La degenerazione della moneta

juno-monetaRené Guénon nel suo capolavoro Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, inseriva un capitolo denominato La degenerazione della moneta. Mai come oggi si è avvertita l’estrema volatilità del denaro, e il movimento di esproprio della sovranità monetaria che viene portato avanti a livello mondiale non fa altro che confermare le apocalittiche previsioni di Guénon sulla dissoluzione finale dell’attuale ciclo di manifestazione del mondo.

Per risalire alle origini di una concezione qualitativa della moneta intesa come epifania del sacro nelle civiltà tradizionali, è utilissima la lettura del libro Juno Moneta di Jean Haudry.

Lo studioso francese ha indagato sull’etimologia della parola moneta, che risale all’attributo di Giunone: nel tempio di Juno Moneta aveva sede la zecca dell’antica Roma, e per questo la parola moneta ha cominciato a indicare il denaro.

L’etimologia che i classici proponevano più frequentemente per la parola moneta derivava dal verbo monere e alludeva forse al fatto che le oche del Campidoglio che erano a guardia del tempio di Giunone, avevano avvisato i Romani dell’attacco dei Galli. Haudry tuttavia nota che la spiegazione in questo senso è poco congruente: dal verbo monere ci si dovrebbe aspettare piuttosto monitrix come derivato, inoltre non c’è nessuna relazione diretta fra le oche del Campidoglio e il denaro. L’etimologia di moneta andrebbe piuttosto cercata nella radice indoeuropea *moni che indica il collo e nei suoi derivati che indicano collane e gioielli appesi al collo (per esempio il latino monile). Quindi Juno Moneta non sarebbe Giunone che “mette in guardia”, ma Giunone che “porta la collana” e questo attributo alluderebbe alla funzione paleomonetaria di collane e gioielli, funzione ampiamente attestata da tutti gli studi di antropologia.

Haudry rintraccia figure di divinità fornite di collana in diverse tradizioni indoeuropee. La più famosa è indubbiamente Freya, la dea dell’amore della mitologia germanica: la Venere nordica portava una collana detta Brisings che le era stata fabbricata dai nani in cambio di una notte d’amore passata con loro.

La collana di queste divinità evidentemente alludeva anche alla luce dell’aurora, come nel caso della celtica Brigit, e lo stesso Haudry ha dedicato importanti studi alla funzione di Giunone-Hera come dea dell’aurora. Anche alcune incisioni della Val Camonica testimoniano la valenza solare delle collane.

L’autore inoltre analizza in maniera approfondita la storia di Tarpeia, che fece entrare i soldati sabini per impossessarsi dei loro braccialetti d’oro. L’episodio rientra nel quadro delle “guerre di fondazione”, tema diffuso nel mondo indoeuropeo e ampiamente studiato da Dumézil. La sabina Tarpeia che vive coi Romani è assimilata a Freya che appartiene agli dèi Vani ma che passerà nel novero degli dèi Asi: si tratta di episodi che illustrano il pericolo, mortale per la nazione, della xenofilia. Inoltre queste guerre di fondazione mettevano in scena un popolo con attitudini guerresche e un popolo incline a pagare per ottenere la pace: dallo scontro di queste attitudini si formava una nuova popolazione. Tali miti rappresentavano il passaggio da una società basata sulle caste ereditarie a una società fondata su classi definite dal possesso di beni alienabili e quantificabili attraverso il denaro. L’effetto distruttivo della circolazione monetaria si era manifestato anche nell’antica Grecia, in conseguenza dei traffici mercantili dei meticci delle colonie che avevano svilito il denaro a una funzione puramente quantitativa.

Come sempre, Haudry supporta le sue tesi con una quantità eccezionale di dati e getta uno sguardo originale su racconti leggendari e su dettagli filologici. Particolarmente interessante è l’analisi dei riti di Juno Moneta in cui si svolgeva la singolare cerimonia della crocifissione dei cani. Tradizionalmente si ritiene che questo rito traesse origine dal fatto che all’attacco dei Galli i cani non avevano abbaiato, mentre erano state le oche a svegliare i Romani. Tuttavia Haudry non esclude che il rito possa essere riferito a certe attribuzioni infernali e malefiche legate ai cani e testimoniate da elementi mitologici e folkloristici.

