Il numerale quattro nella forma ricostruita indoeuropea: percorsi etimologici e ipotesi sul computo IE

Per individuare il quattro nell’indoeuropeo * Kw etwor.

Nell’ambito degli studi indoeuropeistici il numerale *Kwetwor è stato oggetto di numerosi studi che, seppur a volte giunti a risultati discordanti tra loro, sono utili per il loro apporto all’analisi linguistica di tale numerale.

Di queste ricerche utilizzeremo solo quelle che sembrano avere maggiore attinenza con il nostro proposito, offrendo spunti che, nel corso del lavoro, ci consentiranno di individuare, esaminare e infine formulare ulteriori ipotesi.

Il discorso prende inizio con l’analizzare l’ipotesi diffusa fra molti linguisti[1] secondo la quale il numerale i.e. *K wetwor sarebbe in stretto rapporto con l’i.e. *Okto(u), forma ricostruita per il numerale cardinale otto. Le argomentazioni che tali studiosi propongono a sostegno della loro ipotesi ammettono un punto di origine comune per le due forme: la radice indoeuropea *Ak — *Ok, con il significato di appuntito[2]. Seguendo tale tesi l’ i.e. *K wetwor andrebbe considerato come un antico composto derivato dalla forma * Oket(o) woro, ancora con il significato di appuntito.  I sostenitori di tale tesi continuano dicendo che la forma i.e. *Oket(o)+ oro si sarebbe evoluta in *Oket wor e successivamente, per un fenomeno di assimilazione[3], si sarebbe arrivati all’i.e. *K wetwor, forma ricostruita  e riconosciuta come il numerale cardinale quattro.

Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins, Introduzione alla lingua e alla cultura degli IndoeuropeiNella stretta connessione individuata fra le forme i.e. * K wetwor e *Okto(u) tali studiosi forniscono una spiegazione che riguarda la categoria grammaticale del numero dei due nomi. Precisamente viene asserito che l’i.e. *Okto potrebbe essere la forma duale dell’ i.e. *Kwetwor[4].

In base a tale affermazione siamo portati ad una prima conclusione, vale a dire che l’ i.e. * Okto, inizialmente avrebbe significato “i due quattro”, ovvero ” la coppia delle punte”, riferendosi alle dita delle due mani aperte, aventi, escluso i due pollici[5] il dito medio come apice.

Partendo da questo primo parziale esito, in questa ricerca abbiamo preso in esame altri studi la cui analisi ci ha condotti a risultati diversi contraddicendo l’ipotesi appena discussa. Tale rifiuto è particolarmente marcato e trova motivazione nella evidente inconciliabilità della veste fonetica e morfologica che le due forme appena esaminate presentano[6].

Questo serve a farci meglio intendere che non potremo arrivare ad una possibile origine dell’i.e. * Kwetwor tramite un semplice confronto della forma esterna, tralasciando anche gli aspetti extralinguistici. In tal modo la nostra indagine potrebbe trovare deviato il suo percorso.

Con l’aiuto di ipotesi addotte da vari studiosi, effettueremo un’ attenta analisi della struttura dell’ i.e. * Kwetwor e, sezionando tale forma, cercheremo di individuare gli elementi di base, ai quali potremo dare una possibile spiegazione.Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa

A tale scopo esamineremo i risultati di studi condotti, rispettivamente, da Cuny, Carnoy e Windekens. Progressivamente, questi studiosi ci metteranno nella condizione di intraprendere uno studio attento della forma i.e. * Kwetwor e di addurre una possibile risposta al quesito.

Il primo studio da cui prenderà inizio la nostra riflessione è quello condotto da Cuny [7], nel quale va sottolineata l’ipotesi operativa di notevole interesse. Come vedremo più avanti, questa stessa ipotesi verrà convalidata dagli altri due linguisti.

L’idea di Cuny fu di scindere la forma i.e. * Kwetwor in due parti. Così facendo lo studioso ottenne l’isolamento di due elementi costitutivi: * Kwe e –twor. Ma quale valore viene attribuito a queste due componenti? Cuny  riconosce per * Kwe un valore generalizzatore, senza fornire ulteriori spiegazioni o indicare possibili percorsi di ricerca.

