Da Ordine Nuovo a Piazza Fontana

Due volumi su trame di regime e destra extraparlamentare

Al fine di comprendere il momento politico che stiamo vivendo, è necessario fare i conti con quanto accadde negli anni Sessanta e Settanta. In quel ventennio, in Italia si insediò il virus ideologico, che portò l’esplosione della seconda fase della guerra civile. Attentati e stragi, continui scontri di piazza tra “rossi” e “neri”, ebbero per esito il rafforzamento del Sistema. Gli uomini di Potere, perseguirono il consolidamento dell’ordine geopolitico e degli assetti economici scaturiti dalla fine del secondo conflitto. Due recenti pubblicazioni, comparse nel catalogo dell’editore Mimesis, riportano l’attenzione su quegli anni. Ci riferiamo al volume di Aldo Giannuli ed Elia Rosati, Storia di Ordine Nuovo. La più pericolosa organizzazione neo-fascista degli anni Settanta (euro 18,00) e al libro-intervista di Andrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana, Noi sapevamo. Golpe e stragi di Stato. Le verità del generale Maletti (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, 02/24861657, euro 18,00).

Il primo testo è il risultato di un quindicennio di ricerche, condotte presso disparati archivi giudiziari ed Istituti, commissionati dall’Autorità giudiziaria di Milano e Brescia, nonché dalla Commissione Stragi. La documentazione rintracciata si riferisce alla fondazione di Ordine Nuovo da parte degli scissionisti, a seguito della celebrazione del congresso milanese del MSI nel 1956. Le pagine del volume attraversano la storia di ON, presentandone i momenti salienti. Giannulli sostiene che la crescita del gruppo fu determinata dalle relazioni con l’Internazionale Nera, in primis con il movimento per il Nuovo Ordine Europeo dello svizzero Amaudruz e poi con Jeune Europe di Thiriart. Rapporti mirati ad ottenere finanziamenti, sarebbero stati intrattenuti con l’Egitto di Nasser. Rauti ed Evola, riferisce l’autore, stando alla fonte del Sifar “Fabiano”, si sarebbero incontrati a Roma con un certo Assan Soliman, alias Ahmed Hakim, funzionario dell’ambasciata egiziana presso la Santa Sede. Questi si sarebbe attivato per far avere crediti al periodico “Ordine Nuovo”, per non meno di 15 milioni di lire annui. Il libro che presentiamo è costruito interamente su notizie di questo tipo, voci di informatori, documenti giudiziari.

Ciò che riteniamo manchi, per formulare un giudizio obiettivo su ON, è la voce dei protagonisti di quell’esperienza. La cosa rilevante che emerge da queste pagine, è che, sulla scorta di consimili movimenti europei, e per l’influenza delle tesi di intellettuali quali Bardèche e Nolte, anche ON, ad un certo momento della sua storia, tentò un’operazione simmetrica a quella entrista, messa in atto dai partiti comunisti attraverso l’antifascismo: saldare l’anticomunismo “bianco” a quello “nero”. L’operazione venne meno all’inizio degli anni Ottanta. Vogliamo qui discutere della seconda parte del libro, in cui Elia Rosati si occupa della cultura politica del primo ON (1955-1965) e del magistero esercitato da Evola nei confronti del gruppo. Il tutto prese avvio dalla casuale lettura di Rivolta, nella biblioteca del carcere di Regina Coeli, da parte di alcuni giovani del neo-fascismo romano, fino ad allora attratti dall’antroposofia di Steiner. Il narrato prosegue ricordando una missiva del filosofo a Melchionda, nella quale chiedeva al corrispondente di inviare scritti alla rivista ON. Il pensatore aveva accolto positivamente la nascita e lo sviluppo del movimento di ispirazione tradizionalista e il suo contributo, rileva l’autore, risultò imprescindibile “per strutturare la raffinata cultura politica di ON” (p. 220). Evola, a volte, fu costretto a “sintetizzare […] a semplificare per ragioni di pedagogia militante […] le sue opere” (p. 224).

Rosati sembra sposare le tesi di Franco Ferraresi, sostiene che, tra gli assi teorici fondamentali di Evola,  ON assunse “la rivalutazione del Ventennio e del Terzo Reich” (p. 226).  Tale rivalutazione fu tratto peculiare di ON, non certo di Evola! La produzione teorica coeva del filosofo, da Gli uomini e le rovine e a Il fascismo visto dalla destra con note sul III Reich, è tesa a porre su piani diversi la “Tradizione”, nella quale il pensatore si riconosceva,  e i regimi fascisti  che egli contribuì a demitizzare. Gianfranco de Turris ha ricordato come ON prese le distanze dai saggi dottrinali che Evola pubblicava sulla omonima rivista (cfr. Nota, in Mito e realtà del fascismo,2014), critici nei confronti dei regimi in questione. Inoltre, è vero che Evola accolse positivamente l’Asse Roma-Berlino, nel senso di un ritorno simbolico delle “Due Aquile”, ma in tale tesi non si celava affatto una considerazione benevola del nazismo. Rispetto all’hitlerismo, Evola fu sempre critico. La sua azione politica, durante il ventennio mirò ad una rettificazione del regime, nel secondo dopoguerra puntò a far risorgere una Destra tradizionale, il cui modello era prossimo a quanto pensato da Spann e Heinrich. Una Destra aristocratica, valorizzante il principio di sussidiarietà, i corpi intermedi e  l’Imperium, cosa assolutamente altra dall’esaltazione del Führerprinzip. Pur partecipando al congresso sulla razza di Erfurt, organizzato da Rosenberg, la posizione di Evola in tema fu in totale disaccordo (razza dello spirito) con quella del nazismo. Nelle opere del filosofo ci si imbatte in giudizi decisamente negativi nei confronti dell’autore del Mito del XX secolo. Per queste ragioni fallì anche il tentativo evoliano di fondare una rivista italo-tedesca, Sangue e spirito.

Il secondo volume raccoglie un’intervista all’ex generale del SID, Gian Adelio Maletti. L’intervista-interrogatorio è stata realizzata in Sud Africa, dove l’ultranovantenne militare, condannato in via definitiva nei processi per la strage di Piazza Fontana, vive da anni. La tesi che emerge dalla lettura è quella, oramai consueta, della strage, meglio delle stragi, di Stato. Per la verità, le risposte di Maletti non sempre confermano le tesi esposte dagli intervistatori: l’ufficiale dei Servizi si limita a dire: “Non ricordo”, “E’ passato troppo tempo”, “Non ero informato”. Non entriamo nel merito della discussione dei temi processuali. Resta il fatto che la lettura ci pone di fronte a questioni rilevanti.

Paolo Biondani, in Prefazione, rileva che gli iscritti alla Loggia P2 di Gelli, negli anni delle stragi, annoveravano personaggi di primo piano delle gerarchie militari mentre, dopo il 1976, vennero reclutati politici, finanzieri, imprenditori. I nuovi “fratelli” avrebbero dovuto mettere in atto il “piano di rinascita democratica” che trovò, a dire di Biondani, realizzazione nella diffusione dello stile di vita consumistico e gaio, introdotto dalla TV commerciale. Piano perfettamente riuscito. In ogni caso, è bene tenere a mente che, tanto la presunta strategia della tensione filo-golpista, quanto la sua variabile massonico-consumista, nulla avevano a che fare con i principi dell’Ordine, che taluno dei protagonisti di quegli eventi tragici pensava di incarnare.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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