Introduzione (1)
Un’ultima conseguenza dell’allontanamento dall’umano da parte del selvaggio, è la sua modificata “qualità fisiologica”, manifestantesi in una particolare fragilità biologica. Questa fragilità, unita al suo aprirsi all’animalità (accompagnato dalla stessa promiscuità con gli animali), ne fa l’attrattore e il condensatore-principe di tutta una serie di patologie di origine animale che, in modo sempre più “naturale”, usano il selvaggio come tappa intermedia per raggiungere lo stesso mondo umano civile (2). L’immigrazione terzomondiale verso il Nord del pianeta è proprio quella cinghia di trasmissione che trasporta ogni tipo di patologie nel mondo civile, nel quale le metastasi terzomondiali fungono da centri di irraggiamento secondario per ogni sorta di malattie. La conseguenza è che sia in Europa che nell’Asia nord-orientale, la situazione sanitaria diventa sempre più pericolosa.
La debolezza della struttura fisiologica del selvaggio è un fatto al quale si dà, ovviamente, poca pubblicità ma che, se si osserva con una certa attenzione anche la semplice stampa quotidiana, viene continuamente alla luce. Gli australiani hanno un’altissima incidenza di turbe psichiche, di emorragie cerebrali e di malattie cardiache, e la loro mortalità infantile è 3 volte superiore alla media nazionale (3); questo li avvicina ai negri, i quali, secondo uno studio fatto in America, sono particolarmente soggetti a patologie cardiache, al punto che si stanno adottando trattamenti farmaceutici per le varie appartenenze razziali (“Un farmaco riapre il dibattito sulle razze“) (4). I negri poi sono più sensibili al dolore dei bianchi (5). Solo il 4% degli zingari raggiungono il 60° anno e la loro mortalità infantile è sul 50%, e non certo per mancanza di cure mediche (un po’ come gli australiani, ai quali gli zingari sono razzialmente imparentati) (6). Anche la donna selvaggia si dimostra più debole di quanto non lo sia quella europea o nord-est asiatica: il 26% dei casi di ricovero ospedaliero di extracomunitari in Europa occidentale sono dovuti a complicazioni di gravidanza e puerperio (7), mentre nel Sud del mondo muoiono ogni anno circa 500.000 donne per problemi legati alla gravidanza e al parto, dovuto solo in parte a deficienze nell’assistenza medica (8). Fra la popolazione extracomunitaria residente in Europa, la mortalità infantile è il doppio di quella della popolazione normale, e il tasso di bambini nati morti 3 volte superiore (cfr. l’Australia) (9).
In Europa occidentale il 50% circa dei posti-letto nelle sezioni ospedaliere dedicate alle malattie infettive sono occupati da extracomunitari (10). Questa occupazione dimostra un tasso di crescita del 7- 8% all’anno (11). Il rischio di contagio di tubercolosi fra gli extracomunitari è 12 volte superiore (12).
Il 15% degli immigrati extracomunitari (in Italia) sono sieropositivi, a volere credere alle statistiche ufficiali (13) [ma è il 50% tra le prostitute e i viado (14)]; e alla presenza di un numero inflazionato di sieropositivi si deve l’espandersi anche del contagio tubercolotico (15). “Gli immigrati vanno soggetti a forme molto gravi di tubercolosi, spesso atipiche…” (16); e questa è una tipica casistica da AIDS. Ma anche la malaria, le epatiti e le malattie veneree sono di importazione: il 96% dei casi registrati di queste ultime sono portate da extracomunitari (17), il che non ha niente di strano: nell’Africa nera il 70 – 80% della popolazione è infetta da malattie veneree (18). Come introduzione tanto potrà bastare!
Concetto di nicchia patologica: il sud del mondo quale mega-nicchia patologica
Nella sociologia medica esiste il concetto di nicchia patologica (19), cioè di un ambiente all’interno del quale una determinata varietà di agenti patogeni si costituiscono a circolo chiuso, sostenendosi a vicenda e dando origine ad originali simbiosi. L’andamento di una nicchia patologica obbedisce a leggi di tipo cibernetico sue proprie, e può quindi essere descritto usando le tecniche matematiche che reggono i sistemi a retroalimentazione positiva e/o negativa. Le comunità omosessuali, o quelle di tossicodipendenti, possono costituirsi a nicchie patologiche, e di fatto lo sono diventate, per esempio in California (America), dove queste fenomenologie sono state studiate nel dettaglio. La California è un luogo appropriato. A San Francisco i 2/3 della popolazione sono omosessuali e il resto è composto da sadomasochisti [tra l’altro un nuovo virus è la causa di un nuovo tipo di cancrena fra gli eroinomani di San Francisco: per salvare chi è infetto bisogna amputargli braccia e gambe (20)]. In Europa, una nuova varietà di nicchia patologica potrebbe essere l’insieme dei campi nomadi.
