L’uomo, malgrado tutto, deve recuperare dentro di sé la lucidità dell’intelletto, la forza dell’animo e la purezza del cuore che gli permettano di ritrovare quella via spirituale smarrita da troppo tempo nei labirinti delle suggestioni e delle falsificazioni di un mondo disumano e globalizzato. Tale ricerca, mai come oggi si rende assolutamente necessaria prima e al di là di qualunque impegno esterno.
Il fatto è che il materialismo come schema rassicurante di spiegazione del mondo è scientificamente falso, divenendo unicamente la sostanza oscura e brutale del nostro essere posti “fuori” dall’unica Realtà conoscibile e sperimentabile. Con l’isteria frenetica per la ricerca del successo e del piacere, con la potenza disanimata ed in fondo illusoria della scienza e della tecnica moderna, l’uomo ha costruito un mondo artificioso alterando irreparabilmente i ritmi della natura, scatenando forze che non riesce più a controllare; tutto ciò avendo necessariamente come controparte interiore il crescere dell’aridità, dell’angoscia, del vuoto, della banalità ed inutilità di un’esistenza priva di qualunque giustificazione profonda e riferimento superiore. Da ciò, come reazione, un proliferare vorticoso di sette, centri, gruppi ed associazioni, ognuno con una sua proposta salvifica; dottrine orientali mal comprese adattate ai peggiori pregiudizi della cultura moderna, malsana curiosità per il subcosciente ed il paranormale, ritorno morboso di interesse per le varie forme di magia e di occultismo, proposte di un ritorno alla Natura nel segno di un panteismo promiscuo e ed irrazionale, dove la personalità si perde e si annulla nell’ambiguità di un “Infinito” non meglio specificato. Tutto il mondo variegato e tentacolare del neo-spiritualismo contemporaneo, dove si finge luce nelle tenebre, dove al di là delle diversità delle forme si riflette un identico clima di confusione, di stanchezza, di evasione, e dove, soprattutto, al di là delle intenzioni ed aspirazioni dei singoli, troppo spesso viene ad essere propiziata l’apertura alle forze infere e demoniache del subumano, fenomeno terribile e sinistro, che si riflette ormai anche in numerosi episodi di cronaca giudiziaria quotidiana.
In tale situazione, affinché la ricerca di una via spirituale non diventi una sterile speranza o una pericolosa illusione, bisogna intanto comprendere che questa ricerca deve, per ogni uomo, come regola, iniziare dalla conoscenza della propria ed originaria Tradizione, e per noi, per l’uomo Occidentale ed Europeo, tale originaria Tradizione non può essere che la Tradizione Romana, intesa non come vuota e retorica ripetizione di un passato che non può rivivere, ma come adesione integrale, adattata ai tempi, a quei principi eterni di verità contenuti negli antichi simboli, che coniugano il sensibile e l’intelligibile: i due piani dell’essere unitario. Solo così il ritorno alla Romanità potrà diventare una forza capace di agire sul nostro nucleo più profondo, all’interno del nostro cuore, dando alla nostra vita un preciso orientamento. Lo ripetiamo, l’Europa, tutti i popoli europei, non hanno altra loro Tradizione giuridica, politica e religiosa all’infuori di quella Romana, da realizzare nell’armonia e nella totalità dei suoi sviluppi; nella sublimazione dell’ascesi dell’Azione e cioè nella sintesi spirituale superiore della concezione giuridico-religiosa dell’Imperium come ordinamento sovranazionale comprendente libere città con le loro libere magistrature e della Pax Augusta. E vorremmo che fosse chiaro che il ritorno in tal senso alla Tradizione Romana significa evocare la totalità di un mondo dove il Vero, il Bello e la organica giustizia sociale si realizzano nei simboli della “Sancta Res Publica” e del “fascio” come punto di confluenza e di equilibrio armonico degli opposti nel superamento degli egoismi particolari; e che non si tratta di trasformare il mondo in un’assise di asceti e di guerrieri, ma semplicemente permettere a ciascuno lo sviluppo normale della propria natura, secondo il principio dell’ “unicuique suum tribuere”. Ciò significa che devono essere il Diritto e l’Etica religiosa a governare politicamente l’economia e non il contrario come pretende la cultura materialistica dominante. Solo in tale guisa è realizzata la giustizia che è proporzione armonica e “musicale” dei diversi, abbracciati nella concordia e ciò è il fine ultimo, la stessa ragione d’essere dell’Ordine Politico, degno ditale nome, proprio perché imitazione dell’Ordine dell’Universo.
