana, una tripartizione gerarchica: la Sapienza è la virtù che garantisce il dominio del noùs, dell’elemento spirituale, dello Spirito; la Fortezza è la virtù che caratterizza la psyche, l’elemento animico e sublunare che sovrintende le passioni; la Temperanza è l’aretè del soma, dell’aspetto puramente corporale, che presiede i piacieri. A tali virtù il divin Platone ne affianca un’altra e forse ancor più fondamentale: la Giustizia, cioè il giusto ordine che necessariamente deve esserci tra detti elementi, tra il noùs, la psyche ed il soma.
Dopo tali considerazioni, è facile comprendere come la maggiore o la minore aderenza all’aretè della Giustizia determini la differenziazione castale: come al vertice della gerarchia interiore c’è il noùs, in quella delle funzioni ci sono i Filosofi; di seguito, all’elemento animico corrisponde la funzione guerriera ed al soma la funzione dei produttori. La Giustizia così esplicitata è una regola fondamentale in tutte le società tradizionali: non si dimentichi, infatti, come, proprio nella metafisica indù, alle tre parti del corpo di Purusha ed ai tre varna corrispondano, per l’azione manifestata dei tre guna, il corpo causante (karana-sharira = sattva), il corpo sottile (sukshma-sharira = rajas) ed il corpo materiale (sthula-sharira = rajas + tamas), e le tre virtù corrispondenti, dharma, kama e artha.
La disamina della complessa teologia platonica dello Stato ha portato luce quanto da noi scritto, circa l’identità tra polis e Cosmo, tra polis e cittadino: la Politeia possiamo definirla, senza riserve, una vera e propria palestra spirituale, in cui l’uomo ha la possibilità di “porre giustizia dentro di sé”, di riconoscere il proprio essere, avvicinando sé e la stessa comunità in cui vive al mondo ordinato degli Dei, “conquistando” l’eudaimonia. L’oblio dell’aretè della Giustizia è, quindi, la causa di tutti gli sconvolgimenti che il percorso ciclico della storia ha determinato: quando non si riconosce più la trascendenza del principio d’autorità, ha inizio quel processo degenerescente che ha determinato la nascita dell’odierna società. Il termine Politica, quindi, va inteso tradizionalmente come l’azione volta a riscoprire l’aretè della Giustizia nella propria interiorità, nella propria comunità e per conformare la stessa al Fas dei Romani, al Rtà indù, alla Verità Divina: “Esiste dunque nei cieli un modello per chiunque intenda vederlo e, vedutolo, fondarlo in sé stesso. Che siffatto esemplare esista o abbia mai a esistere in alcun luogo non importa, giacché questo è l’unico Stato di cui egli sia partecipe”(Resp. 592b, Platone).
A tal punto, dopo aver chiarito il reale significato della Politica, è necessario porre in essere una chiarificazione, che noi riteniamo ancor più radicale ed essenziale, su ciò che tradizionalmente si deve intendere per Destra. E’ fondamentale sgombrare subito il campo da ogni confusione e da ogni fraintendimento, precisando come lo schieramento ideale a cui facciamo riferimento è per sua intima natura ostile a tutto ciò che è maturato dalle Rivoluzioni, che si riferisca a quella americana o a quella francese, all’agire sovversivo che ha permesso all’Illuminismo di concretizzarsi nelle sue varie fasi involutive, cioè liberalismo, comunismo, democrazia, cioè l’inversione progressiva e totale dello stato platonico e tradizionale prima trattato: in merito, non si abbia alcuna esitazione a segnare il solco della differenza, anche per smascherare le false interpretazioni marxiste che voglio omologare nel termine Destra tutto ciò che si oppone, realmente o solo in apparenza, all’idea collettivistica, le“negazioni assolute” e le “affermazioni sovrane” di Donoso Cortès.
