La rocca dei Celti

L’infaticabile équipe dell’Editoriale Ambra, coordinata dal dinamico free-lance (editore tuttofare di tradizione americana) Giampiero Prassi ha dato inizio con questo apprezzabile volume a una collana di autori italiani ed esteri, con nuove audaci proposte di temi e modi narrativi della letteratura fantastica. Ricciardiello ha scelto per la riuscita “presa” della sua storia due topoi di grande fascino, l’Irlanda, suggestiva culla di miti celtici gaelici – quelli stessi che sono la radice della fantasy – e quella vertiginosa utopia che è l’immortalità fisica, più la classica “trappola temporale” che chiude in un cerchio incantato e fatale i protagonisti.

Franco Oppezzo, studioso vercellese di archeologia celtica e appassionato ammiratore della storia e della gente irlandese, attraverso una serie di “rivelazioni” che scandiscono il racconto, acquisisce piena coscienza del suo vero essere, così come l’identità dei suoi colleghi di lavoro e le vicende storiche dell’Irlanda irredentista nascondono un’esoterica storia occulta e un enigma non risolto circa le “macchine dell’immortalità” che lascia spazio ad ampie speculazioni metafisiche, non chiudendosi, come sembra a una prima lettura, in un materialismo riduzionista.

Un gruppo di disincantati ricercatori moderni, di chiara impostazione scientista e scettica, di fronte alle suggestioni mitiche e alle spiegazioni trascendenti nasconde una pazzesca realtà: quella della razza mortale degli ogànach, i “giovani”, diventati tali per mezzo di una misteriosa “macchina dell’immortalità” di ignota provenienza, che da 4800 anni lottano senza quartiere contro un’altra fazione di immortali, i seanòin, i “vecchi”, che hanno conseguito questo stato 200 anni prima di loro. La guerra occulta si intreccia alle vicende odierne dei militanti dell’IRA contro gli invasori inglesi, che hanno favorito il ritorno in Irlanda dei seanòin già scacciati. L’immenso sapere accumulato non ha migliorato l’etica degli ogànach, essi sono vegetariani ma sia essi che i seanòin destinano a morte spietata, dopo atroci torture, ogni avversario catturato. Franco Oppezzo apprende di essere il clone di Sioraì (“l’eterno”) il cui padre scelse di morire sotto i bombardamenti a Vercelli, luogo emblematico per la storia celtica, dove cimbri e romani combatterono una disperata battaglia. “Wehr-Celt” è la “rocca dei celti”, antico nome della città piemontese e Franco Oppezzo-Sioraì è l’uomo chiave del romanzo, colui che chiude la trappola temporale e si ritrova all’inizio della vicenda, 4800 anni indietro nella Storia.

Ricciardiello ha voluto forse “smitizzare” e “disanalizzare” il meraviglioso patrimonio tradizionale irlandese. In realtà non c’era alcun bisogno di una macchina dell’immortalità in azione nell’isola più fatata della terra. I miti dei Tuatha de Danan, gli dèi primordiali d’Irlanda, parlano della “Terra dei Giovani”, l’Avalon senza tempo. Tara, la dimora incantata dove i Tuatha si ritirano di fronte all’avanzata degli uomini, rende immortale chi la trova e la visita. L’Irlanda è la terra dell’incantesimo, una fonte tradizionale ancora viva dietro la religiosità cattolica, e io suoi miti ed eroi hanno ispirato Howard, come Tolkien, i suoi luoghi suggestivi hanno sempre suggerito trame indimenticabili ad autori di fantascienza come Leigh Brackett e Hamilton, che hanno trasposto i topoi celtici nelle saghe spaziali. Per le pianure d’Irlanda si può incontrare Angus, il dio locale dell’Amore, che ferma il tempo di chi si rifugia sotto il suo mantello, e fate seduttrici portano i loro amanti nel mondo immateriale delle Sidhe, dove il tempo si ferma. Non c’è alcun bisogno di macchine strane ed aliene per razionalizzare il miracolo dell’abbandono di un uomo mortale all’estasi rigenerante della fede nel sacro. L’Irlanda è anche terra di grandi santi, mistici, poeti, cantastorie e scrittori, eredi dei Bardi. Sarebbe dunque bastato agli ogànach varcare le porte di Tara, o di Avalon, per divenire immortali, senza alcun marchingegno ausiliario del miracolo. Ma l’autore ha sentito il bisogno soprattutto di intendere la fantascienza nel suo senso ortodosso di letteratura positivista che non lascia spazio al mito, tacciato spesso di essere un caposaldo reazionario e passatista. Non il verbo, la macchina deve aprire orizzonti di meraviglia legata pur sempre a una rassicurante fisicità, a un materialismo razionalista diventato quasi dogma manicheo. Ci si accorge d’altra parte che questo passaggio di status dei miracolati dalla “macchina” non ha apportato alcun miglioramento etico dei medesimi. Benché rigidamente vegetariani, uccidono con feroce freddezza i loro nemici seanòin; insomma non è consentito il perdono o il superamento del mero istinto bestiale di sopravvivenza. Dunque un’ammissione del rischio che si corre affidandosi alla tecnologia per ottenere risposte ai supremi misteri cosmici. L’uomo-scienziato-genetico, demiurgo di clonazioni, fecondazioni, ibridazioni genetiche aberranti e reificanti oggi di gran moda, crea omuncoli e sottospecie contronatura, la scienza non temperata dall’umiltà genera mostri: la fantascienza inizia col mostruoso trapianto di Frankenstein – si dice – e questa storia lo conferma in modo inquietante. Tanto più che la causa prima delle portentose “macchine” rimane sconosciuta, la realtà un circuito temporale chiuso che in sostanza non evolve verso piani più alti. Lo spirito non può spiccare il “libero volo in libero cielo” che entusiasmava tanto Anna Rinonapoli.

La nostra critica non dà giudizi formalmente o strutturalmente negativi dell’ottimo romanzo che si legge d’un fiato, appesantito solo da digressioni storiche sull’origine dell’IRA che ne fiaccano un po’ il ritmo. È solo un’interpretazione e analisi dei contenuti tradizionali o della loro distruzione che il romanzo offre come retroterra culturale.

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