Lo studio di Haudry è una traccia importante per approfondire le ricerche sull’origine religiosa della moneta, in contrapposizione alle teorie utilitaristiche che purtroppo ancor oggi riscuotono tanto credito nella cultura dominante.

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Jean Haudry, Juno Moneta. Aux sources de la monnaie, Archè, Paris / Milan 2002, pp.200, € 20,00.

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Michele Fabbri ha scritto il libro di poesie Apocalisse 23 (Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2003). Quella singolare raccolta di versi è stata ristampata più volte ed è stata tradotta in inglese, francese, spagnolo e portoghese. Dell’autore, tuttavia, si sono perse le tracce… www.michelefabbri.wordpress.com
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3 Responses

  1. ROSA RITA
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    interessantissimo!!!!!

  2. caterina maria
    | Rispondi

    l'etimologia della parola moneta sembra corretta, ma l'economia ne indica l'origine utilitaristica, non c'è nessuna epifania del sacro. Del resto sacro e profano sono concetti del tutto relativi e storicamente determinati. E' degenerato il mercato finanziario non la moneta in se'.

  3. vate
    | Rispondi

    Mai come adesso gli effetti della degenerazione della moneta stanno contrassegnando il susseguirsi dei nostri giorni. Il denaro avendo perduto ogni riferimento sta perdendo sempre più credibilità. La funzione esclusivamente strumentale e meramente utilitaristica alla quale si è ridotto, patisce essa stessa una crisi senza ritorno intrappolata in un percorso degenerativo alla cui origine stava però un valore intrinseco a ragion di conio, che da un lato ne permetteva la funzionalità mercantile e dall'altro manteneva l'accento sulla destinazione benefica di un influsso di valore.

    Così la moneta in quanto strumento è stata l'oggetto che meglio di tutti ha interpretato la trasmissione del valore, e tale virtuosità doveva pertanto rimanere ancorata ad un riferimento di garanzia che se agli albori impersonava indistintamente l'emanazione del bene tanto reale imperocché ideale, poi seguendo il processo degenerativo ha dovuto riferirsi ad un bene distinto, quindi materiale, ma comunque garante di una corruttibilità inferiore a quella del soldo in se stesso.
    Infatti il denaro mollando anche quest'ultimo riferimento è diventato puro numero, cioè sostanza allo stato liquido priva di qualsiasi solidità, come lo è la materia preferita dallo speculatore il quale è il corruttore vero del denaro giacché la sua opera principale è proprio quella di scardinare da tale simbolo ogni riferimento qualitativo.

    Tuttavia la moneta non è propriamente il simbolo del valore, ma il simbolo della potenza che il valore attira su di se; e senza contraddirsi può comunque essere interpretata come veicolo del valore, poiché quest'ultimo sebbene sia riconducibile ad un principio essenziale e causativo, la sua espressività va necessariamente associata al merito.
    D'altro lato invece proprio perché il denaro rappresenta l'ambivalenza di una potenza che da soggiogata può diventare libera da qualsivoglia riferimento di garanzia, si è ridotto a puro numero mantenendo comunque la funzionalità emblematica ad una potenza liberata.
    Infatti non vi è alcun dubbio che attualmente il soldo si comporta come una forza sfuggita di mano e non più gestibile neppure dai suoi liberatori il cui scopo era solo quello d'incanalarla nei propri forzieri. Ma questi non costituendo assolutamente alcun riferimento di valore mentre ne annunciano l'antitesi, succede che la potenza del denaro non possa che saturarsi d'illusione affinché per reazione imploderà su se stessa mandando in frantumi tutta un'epoca basata sulla concezione speculativa del denaro, epperò lasciando intatta la concretezza pre-epocale del valore.

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