Tre dita su una betulla
Tre dita su una betulla

Una risposta molto interessante , che sollecita la nostra ricerca, viene data invece per l’ elemento –twor. Cuny  mette in relazione questa forma con l’ i.e. * Trei, forma ricostruita per il numerale tre. Ma come si può facilmente notare, fra le due forme esiste una differenza morfologica: twor presenta la semivocale w, mentre *Trei non presenta tale caratteristica. Lo studioso spiega la divergenza affermando che in *–twor si è realizzata l’infissazione della semivocale, fenomeno ritenuto da questo stesso come tipico di un’ epoca antica dell’indoeuropeo.

Bisogna ammettere che la conclusione di Cuny non fornisce una risposta esauriente alla nostra discussione, in quanto va ad arrestarsi in un punto vago, senza sviluppare o spiegare ulteriormente l’ ipotesi avanzata. Nonostante tutto è necessario riconoscergli il merito di aver indicato una possibile strada per la formulazione dell’etimologia dell’ i.e. * Kwe . Continuiamo nella nostra esposizione prendendo in esame l’ esito della ricerca di Carnoy.

Carnoy condivide l’ impostazione metodologica precedente separando l’i.e. *Kwetwor in due elementi. Lo studioso fornisce delle spiegazioni differenti e delle risposte ove prima mancavano, dando diverso significato a ciascuno dei due elementi.

Come fatto nuovo e rilevante Carnoy  identifica i.e. * Kwe con una congiunzione, mentre mette in rapporto *–twor con *–teu. Quest’ ultimo è la forma ricostruita per il nome del quarto dito, ovvero l’ indice, quello che permette di  sviluppare il massimo della forza.

In questo modo Carnoy  compie un passo in avanti arricchendo il nostro esame. Le sue risposte sono facilmente analizzabili: * Kwe è identificabile con la particella enclitica latina que. Una spiegazione più interessante si prospetta invece per * –twor, che indica il dito indice, ovvero il quarto dito a partire dal mignolo. In questa prospettiva sembra intravedersi il metodo usato dalle popolazioni indoeuropee per contare. Così potremmo affermare che l’indoeuropeo iniziava il computo partendo dal mignolo per finire con il pollice[8], inoltre che non aveva un nome per il numero quattro, sostituito dal nome del dito stesso. La posizione di Windekens è probabilmente quella che, meglio delle precedenti, ci mette nella condizione di dare delle risposte a quesiti lasciati insoluti.Gabriele Costa, Sulla preistoria della tradizione poetica italica

Lo studioso fonda la sua analisi sulla stessa prospettiva metodologica da cui parte Carnoy, identificando * Kwe con una congiunzione, ma proponendo una nuova ipotesi per *–twor. Questa forma infatti viene affiancata all’ i.e. * Twer, Twr, con il significato di “attorniare, prendere, tenere”. E’ qui il caso di rilevare la prima novità riportata da Windekens: Carnoy aveva identificato i.e. *–twor con un sostantivo, mentre Windekens vi riconosce una radice verbale. Questa spiegazione suggerisce l’ immagine della mano (escluso il pollice) che con le quattro dita stringe un oggetto.

Con questa ipotesi siamo in grado di completare la risposta che con Carnoy abbiamo semplicemente accennato sul modo di contare che poteva essere in uso presso le popolazioni indoeuropee.

L’uomo indoeuropeo probabilmente iniziava a contare partendo, a mano aperta, dal mignolo per fermarsi al pollice. Il procedimento si espletava con la chiusura progressiva di un dito per ogni numero, cosicché, arrivati a quattro      (all’ indice), le quattro dita contate sono chiuse come nell’ atto di afferrare qualcosa.

Allo stesso modo Windekens riserva una notevole attenzione anche al primo elemento : * Kwe. Egli, oltre ad identificarlo con una congiunzione, indaga allo scopo di individuarne la possibile origine. Il suo esame prende una via più ampia ed arriva a coinvolgere l’ i.e. * Penkwe, forma ricostruita per il numerale cardinale cinque. Windekens separa l’ elemento * Pen– e l’ elemento * –Kwe . Ma perché in * Penkwe la congiunzione occupa la posizione finale, mentre in * Kwetwor si trova all’inizio di parola? Lo studioso afferma che * Kwe , essendo una particella enclitica, deve occupare sempre la parte finale del nome.