Nessun compromesso può ormai salvare l’Europa se non il ritorno risoluto alla verità, e quindi a ciò che è sacro e metafisico. Da secoli il centro del mondo è in Roma, intesa non come sede di un particolare potere politico o religioso, né come megalopoli moderna, né come capitale di un Impero che fu, da venerare errando tra rovine archeologiche come nell’ossario di un vasto cimitero, ma preciso punto focale di quella geografia sacra conosciuta dagli Antichi e completamente ignorata dai moderni. Luogo di forza assoluta, punto di incontro e di contatto tra Cielo e Terra, porta sacra attraverso la quale si manifestano luminose influenze spirituali; tale è per noi il segreto della perennità e dell’ “aeternitas”di Roma. In Roma s’incentra così ogni inizio ed ogni fine, ed ogni tensione di rilievo, ovunque si svolga, è legata con vincoli sottili ed arcani al cuore del Lazio, e sacre valenze dei vari popoli e luoghi del mondo potranno ritornare ad agire sulla realtà con il loro potere, solo se prima, in Roma, il fuoco dei nostri padri tornerà a manifestare la sua luce. Giacché spesso ci troveremo ad usare il termine Tradizione, rimandando agli scritti di Maestri come Evola e Guénon per un necessario approfondimento, vogliamo qui sinteticamente ricordare che per Tradizione intendiamo quell’insieme di norme di carattere religioso, giuridico, etico e sociale, interessanti pertanto tutti i domini della vita, con le quali viene gerarchicamente stabilito e mantenuto l’effettivo contatto tra il divino e l’umano, permettendo così ad ogni uomo di realizzare, ciascuno secondo le proprie possibilità, l’unico vero ed altissimo scopo della vita: il ritorno al Divino, qui nel mondo, mediante l’esperienza simbolica e sacra dello stesso in tutte le sue manifestazioni, superando la fallace illusione della dualità.
Secondo innumerevoli testimonianze addotte da vani testi sacri appartenenti a diverse culture, al di sopra di tutte le varie Tradizioni vi è stata la Tradizione Primordiale o Iperborea la cui sede corrisponde oggi alle regioni nordico-polari, nella quale l’adesione dell’uomo al principio divino era diretta immediata e risolutiva fino all’identificazione assoluta. Dalla Tradizione Primordiale Nordico-Iperborea, eccelsa sorgente purissima, sono derivate come grandi fiumi volti ad irrigare e fecondare le valli, le varie Tradizioni d’Oriente e d’Occidente, di quelle che si è convenuto definire civiltà Indo-Europee, tutte collegate alla Tradizione Primordiale, cui devono l’ortodossia dei loro principi e l’efficacia dei loro metodi atti a ricongiungere l’uomo al principio divino.