Si può generalizzare, ma non certo eccessivamente, immaginandosi il Sud del Mondo come una mega-nicchia patologica. Là vegeta una massa pullulante e risentita, incapace di sopperire ai propri bisogni, che vive solo di parassitismo e di carità internazionale; ad essa è congenito un bassissimo livello immunologico. Se questo in parte può essere ufficialmente dovuto a denutrizione cronica, a pratiche antigieniche e a malattie infettive debilitanti endemiche, esso lo è soprattutto per una pessima qualità genetica. Qui non ci si riferisce soltanto al fattore razziale ma anche alla realtà di tare ereditarie pandemiche. Chi ha potuto conoscere da vicino il Sud del Mondo (21) si sarà accorto come là ci sia una presenza omnipervadente (oltre che di individui colpiti da tutte le malattie infettive) di ogni tipo di tarati congeniti: storpi, ciechi, sordomuti, epilettici, idioti, ecc. Questa massa enorme e formicolante di infimo livello, costituisce sia l’ambiente ideale nel quale si possono sviluppare tutte le epidemie, sia l’attrattore ideale di nuovi morbi. Oggi tutto ciò è destinato all'”esportazione” nel Nord del Mondo, tramite tutte le svariate metastasi terzomondiali che ormai vi sono presenti stabilmente.
Ora si passerà alla disamina di un patologia nuova, che da un pezzo ha preso proporzioni pandemiche e che in sé ha delle interessanti conseguenze: l’AIDS. Poi faremo qualche considerazione su possibili sviluppi futuri, magari a corta scadenza.
Patologie contemporanee e future. 1. L’AIDS
Lo sviluppo di questa interessante nuova malattia (in forma epidemica essa ebbe il suo esordio in Africa orientale verso il 1975 – 1980) è stato esposto in modo abbastanza completo da Silvio Waldner (22), che ne ha anche indicato la quasi sicura genesi animale. I reperti del Waldner si fermavano, grosso modo, al 1994; ma da allora sono state fatte altre interessanti ricerche, e la malattia, a livello demografico, ha avuto il tempo di svilupparsi con effetti statisticamente validi e molto significativi. Non solo l’AIDS si è diffuso a macchia d’olio per coinvolgere massicciamente tutto il Sud del Mondo (23), ma, almeno in Africa, sta dimostrabilmente frenando e anche rovesciando l’andamento demografico. Si incominciano ad avverare previsioni fatte alla fine degli anni Ottanta dall’analista statistico sudafricano Keith Edelston (24). In base ai dati e alle tendenze allora disponibili, l’Edelston aveva previsto un andamento molto più “sbrigativo” delle dinamiche demografiche di quanto poi sia stato il caso, e fu tacciato di “catastrofista”; ma sbagliare una scadenza non significa sbagliare una tendenza, e su questo punto l’Edelston aveva perfettamente ragione.
Prima di entrare in pieno nell’argomento, vale un’osservazione della massima importanza. Dei recenti risultati (25) sembrano indicare che l’AIDS esisteva almeno dal 1959 (probabilmente anche da molto prima), ma che fino al 1975 – 1980 era una malattia estremamente rara. Ciò potrebbe indicare che un virus potenzialmente patogeno, ma generalmente inattivo, come conseguenza, forse, di una mutazione, si è trasformato in quell’agente aggressivo che ora conosciarno. La ripetizione di andamenti del genere da parte di altri agenti patogeni, generalmente virali e già in parte identificati, sarebbero gravidi di conseguenze. Ma su ciò si ritornerà un po’ più avanti.