La congiunzione della forma ricostruita per quattro, in conclusione, deve appartenere al numero precedente, al tre che, a sua volta, lo collega al due. In base a tali asserzioni potremmo dedurre che il parlante indoeuropeo abbia perso la coscienza funzionale della particella enclitica ( legge dell’ oblio) lasciando che quest’ ultima andasse a formare, per un fenomeno paratattico, un’unica unità con * –twor.

La sequenza numerica che Windekens ricava è del tipo: 1, 2 e 3, 4 e 5[9], ammettendo che solo quattro e cinque hanno conservato tracce della congiunzione. Tracce peraltro scomparse negli altri numeri dell’ insieme che abbiamo preso considerazione.

A conclusione del suo intervento Windekens ipotizza una sequenza numerica del tipo 1, 2 e 3 e 4 e 5. Tuttavia, e in virtù di quanto esposto finora, ci sembra che la sequenza ipotizzata potrebbe essere soggetta ad un’ ulteriore interpretazione Infatti potremmo ritenere che, nel caso di quattro, la congiunzione non è scomparsa bensì non vi è mai stata.

Tre e cinque potrebbero essere i soli due numerali che abbiano avuto e conservato tracce della particella enclitica. Tre e cinque rappresentano due momenti limite nel corso della enumerazione. Nel nostro caso al tre abbiamo la rottura della prima scala numerica che coincide con l’ identificazione dell’insieme che la percezione immediata, senza ricorrere al computo, ci permette di individuare[10]. Segue quattro, conteggio vero e proprio, in quanto il nostro cervello individua due insiemi di due unità o un insieme di tre unità e uno di una unità.  Infine cinque, limite della seconda scala numerica, quella più immediata e più usata dall’uomo: le dita della mano[11].

Julien Ries (cur.), Traité d'anthropologie du sacré, volume 2: L'Homme indo-européen & le sacréDall’analisi degli studi condotti da Cuny, Carnoy e Windekens siamo riusciti ad ottenere una possibile risposta al quesito posto all’inizio della nostra trattazione, individuando *–twor come il significante di quattro.

Un ulteriore spunto al nostro lavoro è lo studio proposto da Martinet[12], che va a porsi in una posizione alternativa rispetto ai discorsi finora citati. Martinet sembra tener conto della metodologia introdotta da Cuny solo in parte. Anch’egli scompone l’ i.e. *Kwetwor in due elementi, isolando però  * Kwet e –wor. Il suo discorso insiste sull’elemento *–wor, tralasciando di chiarire la funzione di * Kwet.

Martinet afferma che –wor si alterna al femminile con la forma i.e. *sor , nota in i.e. *Swe-sor. Questa forma, secondo il linguista, sarebbe formata da *Swe–, con il significato di “se stesso” e da *–sor, con il significato di sorella, donna di casa nostra, ovvero della grande famiglia.

Nella sua osservazione, Martinet segnala un’altra forma in cui è presente l’ elemento –*sor: l’ i.e. *Uk–sor, avente il significato di sposa, donna che viene da altrove. Riguardo all’elemento iniziale * Uk– Martinet non fornisce alcuna spiegazione rimandando al latino e all’armeno[13]. In conclusione l’ ipotesi avanzata da Martinet finisce per interessare un settore che non è quello dei numerali e, in tutta evidenza, manca di apportare chiarimenti di rilievo alla nostra discussione.Introduction to the Indo-European Linguistics

Rivolgiamo ora la nostra attenzione alla forma ordinale del numerale. Il sistema numerale indoeuropeo  è molto sviluppato e nella ricostruzione si è potuto stabilire che, per la formazione degli ordinali, venivano impiegati dei suffissi. Tuttavia esaminando attentamente la sequenza ordinata che va da primo a decimo, sembra difficile fissare una regola precisa nel passaggio dal cardinale  all’ordinale. In particolare in primo e secondo è quasi impossibile individuare quale principio governi tale passaggio. Nella sequenza che va da terzo a decimo, invece, settimo e nono mostrano il principio della tematizzazione del cardinale, da terzo a sesto riscontriamo vari suffissi. I suffissi ricorrenti sono: yo , to , ro  ,mo. Nel suo studio sui numerali indoeuropei  Szemerényi [14] riporta per l’ ordinale quarto le seguenti forme: P. i.e. *Kw tur-o , Tardo i.e. * Kwtur-(i)yo Post i.e.             * Kwetur-to, *Kwetwr-to.