Improvvisamente appare una nuova visione del mondo
Nei secoli che vanno dal VII al V a.C. una profonda crisi altera il retaggio della Tradizione in Oriente come in Occidente. In Cina, in India, in Iran, vi è ancora la forza di reagire, la dottrina metafisica di Lao Tse, le riforme sociali di Confucio, il realismo trascendente del buddismo, gli insegnamenti religiosi di Zoroastro, contrastano nei vari domini dell’esistenza l’azione delle forze dissolutrici. Altrove le resistenze sembrano travolte. In Egitto la religione lunare e sacerdotale di Iside prende il posto della sacralità regale dei Faraoni, in Grecia il nudo, severo e geometrico stile dorico ed apollineo è alterato dall’empito dionisiaco, dalla fascinazione afroditica. Nel sensualizzarsi della vita, nel prevalere estetizzante delle involute e raffinate forme ioniche e corinzie, riemergono forze pre-elleniche, ritorna un naturalismo orgiastico, rivivono quelle divinità femminili e notturne dalla testa d’asino e di serpente già vinte dagli Indo-Europei della stirpe sacra e guerriera degli Eraclidi, già domate dal gesto di comando e dallo sguardo luminoso dell’Apollo Iperboreo.
Con l’aprirsi alle dimensioni inferiori dell’esistenza, nella vertigine di una caduta, la mente dell’uomo genera tutti i fantasmi che lo corromperanno, tutte le illusioni e le falsificazioni che avranno nel mondo moderno con la sua volontà livellatrice il loro pieno sviluppo verso l’indifferenziato. Non più la verità perenne del simbolo oltre lo spazio, la grandiosità dell’Epica, il “creare” impersonale del Mito che sovrasta il tempo, il diritto e la legge come imitazione dell’ordine divino del mondo; ma le fragili opere del letterato, l’individualismo effimero dell’artista, la stessa norma giuridica che dipende dalle contingenze, dalle opinioni, dalle mode. Non più la Conoscenza dell’Universo attraverso i simboli viventi della Natura, ma il limite dell’indagine fisica, il vincolo oscuro delle leggi della materia. Non più la Sapienza Apollinea Trascendente, la potenza del Rito sia giuridico che religioso, la certezza dell’intuizione simbolica e quindi metafisica ma lo speculare del razionalismo, le vane costruzioni della filosofia sofistica, a cui reagì solo il divino Platone, le prevaricazioni dell’umanesimo, gli sfaldamenti del sentimentalismo.
Come una oscura alba l’ultima fase del Kalì-Yuga (era della dissoluzione e decadenza nella tradizione indù) si abbatte sui giorni dell’uomo. La nascita di Roma in tale momento è un’ultima grande reazione giuridico-sapienziale, eminentemente spirituale. Luce improvvisa nel crepuscolo di civiltà millenarie, Roma rappresenta una rinascenza adattata al mutare dei tempi e mediante l’azione guerriera di quella Tradizione Primordiale Nordico-Iperborea che fu patrimonio comune di tutte le civiltà Indo-Europee d’Oriente e d’Occidente. L’essenza di Roma si dissolve qualora non si riconosca in questo retaggio la sua anima più profonda, segreta, misteriosa, e non si veda la sua portata rivoluzionaria nei confronti delle preesistenti civiltà.
Contro le pretese di dominio degli Etruschi, delle colonie Greche e Fenicie, dei vari popoli Italici, contro le loro concezioni del Diritto, della Giustizia, dello Stato, della Religione, improvvisamente appare una nuova visione del mondo, irradiandosi con una forza che assimila e travolge ogni cosa, attualizzandosi nei secoli con tenace e dura volontà, in una tensione continua, in un dramma nel quale vicende e personaggi si elevano al valore di miti e di simboli della perenne lotta tra cosmos e caos, tra luce e tenebre. E questa vocazione a plasmare le forze caotiche ed irrazionali della vicenda umana nell’equilibrio e nell’armonia di un cosmos, che è la legge come natura ordinata dal diritto, rimarrà l’asse immutabile di tutta la Storia Romana, dal primo solco tracciato da Romolo sul Palatino fino all’ultima difesa delle frontiere dell’Impero ai confini del mondo.
