Storia di una renna qualunque

Mikko, la renna, si accorse di essere al mondo la prima volta che si rizzò sulle traballanti gambe. Era molto buffo, Mikko, in quel difficile momento della sua vita: il pelo chiaro chiaro, troppo rado, la testa enorme, sospesa a un  collo tutto rugoso di pelle cascante, una testa della quale si vedevano soltanto due immensi occhi neri. Le gambe sottili erano infilate in zoccoli che sembravano quelli di un altro, perché, si sa, le renne vengono al mondo un pochino sproporzionate. Senza corna e senza coda, Mikko era decisamente ridicolo. In compenso egli era molto felice di essere al mondo. Era nato da poche ore, ma, veramente, gli sembrava di essere esistito sempre, adagiato sul soffice letto di lichene croccante, sul quale ora si teneva in piedi. Tentò di gridare la sua gioia, ma non ne fece nulla: così imparò che le renne sono mute e non gli rimase altra soddisfazione che quella di attaccarsi alle mammelle di mamma renna che ruminava tranquilla.

Nascono le corna

Quando fu in grado di camminare speditamente, Mikko fu accompagnato dalla madre a visitare gli immensi pascoli di lichene, imparò come si possa estirpare il cibo con le radici senza dover inghiottire troppa terra. Erano tutti questi gli insegnamenti che una povera renna poteva dare al figliolo e Mikko gliene fu molto riconoscente. Conobbe presto anche il padre, ammirò le sue folte corna e sentì proprio in quell’istante il solletico che lo avvertiva che presto sarebbero spuntate anche a lui. Allora si sdraiò per terra e strofinò il vertice del cranio contro alcune pietre rugose. Con le gambe in aria si accorse che il mondo, visto alla rovescia, era del tutto differente. Ma questa stupefacente scoperta non ebbe il potere di spiegargli perche mai l’acqua del lago e il cielo avessero lo stesso colore, cioè, secondo i pensieri che possono passare per il capo a una povera renna, sembrassero la stessa cosa.

Poi il branco emigrò, Mikko conobbe le verdi foreste di pini e di betulle, imparò a galoppare sulle lunghe gambe, a sentire nel vento l’odore del lichene e a distinguere da lontano le zone buone per il pascolo. Volle assaggiare anche il muschio profumato e i germogli di betulla. Ma il giorno dopo stava malissimo e aveva completato il primo capitolo delle sue esperienze.

Una sera egli corse spaventatissimo in cerca della mamma. Il sole si era abbassato sotto l’orizzonte e ciò per lui ch’era nato verso la fine di maggio rappresentava una cosa sbalorditiva. M vide la madre che ruminava come nulla fosse accaduto e si sentì più tranquillo. Rimase però vagamente inquieto e l’allegria gli riempì di nuovo il cuore, quando l’astro maggiore, poco dopo, risalì nel cielo. In seguito, un po’ alla volta, si abituò a vederlo scomparire per periodi sempre più lunghi e fece dei lunghissimi sonni come mai gli era accaduto prima di allora.

Un mattino, aprendo gli occhi vide che il pascolo era diventato tutto bianco e che il branco si metteva in cammino tranquillamente come verso una meta invisibile ma sicura. Mikko si sentì stringere il cuore da un presentimento difficile da enunciarsi. Avrebbe voluto abbandonare il branco, andarsene tutto solo per la sua bella tundra in cerca di lichene e di silenzio. Ma ebbe paura di qualche cosa di imprecisabile e e seguì gli altri.

Conoscenza con l’uomo

Così fece conoscenza dell’uomo e del cane, anzi, del cane e dell’uomo, perché fu Trilluk, un fragoroso pastore lappone, che lo costrinse a non abbandonare neppure per un istante il fianco tiepido della madre. Poi scorse uno strano animale che camminava su due zampe, che sembrava una buffissima renna ma non poteva esserlo perchè urlava, urlava, urlava, agitando una lunga frusta. Quando gli fu vicino, Mikko avverti l’odore della morte, perchè lo strano animale era coperto di pelli di renne. Non poteva capire, Mikko, cosa fosse la morte, tanto più che non sapeva neppure di essere nato. Tuttavia cominciò a temere l’uomo.