Dei calcoli realistici indicano che fino al 70 – 80% della popolazione dell’Africa nera potrebbe essere sieropositiva (26). E nel mondo islamico, soprattutto quello semita, le cose non sembrerebbero andare in modo molto diverso (ecco un altro parallelo fra il mondo semitico e quello negroide). Là si muore di AIDS quasi come in Africa centrale, ma le autorità tengono nascoste queste interessanti statistiche. Tutto ciò è il risultato di uno studio fatto in 22 paesi islamici nel 2002 (27); e qui vale l’osservazione che da quelle parti la pratica dell’omosessualità è dilagante. Una opportunità importante di contagio devono essere i pellegrinaggi alla Mecca, ai quali partecipano quasi esclusivamente “uomini”.
L’India sembrerebbe essere nella stessa condizione in cui era l’Africa verso il 1980 (28); comunque lì i casi ufficialmente riconosciuti si sono raddoppiati dal 2000 al 2001 (29). In Tailandia e in Brasile la situazione è di tipo “africano”, e la popolazione di colore degli Stati Uniti d’America (ormai il 40 – 50% del totale) è largamente sieropositiva (30). Anche la Cina meridionale sta entrando nel novero delle zone fortemente colpite (31).
Specificamente nell’Africa subsahariana, le fenomenologie sociali e demografiche causate dall’AIDS hanno avuto tempo di svilupparsi in profondità e in varietà. In Sud Africa i sieropositivi, nel loro insieme, costituiscono ormai un “serbatoio di voti” per i partiti politici che provano ad accattivarseli facendo le solite promesse collettive (un po’ come si fa con i pensionati da noi). Il numero di orfani i cui genitori sono morti di AIDS è tanto grande che i babbuini, stando a determinati rapporti, si sono messi ad allevarli (32). In Sud Africa, negli ultimi 20 anni, l’aspettativa di vita media dei negri è calata di 15 – 20 anni (33). In una situazione analoga è tutta l’Africa meridionale, e presumibilmente anche tutto il resto dell’Africa nera (34). Siccome poi, negli ultimi tempi, l’AIDS, che inizialmente era stata una malattia prevalentemente maschile, ora colpisce le donne più che gli uomini (il contagio maschio-femmina è più agevole che quello femmina-maschio), si è arrivati ad un’inversione delle proporzioni: se prima c’erano più donne, ora c’è un’eccedenza maschile del 20% (35). La metà dei degenti negli ospedali sono malati di AIDS (36) e un decesso su 4 è dovuto ad AIDS (37).
Questo si riflette nello stesso andamento demografico. In Sud Africa c’è crescita zero dal 2000 (38), e in Swaziland e in Botswana (e presumibilmente in tantissimi altri luoghi dell’Africa subsahariana) si è registrata una diminuzione netta della popolazione dallo stesso anno (39).
2. Patologie “in agguato”
Il lettore avrà forse notato che ci sono sempre più patologie virali di origine animale che fanno capolino nel Sud del Mondo, dopo che l’agente patogeno corrispondente (come è stato il caso dell’AIDS) ha fatto il temuto “salto della specie”: dagli animali all’uomo (40). Circa novant’anni fa, al tempo della prima guerra mondiale, il mondo intero è stato attraversato dalla cosiddetta “spagnola”, che ha spazzato via circa 22 milioni di persone (ma alcune stime parlano di 100 milioni). Il suo nome (“spagnola”) fu coniato dopo che nel solo mese di maggio 1918, la Spagna, che non era in guerra, dovette contare ben 8 milioni di morti, ma il virus (H1N1), in realtà, era partito da molto più lontano, e precisamente dal sud della Cina, dove fu trovato nelle trachee dei maiali. Una gravissima forma di virosi emorragica, il cosiddetto “Ebola”, si è stabilizzato in Africa, con alcune migliaia di morti negli ultimi 20 anni circa, – e la cosiddetta “febbre del Nilo” ne ha fatto qualche centinaio in America (41). Anche una varietà di vaiolo scimmiesco ha fatto il salto della specie in Africa trasferendosi anche in America attraverso il commercio degli animali esotici (42). Negli ultimi mesi del 2003 sono incominciate le insorgenze della polmonite virale (“SARS’) e dell’influenza aviaria, anch’esse infezioni di origine animale. Quando non ci si dimentica di ciò che si è appena detto a proposito dell’AIDS, queste cose dovrebbero farci riflettere. Un recente e dettagliato studio (43) ha indicato che dobbiamo aspettarci un’esplosione di epidemie causate da nuovi agenti patogeni in un futuro non eccessivamente lontano, e i cui epicentri saranno – naturalmente – l’Africa subsahariana e l’Asia sud-orientale. L’Africa è, in maniera specifica, il serbatoio di virosi emorragiche sul tipo dell’Ebola e di nuove forme di tifo, mentre il Sud-est asiatico (non esclusa la Cina meridionale) lo è delle nuove forme di encefalite virale.