Abbiamo accennato alla portata rivoluzionaria che la nascita di Roma rappresenta nei confronti delle altre civiltà Italiche e del bacino del Mediterraneo. Per comprendere ciò è fondamentale partire dal nucleo centrale comune sia al Diritto che alla Religione dei Romani: l’idea di sacralità che si distingue dalle Religioni di altre culture e che può riassumersi nella formula Sacer/Profanus=Publicus/Privatus, formula che ordina tutta la realtà al modo romano che è giuridico-religioso, tenendo così il posto di una cosmogonia, secondo la nota enunciazione di Orazio: “publica privatis secernere, sacra profanis”. Tale formula è potenza creativa, evoca una totalità che non preesiste alla formula ma ne è il prodotto. Ciò vuol dire che prima della collocazione di ogni cosa nell’ambito del sacro e del profano e del pubblico e del privato, nulla esiste, c’è il caos, l’informale, il pre-cosmico, né il cosmo così ordinato è immutabile. Immutabile resta solo la sacralità della formula, ma il cosmo è soggetto all’opera creatrice del rito, anzi non esiste prima di esso; ed ogni suo elemento può essere collocato o trasferito nell’uno o nell’altro campo della formula sacra.
In altre religioni il divenire storico e giuridico viene subordinato alla cosmologia, la storia, non realtà, passa, il cosmo, realtà, resta. A Roma accade il contrario, la storia resta ed il cosmo che si identifica con essa è ordinato dal rito giuridico-religioso. La “storia che resta” non è però una successione di eventi profani, bensì la loro trasformazione in fatti sacri in quanto ordinati e collocati dal Populus Romanus — nella Pax Deorum — nei vari ambiti in cui si realizza l’ordine di Jupiter secondo la formula del sacer/profanus = publicus/privatus. La demitizzazione, fatto precipuamente romano, del tutto nuovo ed eccezionale, non è quindi una carenza, ma una tendenza culturale che già permette di individuare Roma come unità culturale particolarissima ed unica tra le civiltà del mondo antico. Il senso storico, religioso, giuridico e culturale di un’azione demitizzante va ricavato per antitesi dalla funzione del mito. Il mito presuppone una distinzione qualitativa del tempo, da una parte il mitico tempo delle origini, sacro, dall’altra il tempo storico, profano. La demitizzazione presuppone un tempo unico, nel quale, in ogni istante, possa calarsi la sacralità, altrimenti relegata alle origini. Il conferimento di sacralità alla storia, al diritto ed allo Stato, cioè alla Res Publica, è un elemento fondamentale della cultura romana, ed al collegio sacerdotale più elevato, quello dei Pontefici, giuristi e giureconsulti, era devoluto, tra gli altri, il compito di sacralizzare il tempo che diviene così storia sacra del popolo romano e del suo diritto pubblico, tanto che res publica è res sacra!
La creazione giuridica della realtà ed il rapporto con la stessa, oltre che da una qualifica del tempo attraverso l’azione dei Pontefici, dipendeva in grandissima parte da una precisa ritualità. Non esistono religione e diritto senza rito, ma forse in nessuna cultura l’azione rituale è così pregnante e fondamentale come a Roma, tanto che la tradizione romana è giuridico-religiosa, come abbiamo già sostenuto. Vogliamo ricordare che la radice della parola “rito” è la stessa di “rtà”, termine sanscrito che significa: ordine universale, l’idea cosmogonica della religione Vedica. Ciò che intanto va evidenziato è che, tra le varie funzioni, con il rito il romano crea il magistrato, la legge, realizza per il singolo la possibilità di entrare nella storia, con il conferimento attraverso il rito di uno “jus”; ed è proprio la capacità di conferire “iura” a qualificare selettivamente il rito romano. Infatti, senza jura non si sta nella storia e quindi non si esiste. L’aspetto fondamentale consiste nel fatto che lo ‘jus” creato attraverso il rito è sempre ed assolutamente un superamento di uno “jus” naturale, e quindi è il fas dello jus, cioè il dhàrman del rtà, l’ordine del rito secondo il diritto degli dèi.
