Chi avrà letto Il mito del sangue di Julius Evola (se ne veda l’edizione del 1942 riproposta nel 1995 dalle edizioni SeaR di Borzano) ricorderà certamente l’esposizione fatta dall’Autore delle affascinanti (e troppo spesso eccessivamente fantasiose) teorie di Herman Wirth. Lo studioso olandese, dopo aver evocato la famosa “Patria Artica” e l’Atlantide di Platone aveva supposto che numerose migrazioni avessero portato gli Arii fin nelle regioni più remote se non nell’Australia (Evola, op. cit., p. 177). Senza risalire, almeno per ora, a tempi così remoti (e “favolosi”), possiamo dire che gli esploratori europei ebbero spesso modo di notare tra gli isolani del Pacifico, specie tra i ceti più elevati, elementi assai simili agli Europoidi. Nel suo Viaggio attorno al mondo (1772) il francese Louis Antoine Comte de Bouganville scriveva che “gli abitanti di Thaiti consistono in due razze di uomini molto diverse tra loro… la prima produce uomini di grande taglia, ed è molto comune vederli misurare dal metro e 80 di altezza in su. Non ho mai visto uomini fatti meglio. La seconda razza è di taglia media, con capelli crespi e non differiscono molto, per il colore della pelle, dai mulatti” (cit. da A. Salza, Atlante delle popolazioni, ed. Garzanti, Milano 1997, p. 259). Più recentemente l’antropologo francese Luois Figuier (Le razze umane, fratelli Treves, Milano 1874) scriveva a proposito degli abitanti della Micronesia: “I capi… sono più bianchi e meglio fatti degli altri isolani” (p. 244), e intorno alle donne di Thaiti (p. 240): “Il colore della loro pelle ordinariamente color rame chiaro. Alcune tuttavia sono rimarchevoli per la bianchezza e specialmente le spose dei capi”.
L’italiano M. Canella nel suo Razze umane estinte e viventi (Sansoni, Firenze 1942, p. 248) scriveva: “…il biondismo dei Polinesiani, frequente pare in passato e del quale si è conservato il ricordo nelle tradizioni e nei miti, ha fatto supporre l’esistenza di un elemento nordico e protonordico nei loro antenati”. Altri dati li forniva Alain de Benoist nel suo Visto da Destra (Akropolis, Napoli 1981, p. 91): “In un resoconto di Pedro Fernandez de Quiros, che fu pilota di Alvaro Mendana de Neira all’epoca in cui questi scoprì le Isole Salomone, si può leggere che “Gli indigeni dell’Isola della Maddalena sono quasi bianchi. Hanno i lineamenti regolari e gradevoli, dei begli occhi, lo sguardo dolce, i denti bianchi e ben sistemati. La maggioranza ha capelli biondi…”. Esistono decine di testimonianze di questo genere che riguardano le isole Sandwich, le Molucche, le Marchesi… ancora nel 1902 Paul Huguenon osservava che le famiglie dei grandi capi di Nouka Hiva (una delle Isole Marchesi) si chiamano Arri, il loro colorito è più chiaro, gli occhi sono bluastri, i capelli tendono verso il rosso”.
Abbiamo ripreso questi vecchi appunti dopo la lettura di R. Thorsten, Lords of the Soil. The Story of Turehv. The White Tangata Whenua, edito dalla neozelandese Spectrum Press e ottenibile dalla Renaissance Press (P.O. box 1627 Papaparaumu Beach, New Zealand – di quest’ultima segnaliamo il catalogo assai interessante). L’autore inizia prendendo in esame alcune leggende dei Maori della Nuova Zelanda in cui si fa cenno, talvolta in toni fiabeschi, a genti che avrebbero preceduto i Maori stessi nell’occupazione di tali isole così da poter essere considerati gli autentici “Signori della Terra” o “Tangata Whenua”. Costoro, talvolta, verrebbero descritti di carnagione chiara, capelli biondi o rossi e occhi azzurri. Trasparirebbe perciò il ricordo di abitatori precedenti detti anche “Turehu” o “Patapairehe”, i cui caratteri “caucasoidi” riapparirebbero saltuariamente, ancor oggi, tra i Maori anche dove questi sarebbero, ancora, immuni da incrocî coi i successivi colonizzatori europei. Le leggende narrerebbero anche di una sanguinosa battaglia detta “dei 5 forti” nella quale i Maori travolsero le difese dei loro predecessori bianchi. Per tentare una spiegazione l’autore tratta delle ardite ipotesi del famoso Thor Heyerdal che credeva di poter collegare i “Bianchi” delle isole del Pacifico con quegli individui assai simili agli europei che gli invasori spagnoli avrebbero notato tra l’aristocrazia dell’Impero Inca. Scriveva l’Heyerdal (Aku-Aku, ed. Martello, Milano 1958, pp. 413-414): “Quando gli Spagnoli scoprirono il Regno degli Incas, Pedro Pizarro scrisse che, sebbene gli Indiani della Ande fossero scuri e di piccola statura i componenti della famiglia regnante degli Incas erano alti e di pelle più chiara degli stessi Spagnoli”.