Nevicava solennemente quando Mikko, confuso fra le altre renne, cominciò, a galoppare in ronda, sollevando una piccola nuvola di polvere di neve. Si fermò quando vide sua madre legata ad un albero, senza immaginare neppure che, così facendo, esaudiva precisamente il desiderio dell’uomo. Questi correva da tutte le parti e, armato di un nodoso bastone, espelleva dal recinto tutti i maschi, di modo che, fra le palizzate artificiali, rimasero ben presto solamente le femmine e i loro piccoli. Allora un uomo si avvicinò a Mikko con un oggetto lucente nella mano destra. Guardò prima il marchio della madre, quindi, con un gesto rapidissimo che sorprese e sconvolse la giovane renna, afferrò l’orecchio destro di Mikko, tracciandovi con il coltello affilato una stella a sei punte. Il piccolo tentò di sfuggirgli, guardò il proprio sangue che gocciolava sulla neve e, per la seconda volta, avrebbe voluto gridare. Madovette starsene silenzioso. Del resto non sapeva che, da quel momento, aveva un padrone.

Poi il branco riprese la via dei boschi. Mikko imparò a spaccare la neve gelata collo zoccolo ormai robusto per scoprire il vitale lichene. Ben presto fu il più abile e il più forte fra i giovani maschi, che batteva anche nella corsa con una facilità davvero incredibile. I due alberi delle corna erano spuntati ed egli si sentiva capace di qualunque impresa.

La temperatura diminuiva ogni giorno ed ormai il sole non spuntava più. La Lapponia era un mare fi ghiaccio dove anche il mercurio gelava, ma tutto questo non impedì ai lapponi, scivolanti sugli sci di betulla, di tornare e di spingere nuovamente il branco nella trappola di palizzate, il «poro-erotus». E Mikko vide molte cose strane che non aveva mai neppure immaginato potessero accadere.

I lapponi, con un laccio, prendevano ad una ad una tutte le renne e, a seconda del marchio che recavano all’orecchio, le mandavano in differenti recinti. Quando un animale non aveva alcun segno, allora interveniva il capo — al quale la bestia apparteneva di diritto — e si svolgeva un’asta fra i proprietari di renne. Qualche giovane maschio fu afferrato da due uomini, buttato a gambe levate, e, mentre uno gli teneva la testa inchiodata nella neve, un altro, coi denti, lo sterilizzava per sempre. Non poteva sapere Mikko che quello era il miglior modo di castrare, perchè il collello, col gelo, lascia delle inguaribili piaghe, mentre l’operazione eseguita coi denti non fa versare neppure una goccia di sangue. Afferrarono anche Mikko e il giovane maschio fu pieno di terrore. Ma un uomo si fece avanti e disse:

Addio libertà

– Questo no, lo tengo io.

Da allora cominciò per la giovane renna una nuova esperienza. Venne legato ad un albero e lasciato solo. Per un po’ Mikko rimase tranquillo, poi cominciò a dibattersi, a percuotere il suolo cogli zoccoli, furioso e ansioso di libertà. Allora il padrone gli si avvicinò e accorciò la correggia. Mikko, ansimante, dovette starsene quasi immobile, con il muso contro il tronco della betulla. Allora gli venne concessa una maggiore liberta. Per alcuni giorni la giovane renna rimase attaccata all’albero: quando si imbizzarriva la corda era accorciata, mentre, se stava tranquilla, veniva allungata. Così Mikko imparò a sue spese come viene addomesticata una renna. Ma le sue nuove esperienze non giunsero ad una conclusione che quando gli venne impastoiato il muso e gli furono gettati addosso i finimenti e lo attaccarono alla «pullka», una piccola slitta che sembrava una canoa, sotto la quale era stato posto un larghissimo sci. Mikko guardò curiosamente il lappone che si legava al braccio i finimenti, poi, quando un colpo di frusta gli sfiorò i reni, partì come una saetta, scartando a destra. Udì urlare e voltandosi vide che la pullka era rovesciata e che stava trascinando nella neve il proprio padrone legato a lui dalle lunghe correggie di cuoio. Si ebbe una nuova razione di legnate ed allora imparò rapidamente come si comporta una renna. Partì non appena il padrone si fu accoccolato nella pullka, girò a destra quando senti uno strappo alle costole, a sinistra quando veniva leggermente percosso sulla schiena, si fermò quando i suoi occhi, per una torsione del collo obbligata dalla forza dell’uomo, incontrarono quelli del padrone. L’unica cosa che non potè mai capire, era perchè il lappone si legasse le redini al braccio. Non sapeva che era quello il frutto di una millenaria esperienza che insegna come la renna meglio addestrata, se la pullka si rovescia, scappa al grande galoppo piantando il padrone in mezzo alla tundra gelata, cioè in braccio alla morte.