Nell’ambito di queste forme ricostruite e riportate da Szemerényi, una particolare attenzione deve essere rivolta alla forma * Kwtur (i ) yo di epoca tarda ma riconosciuta dal linguista come la più arcaica[15]. Szemerényi, per chiarire la sua asserzione, ammette una relazione con la forma dell’ ordinale i.e. *Triyo, che indica il terzo. Il rapporto dei due ordinali viene giustificato in base all’ uguaglianza dei suffissi applicati ai numerali cardinali. Lo studioso afferma che fra le due forme ha agito un fenomeno di analogia, per cui il primitivo i.e. *Kwtur-o avrebbe cambiato la finale in *–( i ) yo sull’esempio dell’ordinale che lo precede. Quanto appena riportato serve a rafforzare l’ ipotesi in precedenza proposta, secondo la quale la forma i.e. *Kwetwor porta nell’elemento twor il significato del numerale. La forma P. i.e. *Kwturo può essere analizzata seguendo la metodologia adottata per *Kw etwor. In seguito a tale procedimento otteniamo tre elementi: * Kwe, –tur–o. In base alle conoscenze acquisite nel corso della nostra ricerca possiamo dare un significato ad ognuna di queste componenti. La prima parte è identificabile con la congiunzione, il secondo elemento rappresenta il numero e l’ ultimo elemento isolato costituisce il suffisso che dà il significato di ordinale.

Per portare ad una conclusione questa ricerca e corroborare le ipotesi fin qui esposte, prendiamo come riferimento uno studio condotto da Sommer[16]. Nella sua analisi Sommer riporta la forma Ittita  Duyanalli, titolo di un ufficiale di palazzo, e afferma che tale termine ha come radice un numerale. In particolare lo studioso dichiara che il termine ittito è basato sull’ ordinale  tuyana, che, a sua volta, viene identificato come una forma ampliata di tu ( r ) ya ancora con il significato di quarto.

Note


[1]Pedersen, KZ. 32 (1893); Muller, IF. 44. (1927)

[2]Così afferma anche Buffa citando, a sua volta Menninger. Giovanni Buffa, Tra numeri e dita, Bo, Zanichelli, pag. 55.

[3]Fenomeno articolatorio per cui due suoni contigui tendono ad assumere tratti comuni.

[4]Buffa, pag. 55.

[5]Buffa, pag. 56.

[6]Windekens, IF. 87, 1982, pag. 8.

[7]Etudes prégrammaticales sur le domaine des langues indoeuropéennes et chamito-semitiques, Paris, 1924.

[8] Lo stesso metodo è diffuso tra le popolazione Aiome e Kewa della Nuova Guinea. Buffa, pag. 48.

[9]Per una maggiore facilità considereremo una numerazione limitata alle prime cinque unità.

[10]Buffa, pag. 16.

[11]Buffa, pag. 17.

[12]André Martinet, Des steppes aux océans, Paris, Payot, 1987.

[13]E’ in queste lingue che se ne trovano le prime tracce. Martinet, pag. 204.

[14]Oswald Szemerényi, Studies in the indo-european system of numerals, Heidelberg, C.Winter university Press, 1960.

[15]Szemerényi, pag. 80.

[16] Sommer, IF 59, 1948.

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Toni Marzetti è docente di lingua inglese presso la Scuola di Lingue Estere dell'Esercito, Perugia. Dopo la laurea conseguita all'Istituto Universitario Orientale di Napoli, con una tesi in linguistica generale, si è trasferito a Londra dove ha frequentato un Master in linguistica presso una delle Università, conseguendo la specializzazione in Fonetica (I.P.A.). A Londra si è dedicato soprattutto all'insegnamento di lingua e letteratura italiana presso il Morley College e il Dulwich College con una collaborazione presso la North London University. Ha svolto in parte una ricerca (P.h.D. ) presso l'università di Reading in Stilistica. I suoi principali interessi sono nella fonetica e nella linguistica storica. Toni Marzetti può essere contattato all'indirizzo e-mail toni@pievesp.it.

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