Col gentile permesso dell’Editore, pubblichiamo di seguito la Prefazione al testo di Nuccio D’Anna Il Santo Graal. Mito e Storia, Archè-Pizeta, Milano 2009.
Per più di un secolo gli studi sulla saga del Graal hanno costituito la fatica di attenti eruditi appartenenti ad una esigua cerchia accademica, ma nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria inondazione di libri che in vario modo hanno preteso di accostarsi a questa complessa leggenda. Senza minimamente avere una preparazione filologica adeguata molti improvvisati ricercatori hanno tentato di interpretare la famosa coppa vedendo in essa di tutto, dall’Arca Santa alla metafora di una dinastia reale, da un veicolo di pura potenza materiale al calice che Cristo avrebbe avuto in mano concretamente durante l’ultima Cena. Una serie innumerevole di indagatori si è data la pena di spiegare perché è importante ritrovare questa coppa e quali benefici materiali ne possono derivare a coloro che riescono nel compito. Qualcuno è arrivato persino a negare che nella saga del Graal la cosa più importante sia… il Graal e ha tentato d’indicare vaghi percorsi di ricerca che lascerebbero pietrificati profondi eruditi di scuola antica come Gaston Paris, Eduard Wechssler, Adolf Birch-Hirschfeld o Edmond Faral. Si è scritto di tutto e il contrario di tutto, sino a far perdere al Graal le caratteristiche che la leggenda gli ha attribuito e si è delineata una astratta “cerca” senza alcuna meta, priva di qualsiasi significato spirituale. A poco a poco lo stesso simbolismo che affiora attraverso la cornice cavalleresca e sostanzia in modo inequivocabile le diverse versioni della leggenda, è stato annegato in una serie di ipotesi personali scaturite solo dalle elucubrazioni mentali di alcuni improvvisati scrittori digiuni di ogni pur minima conoscenza della spiritualità e della mistica medievale, ma che si dicono preoccupati di mostrare “nuove” ed “originali” tesi interpretative, peraltro non suffragate da nessun appoggio testuale oppure da elementi dottrinali.
Il compito che ci siamo proposti non è quello di partecipare a questa specie di fiera para-culturale, ma di riportare la saga del Graal innanzitutto alle sue basi storiche e compositive indispensabili per comprendere quello di cui si tratta, procedendo ove necessario anche ad una comparazione fra le varie versioni della leggenda. Poi abbiamo tentato di studiare l’autentico e complesso simbolismo che emerge nei diversi cicli narrativi per verificarne la consistenza, il significato e i valori di riferimento. Infine abbiamo cercato di farne vedere i risvolti dottrinali che non possono essere studiati come se il Graal non appartenesse al mondo medievale, ma devono essere soppesati in rapporto all’orizzonte spirituale e alle aspettative più elevate di quel tempo. Il tema viene affrontato secondo l’ottica di uno studioso di Storia delle Religioni che intende profittare dei molti studi accademici di filologia romanza e pensa che non si deve affatto trascurare la tradizione nella quale si collocano le leggende del Graal col loro sottofondo ecclesiale e persino liturgico che in sé sembra avere costituito l’humus del quale si sono nutriti molti racconti. La nostra ricerca ha fatto emergere un sostrato ricco di tutta una serie di arcaiche tradizioni, di rituali antichi, di simboli universali, di oggetti di devozione, di luoghi di culto e di pellegrinaggio presso i quali la Coppa e il Sangue di Cristo hanno costituito un punto di riferimento diretto, sono stati la vera cornice storica, sociologica, dottrinale e spirituale del Graal, hanno sostanziato alcuni degli elementi fondanti che ne hanno permesso la diffusione in ogni ambito della vita medievale e spesso il floruit di questi centri spirituali ha coinciso con la diffusione della saga in regioni nelle quali quelle forme liturgiche hanno avuto il loro punto di forza.
Per poter comprendere le radici spirituali dalle quali scaturisce il complesso simbolismo del Graal non è sufficiente limitarsi ad una approfondita indagine dei testi, oppure agli eventuali fondamenti folkloristici di un insieme di leggende che in realtà affondano le proprie ragioni in un complesso simbolismo scaturito dal modo stesso dell’uomo di porsi di fronte al divino. Né si possono trascurare i legami con l’eredità antico-celtica o quelli, più particolari, con il monachesimo cristiano presente nelle regioni in cui verosimilmente è stata formulata la prima versione del Graal. Pensiamo che la complessa ambientazione dottrinale, molti personaggi della saga, lo stesso Merlino o quegli enigmatici eremiti la cui immagine appare poco collegata col mondo ecclesiale, ma che, tuttavia, nei racconti spesso danno la chiave interpretativa del simbolismo e di molti aspetti del rituale, possono trovare una loro spiegazione in quel misterioso retroterra ad un tempo culturale e spirituale che ha fecondato quella particolare forma tradizionale che è conosciuta come Cristianesimo celtico, i cui monaci e i cui eremiti hanno costituito il tramite per la preservazione degli elementi “essenziali” della spiritualità druidica e la loro “trasfigurazione” nella tradizione cristiana.
Per dare significato al simbolismo spirituale che sostanzia l’intero ciclo del Graal ci si è perciò preoccupati di seguire le diverse formulazioni della leggenda quali emergono prima in Chrétien de Troyes, le cui opere in vario modo appaiono fortemente radicate nelle forme spirituali derivate dal mondo antico-celtico e hanno conservato aspetti importanti del simbolismo religioso precedente la conversione di quei popoli al Cristianesimo; poi nelle lunghe quattro Continuations che sviluppano una materia e una complessa simbologia quasi completamente assente nello scrittore della Champagne derivata da una molteplicità di fonti variamente articolate; poi ancora nella “trilogia” di Robert de Boron e nel variegato, vasto ciclo del Lancelot-Graal, dove le dottrine contemplative cristiane e i simboli formulati dai monaci cluniacensi di Glastonbury e dai cistercensi di Citeaux diventano fondamentali e rivelano una ricca serie di temi che a poco a poco riconducono il Graal e il suo mondo spirituale all’interno della Storia della Salvezza; infine in alcuni importanti testi compilati in area tedesca (Wolfram von Eschenbach e Albrecht von Scharfenberg), i quali mostrano chiaramente un’enigmatica presenza di dottrine islamiche, molto probabilmente mediate dall’Ordine del Tempio, che completano il sostrato antico-celtico e quello cristiano del Graal. Rivelano una incredibile osmosi di simboli armonicamente ordinati e appartenenti a mondi diversissimi che certo non è possibile rinvenire con tale chiarezza e completezza in altre forme compositive medievali.
Roberto
Ben vengano quegli autori e quei testi che aiutano a discernere con precisione e rigore.
Dopo un mare di pubblicazioni -le più varie- di questo si sente l'urgenza.
Ben vengano anche gl'inquadramenti storici dei miti, in assenza dei quali si naviga nel vasto mare del capriccioso opinionismo "colto".