Lo studio delle varie leggende concernenti il ciclo di re Artù e del mondo cavalleresco ha ricevuto negli ultimi anni una notevole estensione, dovuta anche ad una serie fortunata di films che hanno riproposto al grande pubblico un insieme di narrazioni prima destinate solamente agli specialisti e ad una ristretta cerchia di lettori “affascinata” dal mondo della cavalleria. Tuttavia, i personaggi più importanti e rilevanti del ciclo, come Artù e il mago Merlino, restavano sostanzialmente confinati in un alone di leggenda che rendeva difficile la comprensione della dimensione simbolica da essi coperta. Su Merlino, poi, i libri di interesse serio e di buona dottrina si possono contare sulle dita di una mano e non sono mancati anche in questo caso tentativi dilettanteschi di trasformare questo personaggio sconcertante delle leggende medievali, in una personalità molto vicina alle attese fantasiose del grande pubblico odierno. Ma è il re Artù che ha affascinato generazioni di studiosi e di dilettanti, sempre pronti a farlo uscire dalle nebbie del puro racconto leggendario e capaci di addentrarsi in ipotesi sconcertanti che, come alcune fra le più recenti, ne hanno fatto avventurosamente un eroe scaturito dalle leggende dei popoli delle steppe che dalle nebbie delle terre eurasiatiche ha potuto finalmente approdare in Britannia dopo millenni di vicissitudini. Ci sono stati persino alcuni volenterosi che hanno sottoposto le testimonianze in nostro possesso ad una serrata indagine per provare la realtà storica del personaggio, in questo caso diventato un eroe della resistenza bretone contro i tanti invasori succedutisi nell’isola del Nord. Queste sono solo alcune delle infinite ipotesi fatte per cercare di dare consistenza ad un personaggio che in vario modo e secondo modalità diverse, ha contribuito a formare il modo di vivere di generazioni di nobili e aristocratici medievali che intendevano identificarsi con qualcuno dei tanti cavalieri del seguito di Artù.
È merito di Philippe Walter avere ripreso il dossier concernente questa straordinaria figura di sovrano, avere riesaminato tutte le testimonianze e tentare di delinearne i contorni ad un tempo mitici e simbolici. Walter non è un avventuroso dilettante come se ne trovano ovunque. Prima di affrontare il personaggio di Artù ha studiato il mondo cortese e la letteratura d’oil scrivendo due libri su Chrétien de Troyes e sul complesso mondo letterario nel quale affondano le proprie radici le tante opere dello scrittore dello Champagne. Ha esaminato poi alcuni simboli di quel ciclo narrativo evidenziando l’importanza del corvo e di animali “solari” che spesso emergono da un passato antichissimo. Lo stesso suo studio sul mago Merlino è andato molto oltre i limiti accademici che per es. mostra il saggio di Paul Zumthor, e si è soffermato invece sulla dimensione “sapienziale” di questo straordinario personaggio e sugli aspetti sacrali che traspaiono in molte delle sue azioni. Ultimamente ha analizzato la figura di Galaad e i suoi rapporti con il Graal soffermandosi su aspetti del simbolismo e sull’ambientazione sacra che illuminano molti forme narrative del ciclo in questione. Come si vede, si tratta di uno studioso che da anni conosce la materia e che non indugia sulle mode del momento per ottenere un facile riconoscimento alle eventuali ambizioni.
In questo suo libro Philippe Walter ha il merito di aver analizzato tutto ciò che è stato scritto su Re Artù e sulla Tavola Rotonda tentando un’interpretazione non limitata ai soliti aspetti letterari e narrativi. Ha cercato di penetrare in profondità analizzando il significato di questo personaggio, i simboli che lo concernono, le sue modalità di azione, il tipo di regalità che egli ha incarnato, il rapporto che le leggende stabiliscono con tutta una serie di situazioni e di miti che aiutano a decifrare simboli molto antichi, alcuni addirittura senz’altro precedenti lo stesso mondo celtico. È evidente che un simile metodo di indagine, ricco di riferimenti alle più attente delle recenti metodologie, fa giustizia di interpretazioni al limite della sopportabilità culturale come quelle che caratterizzano certi recenti autori francesi troppo legati al folklore delle loro regioni, nei quali la fantasia spesso prende la mano e si dispiega in personalissime interpretazioni che trasformano i dati folkloristici in quelli che a loro appaiono come strumenti inoppugnabili di indagine culturale.
Walter è molto prudente, non si abbandona ad ipotesi azzardate, saggia la consistenza del materiale giunto fino a noi, lo compara con quello che emerge in altre aree culturali affini, analizza simboli arcaici, in qualche caso risale fino a rituali preistorici, verifica la consistenza del retroterra celtico che alcuni racconti hanno perpetuato. Ne emerge uno studio che dà consistenza al significato simbolico della figura di Artù e le sue attribuzioni diventano mezzi per delimitarne le competenze. Si scopre così il valore dell’orso-Artù e del corvo-Artù, simboli della forza guerriera e in molti casi dell’autorità sovrana dell’eroe; acquistano spessore quei miti che lo riconducono ad un “luogo santo” posto al centro del mondo, là dove si trova un’enigmatica isola che “ruota su se stessa” eternamente irradiata dalla Grazia divina. Lo studio di Walter, senza mai nominarle, toglie consistenza oggettiva alle tesi avanzate recentemente da C.S.Littleton e L.A.Malcor, relative ad un Artù emerso dalle steppe, dalla Scozia a Camelot, come recita il loro libro. Gli eventuali punti di rassomiglianza non sono altro che le caratteristiche di chi combatte a cavallo e ne è necessariamente condizionato nelle forme di combattimento, nel tipo di armatura e nello stesso rapporto con l’animale.
Analizzando poi il tipo di temporalità che ritma le storie e la vita di Artù, Walter scopre che ci troviamo davanti ad una condizione originaria: il tempo di Artù e delle sue gesta non è quello dello scorrimento o del quotidiano, non delimita una “storia”, ma riconduce ad una dimensione nella quale i simboli della “ruota solare” e del “centro del mondo” rivelano uno stadio di felicità perfetta, l’illud tempus delle origini, quando lo scorrimento sembrava essersi fermato, una primordiale montagna edenica dal quale il “Re Orso”, come certi guerrieri-veggenti dell’India tradizionale, è fuoruscito e nela quale, dopo un duello che lo renderà gravemente infermo, il re dovrà essere “riassorbito” in attesa che tempi propizi permettano il suo “ritorno” nel mondo del divenire per condurre la sua ultima battaglia contro le forze del male.
Philippe Walter ha dato gli elementi essenziali per capire il complesso mondo e le leggende che hanno ascoltato generazioni di cavalieri e di nobili.
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Philippe Walter, Artù. L’orso e il re, Edizioni Arkeios, Roma 2006, pp.215.
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