Lo ius naturale era chiamato “ius gentium”, e con tale termine s’intendevano a Roma le gentes, le varie unità familiari, all’esterno le grandi unità etniche definite “nationes” e contraddistinte da un “nomen”, tanto che “nomen” diventa sinonimo di “natio”. Lo ius naturale è un “ius sanguinis”, esso deriva unicamente dall’esser nato in una data famiglia o in una determinata nazione. Lo ius conferito dal rito, dove il significato autentico del primo combacia con quello del secondo, è invece un “ius civile”, deriva dalla partecipazione alla “civitas” e testimonia il superamento dello ius naturale; il che in termini storici si realizza, rendendo prima all’interno “cives romani” i plebei, poi all’esterno le “nationes”. La formula sacer/profanus = publicus/privatus, nasce pertanto dal superamento di una condizione nella quale al posto dello “ius civile” e dello “Stato” Romano, (che è la res publica la quale è in sostanza res populi) esistono le comunità ed etnie formanti le varie “Nationes” dei popoli italici. I singoli, detti privi, sono collegati per nascita ad un territorio che fa capo ad un tempio, detto “fanum”, ed ognuna di queste unità politico-territoriali è sorretta religiosamente dal culto al proprio fanum. In tale situazione, ogni rapporto con il sacro si svolge nei limiti della distinzione tra ciò che appartiene al singolo (pro-privo, propius) e ciò che appartiene al fanum (pro-fano, profanus). Contro questo stato di cose si contrappone la “civitas”, Roma, che assorbe e trasforma le comunità dei fana. La figura giuridica del “civis romanus” rompe la relazione che legava il singolo al fanum, viene così a cessare la contrapposizione propius/profanus. Il “civis” esiste ora in relazione alla “civitas”, venendo così a formarsi una nuova contrapposizione, quella tra publicus (ciò che appartiene al populus come totalità dei cives) e privatus; e quindi sacro = pubblico; profano = privato. Ed è la nascita della nozione stessa di diritto pubblico (che è solo occidentale: la cultura orientale la ignora) e che contiene, semanticamente, la congiunzione, tipicamente romana, dell’idea del sacro con quella della comunità.
La rottura dei rapporti con il fanum comporta anche una rivoluzione religiosa oltre che giuridica e politica. Il termine profanus non indica più “ciò che è stato dedicato ad un Dio”, ma ora indica “ciò che è lontano dal sacro”, e questo nuovo significato del termine profano si completa contrapponendosi ad una nuova sacralità, quella appunto di sacer in opposizione a profanus. Tale nuova sacralità non è più quella naturalistica ed in fondo passiva dell’appartenenza ad un fanum, ma quella attiva del “voluto”, secondo il principio fondamentale della spiritualità romana: il voluto è come dato. Tutto appartiene ora alla “civitas” ed è ora l’uomo, con la sua volontà, con il suo sacrificio, con il suo agire in conformità all’ordine divino, anzi realizzandolo, a rendere sacra la realtà, in una sintesi creativa che ancora non conosce la frattura degli Stati moderni tra politica, religione e diritto.
Abbiamo così inteso, con queste poche righe e riprendendo concetti già altrove sviluppati, dare una visione d’insieme degli elementi essenziali che, a nostro avviso, qualificano ciò che, come concezione spirituale della vita e del mondo, si deve intendere per Tradizione Romana. Essa così appare l’anima medesima, anche se purtroppo dormiente ed appesantita da un ottundimento ormai secolare, dell’uomo europeo, la sua unica via di salvezza dalla decadenza totale che lo travolge.
(saggio pubblicato sulla fanzine Camelot e nel libro Res Publica Res Populi per le Edizioni Victrix).
Luca Valentini
Casalino ringrazia per la pubblicazione e ti saluta cordialmente!
Centro Studi La Runa
Grazie a entrambi voi!