Patologia demografica del sud del mondo e sua probabile implosione biologica
L’andamento esponenziale (fra il 1950 e il 1990 circa, ma soprattutto negli anni Sessanta) della crescita numerica di tutte le masse larvali del Sud del Mondo, sembrava prospettare, a corta scadenza, una situazione come quella pubblicizzata nella locandina di un film di fantascienza degli anni Cinquanta: “Terra, nove miliardi di abitanti, nessun essere umano” (44). Invece le cose si starebbero mettendo in modo diverso, e non certo perché certi tipi “umani” si sono messi a pensare o a ragionare, o perché hanno “capito” che c’è tutto da guadagnare nel limitare la loro sregolata prolificità da roditori (45). Vero è invece (lo ammettono, con incredibile strazio, anche le agenzie internazionali di monitoraggio sanitario) che i cambiamenti sono legati a problemi di fertilità dovuti a malattie veneree e alla mortalità infantile dovuta all’AIDS (46). Sempre le medesime agenzie ci informano, ormai senza mezzi termini, che la crescita demografica mondiale (cioè: del Sud del Mondo, perché il Nord non fa più figli) sta calando; che nella seconda metà del XXI secolo ci sarà un declino nella popolazione, e che già nel 2050 essa non sarà di 9,3 miliardi, come si era prima calcolato, ma (in base alle nuove tendenze) di “soli” 8,9 miliardi (47).
Le avvisaglie, comunque, erano incominciate già dalla fine degli anni Novanta (48), quando fu riportato che nel mondo islamico (ottimo indicatore per tutto il Sud del Mondo), la natalità era diminuita da 7 figli per donna nel 1980 a 3,5 nel 1998 e che si prevedeva la crescita zero (2,1 figli per donna) nel 2025, con una popolazione totale, nel Medio Oriente. non di 665 ma di 585 milioni (questo, secondo gli articolisti, dovuto alla “maggiore istruzione della donna”). Ci fu poi un’altra impennata giornalistica nel 2002 (49), quando fu confermato che l’aumento della percentuale di vecchi nella popolazione totale non è solo un fenomeno del Nord del Mondo, ma di portata globale; e il tasso d’aumento globale della popolazione, che era del 2% annuo negli anni Sessanta, è ora dell’1,26% annuo, con la tendenza a essere lo 0% nel 2100.
Noi potremmo essere i testimoni delle prime avvisaglie di una probabile implosione biologica del Sud del Mondo. Nello stesso modo che la sua esplosione demografica ebbe luogo catastroficamente una volta che i fattori scatenanti ebbero preso forza, anche la sua obliterazione potrebbe avvenire altrettanto catastroficamente. Non è da escludere che l’esplosione della malattia, a livello pandemico e ormai incontrollato, potrebbe mettere in moto tutte le masse infette e pullulanti della fascia tropicale, ormai composte interamente o quasi di appestati, lebbrosi, sieropositivi e tubercolotici, verso il mondo civile (che comunque, per fortuna, ben pochi riuscirebbero a raggiungere). Ecco uno scenario alla Jean Raspail (50), fortemente potenziato. Gli scarsi sopravvissuti dell’estremo Sud forse sarebbero destinati a diventare gli “antartici” degli eoni a venire. Nel mondo civile ci si troverà in una situazione non dissimile a quella del cosiddetto Paleolitico, quando accanto ai resti di un’umanità civile ci saranno i nuovi “neandertaliani”, discendenti degli attuali e futuri extracomunitari (ma su questo più avanti). Quale possa essere stata l’origine del neandertaliano europeo arcaico non è dato saperlo, ma non si può escludere assolutamente che anch’esso fosse un rigurgito della fascia tropicale.