Così passarono gli anni.

Un inverno fu particolarmente penoso per Mikko. Il padrone era debolissimo e malato e la pullka si era spezzata proprio in mezzo alla tundra. Il termometro segnava quaranta gradi sotto zero, ma potevano essere anche molti di più, perché oltre quel limite i gradi non erano marcati. I boschi e le capanne degli uomini erano lontanissimi, duecento o trecento chilometri. Ma Mikko era contento. Sotto la neve il lichene era abbondante e di ottima qualità e, quando la renna si accavacciava al suolo, i fiocchi bianchissimi la ricoprivano ben presto di un caldo mantello.

Ma il padrone vedeva il volto della morte e non voleva morire. Allora brandì il coltello, si avvicinò al suo animale e, proprio e dove il femore si congiunge al bacino, taglio profondamente le carni, raggiungendo l’osso nella sua parte più tenera e vi fece un buco. Mikko non sentì nessun dolore, ma sentì la vita che gli sfuggiva rapidamente. L’uomo applicò le labbra al piccolo foro nel femore e succhiò avidamente il sostanzioso midollo. Poi chiuse abilmente la ferita.

Il padrone piange

Così, per parecchi giorni, l’uomo e l’animale camminarono sulla neve gelata. Ogni tanto il lappone tagliava le carni del paziente Mikko che si sentiva ormai stremato, malgrado il cibo abbondante e gustoso. Ma finalmente il villaggio fu raggiunto e Mikko fuaccarezzato da tutti con moltissimo affetto. Tanto che si ebbe persino una incredibile quantità di sale in dono.

Ritornò il sole. Mikko, come tutti gli anni il quell’epoca, venne lasciato in libertà. Fuggì con Munsikka, una femmina veramente graziosa, verso la pace dei boschi e il silenzio dei laghi. L’anno dopo era padre di un piccolo che gli ricordò stranamente se stesso al tempo nel quale aveva imparato il gusto del lichene. Dov’era sua madre? Ma subito dimenticò madre e figlio perchè questa è la natura della renna. E continuò a tirare la pullka.

Un giorno Mikko si spezzò una zampa. Era l’epoca dello sgelo e mentre correva veloce su una pista recente il suo zoccolo affondò nella neve. La pullka lanciata gli piombò addosso e quando egli tentò di alzarsi si accorse che non avrebbe mai più camminato. L’uomo imprecò; accarezzò la sua bestia, poi, per la terza volta nella sua vita, vide il coltello nella mano del padrone. Ma l’arma, questa volta, affondò molto lentamente nel petto di Mikko, molto stupito di vedere il suo padrone piangere. Allora, ed era pure la terza volta, avrebbe voluto parlare. Invece chiuse quietamente gli occhi ed attese. L’arma raggiunse il cuore che pulsava vigoroso. Mikko riaprì gli immensi occhi neri, ma il suo sguardo non incontrò quello del padrone. Allora cercò una comoda posizione nella neve, allungò il muso sulla zampa spezzata e…

Il padrone ebbe una nuova casacca, una signorina di Helsinki un bellissimo astuccio d’osso, il villaggio carne fresca ed abbondante per parecchi giorni, mentre gli zoccoli finivano con tanti altri in una fabbrica di bottoni. Perche questa fu la fine di Mikko, come lo è quella di tutte le renne che nulla chiedono al loro padrone ma di questo sono il solo mezzo di vita.

* * *

Tratto da La Stampa del 30 agosto 1939.

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Felice Bellotti è stato un giornalista italiano, autore di numerosi reportage di viaggio e di guerra e di una quindicina di libri. Alcune informazioni sulla sua vita si possono leggere sul blog Huginn e Muninn.
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4 Responses

  1. Alberto Pento
    | Rispondi

    Oro!

  2. Centro Studi La Runa
    | Rispondi

    In che senso?

  3. Alberto Pento
    | Rispondi

    Da noi in Veneto "oro!" significa d'oro, di oro = buona, più che buona, ottima: in questo caso riferito alla storia raccontata.

  4. Adolfo
    | Rispondi

    E se raccontassimo la storia del vitello Walter che nasce e vive e muore infilato in una stalla buia e puzzolente? E il padrone ha i soldi e la signorina la borsetta e ci fanno anche le scatolette? Demagogia pura…
    O il pollo Samuele…..

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