Lo studioso norvegese ipotizzava infatti un preistorico impero marittimo nordeuropeo esteso a gran parte del mondo. Se è discutibile l’ipotesi di migrazioni dal Sud America al Pacifico, sono senz’altro interessanti le pagine che l’Heyerdal dedicò all’Isola di Pasqua (Rapa Nui). La cultura di quest’isola sarebbe crollata anche a causa della lotta che avrebbe opposto una casta dirigente di aspetto simile a quella degli Europei (le “orecchie lunghe”) a una popolazione più scura (le “orecchie corte”). Ma le vicende di Rapa Nui meritano, senz’altro, che vi si ritorni in futuro. Il Thorsten chiedendosi a quanto remota antichità possa risalire la presenza di bianchi nelle isole del Pacifico giunge a ipotizzare che essa possa, in primo luogo, ricollegarsi all’espansione della “cultura megalitica” alla quale potrebbero attribuirsi varî siti archeologici, in realtà alquanto misteriosi, presenti in alcune isole del Pacifico. A proposito egli cita un significativo brano dal volume del prof. J. Mc Millan Brown, Maori and Polinesian: “… questa abilità nel trasportare enormi lastre di pietra nei tempi antichi deve essere stata… possesso di un determinato tipo di uomini. Non si tratta di uno stadio nell’evoluzione di tutte le razze. Le uniche zone abitate da mongolodii in ui se ne ritrovano tracce sono le steppe dell’Asia, la Siberia meridionale, la Mongolia, la Manciuria, la Corea, il Giappone e la Malesia, l’America Centrale e il Perù. E l’esistenza di genti dal cranio allungato, capelli ondulati e carnagione chiara in parti isolate di queste regioni indica che lo strato mongoloide è posteriore rispetto a un caucasoide precedente. Dovunque… la traccia della Civiltà Megalitica appare, si può dedurre che ivi sia stata presente la parte caucasica dell’Umanità. In breve si può dire che si tratti di una traccia caucasica attraverso il pianeta”. Lasciando da parte il fatto che il termine “caucasico” è ormai del tutto superato, si può dire che tutto ciò sia assai suggestivo anche se necessitante di ulteriori prove.
Proseguendo, il Nostro ipotizza che la stessa Nuova Zelanda sia stata raggiunta, nell’antichità, da navigatori fenici ed egizî. Più che di Egizî, secondo l’Autore, si dovrebbe parlare di Egitto-libici. Sarebbero stati discendenti di quei “Popoli del Mare” che avevano tentato di invadere il Delta del Nilo verso il 1200 a.C. e che, a quanto pare, sarebbero stati, almeno in parte, indoeuropei. Scriveva J. Vercoutter ne L’Antico Egitto (Garzanti, Milano 1960, p. 84): “Tribù ariane si erano sparse in tutta l’Europa meridionale e traversando il mare erano venute a occupare la Libia. Subito cominciarono a cercare di infiltrarsi in Egitto”. Dei “Popoli del Mare” scriveva Gerard Herm (Il mistero dei Celti, Garzanti, Milano 1975): “A contingenti (dei “Popoli del Mare”, N.d.A.) riuscì di fondare la Lega delle Città Filistee… mentre altri si unirono nel Libano ai Cananei aiutandoli all’edificazione del loro Impero commerciale, quello fenicio… erano infatti in grado di costruire navi necessarie per una simile impresa, molto meglio di qualsiasi altro popolo indigeno del Mediterraneo”. È anche da pensare a influssi dell’India, è infatti possibile che l’espansione indù che fu all’origine della civiltà Khmer nell’attuale Cambogia ed ebbe grande influenza sulle culture indonesiane, sia giunta anche a toccare l’Oceania. E, infine, non si vede perché non si possa ipotizzare che i Vichinghi siano giunti molto più lontano di quanto comunemente si pensi.
Ipotesi affascinanti sulle quali potremo ritornare più dettagliatamente in futuro. Quello che ci pare l’aspetto più significativo è il fatto che le testimonianze degli esploratori europei sulla presenza di elementi più o meno simili agli Europei riguardino soprattutto le famiglie dei capi e le “aristocrazie” in genere. Fenomeni simili si riscontrano anche nel sistema indiano delle caste, tra le varie popolazioni africane e, mutatis mutandis, tra gli Afro-americani degli USA. È un fatto sul quale invitiamo i lettori a riflettere.
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Tratto da Algiza 14, pp. 8-9.
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