Note
(1) Buona parte dell’impostazione di questo capitolo segue la traccia di una conferenza sull argomento “sanità” tenuto da Silvio Waldner a Crespano del Grappa (Treviso) il 26 novembre 1999. La fonte principale di informazione fu un libro scritto in americano da Laurie Garrett, The coming plague, Penguin, New York (America), 1995. Trattandosi di un libro americano e diretto a un pubblico americano, esso consiste per circa il 90% di aneddoti insulsi, pezzi di cronaca avulsi dall’argomento, barzellette imbecilli e opinioni strettamente personali dell’autrice. Ma avendo la pazienza di vagliare il testo (più di 600 pagine) per pescarvi l’informazione utile, si possono trovare molti dati utilizzabili.
(2) Un fatto strano e interessante, che non si sa quale significato possa avere (ammesso che uno ne abbia), è che fra i boscimani la lebbra è sempre stata sconosciuta, che pure era ed è una malattia diffusissima fra i bantù con loro confinanti (e i boscimani sono ed erano hen lontani dal potere essere classificati come gente “sana”). Questa notizia la appresi durante il primo soggiorno in Africa meridionale nei primi anni Settanta; ma poi è stata confermata anche da uno studio medico fatto sugli ultimi boscimani del Kalahari [Richard Lee & Irven DeVore, Kalahari hunter-gatherers, Harvard University Press, Cambridge (America), 1976]. Anche Marion Walsham-Howe (Bushmen…, cit.) ci informa che la lebbra era sconosciuta nella zona delle montagne del Drakensberg prima di esservi introdotta da negri e meticci.
(3) Cfr. il quotidiano Citizen (Pretoria) del 15 giugno 1991.
(4) Cfr. il quotidiano Il Sole 24 ore (Milano) del 30 luglio 2003.
(5) Cfr. il quotidiano Il Gazzettino (Venezia) del 23 aprile 2001.
(6) Cfr. il quotidiano Il Giornale (Milano) del 10 agosto 1996.
(7) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) dell’11 aprile 2003.
(8) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 4 dicembre 2002.
(9) Cfr. il quotidiano Il Giornale di Vicenza (Vicenza) del 18 novembre 2001.
(10) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 26 maggio 2002.
(11) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) dell’11 aprile 2003.
(12) Cfr. Il Giornale di Vicenza, cit.
(13) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 24 novembre 2002. Se queste sono le cifre ufficiali del Ministero italiano della Sanità, c’è da scommettere che le cifre reali siano almeno il doppio.
(14) Cfr. il quotidiano Il Giornale (Milano) del 18 febbraio 2002.
(15) Opuscolo della Federazione italiana contro le malattie polmonari sociali e la tubercolosi, 1996.
(16) Cfr. il quotidiano Il Tempo (Roma) del 10 novembre 2002.
(17) Cfr. il quotidiano Il Giornale (Milano) del 22 novembre 1996.
(18) Cfr. Laurie Garrett, Coming…, cit.
(19) Cfr. Laurie Garrett, Coming…, cit.
(20) Cfr. il quotidiano Il Giornale (Milano) del 22 aprile 1996.
(21) Ho trascorso 40 anni fra le due Americhe e l’Africa. Questa fenomenologia è stata descritta in modo “ameno” in un breve romanzo di Emilio Tumminelli, La pietra misteriosa, Campironi, Milano 1975.
(22) Silvio Waldner, La deformazione della natura, cit.
(23) C’è, molto probabilmente, una correlazione fra il colore scuro della pelle e la suscettibilità al contagio. Questa ipotesi circolava in Sud Africa nei primi anni Novanta, ma difficilmente si potrà trovare qualcosa per scritto sull’argomento.
(24) Keith Edelston, AIDS, countdown to doomsday, Media House, Johannesburg 1988. L’Edelston mi onorò della sua amicizia nei primi anni Novanta.
(25) Laurie Garrett, Coming…, cit.; AA. VV., Preventing emerging infectious deseases, pubblicazione dei Centers for disease control and prevention, Atlanta (America), 1998.
(26) Cfr. Silvio Waldner, “Deformazione”, cit. In questo libro è data anche una visione d’insieme di quella che ragionevolmente poteva essere la situazione mondiale del contagio verso il 1994. II settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 17 – 23 gennaio 2003 ha pubblicato che le cifre ufficiali di sieropositività in Botswana e in Swaziland sono di quasi il 40%: il che significa che le cifre reali devono rasentare il 100%.