Abbiamo usato il termine rivoluzione e riteniamo che si sia palesato come alla Destra Tradizionale sia più confacente il termine reazione, scevro dalle infamie che ha assunto nel corso degli anni, come impeto di opposizione al mondo che crolla e alla “nuova reggenza” che distrugge ogni alta concezione del vivere e dell’essere, anche se i due termini possiamo definirli quasi sinonimi: questa nostra affermazione potrà meravigliare qualcuno, ma ricordiamo come Evola ci faccia notare che “rivoluzione” è un derivato dal verbo latino revolvere, che esprime l’idea di un ritorno al punto di partenza, alle origini, alla Tradizione. Lo stesso Evola in Gli Uomini e le Rovine afferma che “il fondamento di ogni vero Stato è la trascendenza del suo principio, cioè del principio della sovranità, dell’autorità e della legittimità”, ove, assieme alla giustizia, alla gerarchia, alle classi funzionali, alla preminenza dell’ordine politico su quello socio-economico, tali indicazioni assumono un valore normativo non legato al divenire ed alla storia, che si deve tradurre in un modus agendi quotidiano, in uno stile legionario che deve investire ogni ambito della nostra umana esistenza, senza alcuna eccezione, affinché l’esempio, il rimanere sempre in piedi tra le rovine, il nostro radicalismo, siano gli elementi essenziali di quella “reazione-rivoluzione” che rappresenta l’idea prima della Destra, autentica e tradizionale, limitando il più possibile qualsivoglia riferimento al passato, dovendo prevalere i puri contenuti ideali.
Dopo tali considerazioni, non possiamo non evidenziare, come ci ricorda Giandomenico Casalino in tutti i suoi scritti, come sorga una comune Weltanschauung (visione del mondo e della vita) che distingue radicalmente la nostra concezione di cultura, in senso lato, da quella dominante, che è illuministica e quindi razionalistica ed individualistica; per noi la cultura è presente in un essere umano sin dalla nascita come potenzialità da sviluppare, come forma interna, come carattere, che non si acquistano sui libri (la nostra cultura non è libresca!…); essa è viva come la vita, è anima e sangue, è sesso e passione, è intelletto e sentimento, è il senso REALE del mondo, la sua visione concreta. Per tali motivazioni abbiamo voluto argomentare sui reali significati da assegnare ai termini “Politica” e “Destra”, che non a caso abbiamo voluto analizzare insieme, esplicitando che essi non possono, nei loro significati essenziali, essere scissi da un regolare cammino tradizionale e di crescita spirituale e, al contrario, non possono vivere di vita propria, cioè senza un’idea superiore di riferimento, degenerandosi come nell’attualità. Si tratta di acquisire quella forma mentis che accompagni l’uomo della Tradizione in ogni sua manifestazione, non lasciandolo al relativismo del caso o alle fascinazioni dell’ambiente, ma che sia la precisa risultante di un processo formativo ideologico, che lo renda realmente partecipe di quell’Idea che ha forgiato le grandi civiltà tradizionali del passato.
In merito, riprendiamo ciò che il Gruppo dei Dioscuri afferma nel quaderno “Rivoluzione tradizionale e sovversione”: “non può esservi Autorità legittima, se al potere politico non è connessa anche una qualità sacrale… con l’esortazione di Dante Alighieri… Congiungasi la filosofica autoritade con la imperiale, a bene e perfettamente reggere”.
La Via è, quindi, tracciata per chi si senta estraneo dai teatrini del politichese e per chi non voglia ragionare solo in termini di elezioni, di candidature, di comitati centrali, ma voglia intraprendere la strada della militanza, che in altre occasioni, abbiamo definito “sacra”, cioè conducente all’adesione del proprio essere col mondo della Tradizione. A chi si ostina a non “vedere” possiamo solo dire che il nulla produce il nulla; rimanendo nel pantano di un mondo che non è il nostro, energie preziose sono state, sono e saranno spese inutilmente, perché colui che non ritrova il centro dentro di sé, colui che non pratica l’aretè della Giustizia, colui che non assume lo stile legionario, non può uscire dai vortici del divenire né tantomeno riconoscere e far proprio quel modello celeste indicatoci da Platone. Concludiamo il nostro scritto, rivolgendo ai responsabili del predetto processo unitario dell’Area nazionalpopolare la stessa domanda con cui Evola terminava la sua famosa lettera ad Almirante, pubblicata sulla rivista Ordine Nuovo: non sarebbe il caso di mettere infine la testa a posto e, presso ad una formulazione impersonale precisa e priva di compromessi della dottrina, far valere quei principi di unità, di disciplina, di antiburocratismo e di ordine che si invocano per il reggimento della cosa pubblica?
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Questo articolo venne originariamente pubblicato sul quindicinale di vita e cultura europea CIAOEUROPA, anni 2002-3-4.
Luca Valentini
Grazie Alberto, cortese come sempre!