Le fonti delle migrazioni nell’Italia centrale: i Siculi e il magma dei popoli

Per quanto riguarda le antiche attestazioni dell’ethnos dei Siculi all’infuori della Sicilia/Sikelia e dunque in ambito peninsulare, voglio prima ricordare, come ha già fatto Jean Bérard nel suo monumentale libro La Magna Grecia[1], che prima Pausania e poi Dione Crisostomo hanno parlato della collina alle porte di Atene che prese il nome Sikelia[2]. Ma non lasciamoci prendere dal desiderio di fare strane congetture per trarne false conclusioni, poiché il nome deve avere delle origini pressocché recenti. E su questo, lo scrivente e Bérard mostrano pensiero unanime.

Così come per Naxos, la colonia siciliana euboica, che secondo alcuni fu fondata da quegli Elleni di stirpe ionica guidati dall’ateniese Tucle/Teocle, abitanti un’isola (la Nasso egea) ove una volta giunsero Traci al seguito di un loro re di nome Sikelòs[3], si è arrivati al punto di mettere in relazione questa tradizione con il nome di ‘’Piccola Sicilia’’ che venne dato alla colonia nassia siciliana in onore a questo re trace. E questo mi pare del tutto infondato, sempre in linea con Bérard. La presenza dei Siculi nell’Italia centrale, in particolar modo nel Lazio, è attestata, invece, da testimonianze numerose e più coerenti. Vi è, come già detto, Antioco che legava il popolo siculo al ceppo degli Enotri, Itali e Morgeti, e narrava la storia di Siculo che proveniva da Roma.

Dionisio di Alicarnasso, come abbiamo visto, in molti passi delle Antichità Romane, racconta che i Siculi furono i primi barbari autoctoni del Lazio e della futura Roma e che niente sa sul loro periodo anteriore[4]. Poi il Lazio fu occupato dagli Aborigeni (i proto-Latini della Cultura terramaricola), i quali con l’aiuto dei Pelasgi -a torto considerati in toto gli Etruschi- avrebbero cacciato i Siculi; infine, i Siculi, cacciati via verso Sud, finirono con l’oltrepassare lo stretto di mare giungendo in Sicilia. Così gli Aborigeni si stabilirono in un’area estesa dal Tevere (a quei tempi Albula) fino al Liri (Garigliano) e, nel tempo della guerra di Troia, presero il nome di Latini, dal re Latino[5]. Dionisio ci informa ancora che i Siculi occuparono varie regioni della penisola e che il loro passaggio è testimoniato da vari toponimi: Cenina e Antemne sarebbero state fondazioni sicule, prima di passare agli Aborigeni; ma anche Falerii e Fescennino sarebbero state sicule prima di diventare pelasgiche. Così anche le pelasgiche Agilla-Cere (Cerveteri), Pisa, Saturnia e Alsio, erano in origine insediamenti siculi. E al tempo suo, afferma ancora, esisteva a Tibur (Tivoli), altra fondazione sicula in cui gli Aborigeni cacciarono i Siculi, un quartiere chiamato ‘’Siculo’’.

Solino fa invece riferimento al quartiere ‘’Siculo’’ di Tivoli parlando però di antiche popolazioni sicane, ed i Sicani erano inclusi da Plinio nell’elenco dei popoli che costituivano la confederazione del monte Albano; e sono menzionati anche in vari passi dell’Eneide, in cui si fa riferimento ai veteres Sicani che combattono al fianco degli Aurunci, Rutuli, Sacrani (i Sabini) e della gioventù argiva, avendo avuto in un lontano passato, alla fine dell’età aurea di Saturno, una sanguinosa contesa con i proto-illirici Ausoni giunti ivi da Sud e prima ancora dai Balcani. Aulo Gellio e Macrobio annoverano Sicani, Aurunci e Pelasgi come i più antichi abitatori della penisola italiana. Ma tutte queste antiche tradizioni che arrivano sino al tempo imperiale creano solo molta confusione, a tal punto che Giovanni Lido considera gli Etruschi un popolo sicano.