(27) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 1° agosto 2002.
(28) Cfr. il quotidiano Libero (Milano) del 27 giugno 2003.
(29) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 25 aprile 2002.
(30) Laurie Garrett, Coming…, cit.
(31) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 9 settembre 2000.
(32) Notizia diffusa per radio nell’Africa meridionale nei primi anni Novanta: ma cfr. anche Silvio Waldner, “Deformazione”, cit.
(33) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 12 – 18 luglio 2002.
(34) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 14 – 20 febbraio 1997 e il quotidiano il Giornale (Milano) del 19 marzo 1999.
(35) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 4 – 10 luglio 2003.
(36) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 27 agosto – 2 settembre 1999.
(37) Cfr. il settimanale The Economist (London, Inghilterra) del 22 settembre 2001.
(38) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 18 – 24 maggio 2001.
(39) Cfr. il settimanale Die Afrikaner (Pretoria) del 17 – 23 gennaio 2003.
(40) Di utile consultazione è Laurie Garrett, Coming…, cit.
(41) Cfr. il quotidiano La Padania (Milano) del 4 luglio 2003.
(42) Cfr. il quotidiano Libero (Milano) del 24 agosto 2003.
(43) Cfr. il quotidiano Libero, cit.
(44) Cfr. Fabio Casagrande Napolin, Ivan Fedrigo e Erik Ursich, Attacco alieno, Tunnel, Bologna, 1998.
(45) L’esplosione demografica del Sud del Mondo è stata dovuta non soltanto (e forse non principalmente) alla disponibilità di cure mediche di origine europea, ma al fatto che con la colonizzazione i selvaggi hanno smesso di autolimitare la loro crescita numerica con i soli mezzi da loro conosciuti: aborto, infanticidio, “eutanasia”, uccisione di vecchi, di infermi e di invalidi, ecc. Non è neppure vero che adesso quelle genti stiano meglio, dal punto di vista alimentare, rispetto ai tempi precoloniali: la carestia è divenuta endemica nel Sud del Mondo solo dopo la decolonizzazione, nell’ultimo mezzo secolo. Cfr. Marshall Sahlins, Age, cit.
(46) Cfr. il quotidiano Libero (Milano) del 27 luglio 2003.
(47) Cfr. il quotidiano Libero (Milano) cit. e del 1° marzo 2003.
(48) Cfr. il quotidiano il Giornale (Milano) del 6 marzo 1998; e anche Giovanni Sartori e Gianni Mazzoleni, Terra, cit., i quali forniscono però dati qualche volta contraddittori.
(49) Cfr. i quotidiani La Padania (Milano) del 7 aprile 2002 e Il Corriere della Sera (Milano) del 5 aprile e del 15 luglio 2002.
(50) Jean Raspail, Le camp des saints, tr. it. Il campo dei santi, Ar, Padova 2001.
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Il presente scritto costituisce il capitolo 5 della seconda parte (Tracce empiriche della involuzione) del libro di Silvano Lorenzoni Il selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana, Edizioni Ghénos, Ferrara 2005.
Mauro Quagliati
Leggo sempre con interesse gli articoli del Centro Studi la Runa perché so di trovarvi riflessioni non allineate su temi filosofici, antropologici, mitologici e religiosi che mi appassionano molto. In passato ho anche avuto il piacere di lasciare un piccolo contributo nell’ambito paleo-antropologico.
Anch’io, come voi, ho in odio una bella fetta delle asserzioni dogmatiche pseudo-scientifiche della cultura dominante (dall’evoluzionismo darwiniano, all’antropologia fisica politicamente corretta anti-razzista). Per cui non mi scandalizzo di fronte a certe interpretazioni – forse un po’ troppo letterali – della teoria tradizionale dell’origine “ariano/ nordica ” della civiltà (idee che in altri contesti verrebbero immediatamente bollate come razziste e filo-naziste).
Però credo che ci sia un limite. Il concentrato di idiozie che leggo qui sopra a firma del Lorenzoni, che mescola in un unico calderone statistiche da bar con fenomeni socio-culturali e genetici complessi (per giunta con riferimenti a fonti attendibilissime nel campo scientifico quali Il Giornale e La Padania!) è semplicemente vergognoso e credo molto squalificante per il sito.