Per quanto invece riguarda i Sicani menzionati nell’Eneide, il buon Jean Bérard ha pensato (ed ha scritto) che Virgilio facesse riferimento agli abitanti di Ficana, città che sorgeva sulla riva destra del Tevere, non lontano da Ostia. I veteres Sicani, che combattono nell’esercito di Turno, re dei Rutuli di stirpe ausonia, secondo costui sarebbero nel testo virgiliano solo un errore di trascrizione testuale, una colpa da addossare agli amanuensi, dai quali, scrivendo erroneamente ‘’Sicana’’ e ‘’Sicani’’ per ‘’Ficana’’ e ‘’Ficani’’, sarebbe nata tutta la tradizione dell’errore e la cattiva interpretazione. Ma quello che ha sostenuto Jean Bérard è assolutamente inaccettabile. I Siculi così abitarono in origine l’Italia centrale al tempo in cui il culto principale era Saturno, là dove giunsero poi i Pelasgi a seguito della consultazione dell’oracolo di Dodona. Varrone spiega, infatti, l’affinità tra la lingua sicula ed il Latino, con il fatto che prima i Siculi abitavano nel Lazio; mentre Festo ci narra dei Siculi in fuga assieme ai Liguri del Septimontium al sopraggiungere dei Sacrani (o Sabini). Servio fa risalire i Siculi dalla Sicilia a Roma e Solino ne parla come uno dei popoli più antichi d’Italia, assieme ad Aborigeni (i proto-Latini terramaricoli), Aurunci (Ausoni, dei quali i Rutuli ne erano un ulteriore frazionamento), Arcadi e Pelasgi, attribuendo agli stessi Siculi altre fondazioni, quali Ariccia e Gabi; segnalando inoltre, e richiamando le notizie di Plinio,  la presenza dei Siculi ad Ancona e nel Piceno, così come la popolazione illirica dei Siculoti nei Balcani, i quali erano discendenti diretti dei Siculi balcanici e non dei Siculi peninsulari o della Sicilia (anche se trattasi dello stesso gruppo etnico).

Ma le colonie del Piceno, di cui Plinio parla, erano davvero fondazioni dei Siculi della Sicilia, poiché Dionisio il Vecchio, durante il periodo dell’espansione siracusana nella penisola, fondò in quell’area alcune colonie in cui fece stanziare alcuni Siculi. Servio inoltre ci informa che la città latina di Crustumerio sarebbe solo una deformazione di Clytemnestrum, nome derivato da quello della consorte di Siculo. Secondo Catone, invece, i Siculi dell’Italia meridionale erano venuti dalla Grecia, collegandoli agli Enotri, prima della guerra di Troia e Dionisio ne ricavava che si trattasse dunque di quegl’Arcadi che per primi giunsero nel Mar Ionio guidati dal Licaonide Enotro. Catone il Censore per Graecia, non intendeva l’Ellade soltanto, ma anche gran parte della penisola balcanica oltre la Grecia. E, addirittura, Dionisio arriva a considerare gli Aborigeni i pre-ellenici Lelegi, considerati ‘’Pelasgi’’ per il loro lungo errare, da cui egli trae un’assurda etimologia dal termine Aborigenus, e che proprio per questo furono soccorsi dai Pelasgi stessi nel cacciare i Siculi dal Lazio.

Ma qui vi è solo una grande confusione tra dati storici posti l’uno accanto all’altro in modo erroneo e avvolti nella pura fantasia. Tuttavia questa messe di dati leggendari sui Pelasgi si ritrovano sia in Pausania sia in Strabone, i quali si soffermano a dare spiegazioni sulla muraglia ‘’pelasgica’’ di Atene, a proposito del lungo errare dei Pelasgi nel Mediterraneo, al punto di essere definiti i ‘’Pelargi’’, ossia le cicogne. Questi dati desunti dalla Tradizione narrano di continui viaggi tra Italia e Grecia da parte dei Pelasgi alla ricerca di una terra dove poter fondare la propria civiltà; così Dionisio di Alicarnasso, coevo di Strabone[6], ma molto anteriore a Pausania, trae i suoi racconti da Mirsilo di Metimna, il quale parla delle mura ‘’pelargiche’’ di Atene erette dai Tirreni, che presero il nome di ‘’Pelargi’’, ossia ‘’le cicogne’’, quando migrarono disperdendosi in altri paesi. E qui può essere condotta una semplice esegesi: non trattasi chiaramente della migrazione dei Tirreni dalle coste dell’Anatolia in tempi antichissimi, forse sopravvissuta nelle narrazioni antiche al tempo della discesa degli Ioni nell’Ellade? Sì, è molto probabile, ma non si deve mai far confusione tra i Pelasgi, proto-Illiri, ed i Tirreni, indoeuropei d’altro ceppo. La cultura elladica pre-greca è stata sempre indoeuropea, non ”pre-indoeuropea”, ed era proprio quella che gli Elleni trovarono già nel pieno del suo sviluppo, ossia quella dei Lelegi e dei Pelasgi, ed in certe aree dei Tirreni.

È chiaro che Ioni, Eoli e Achei abbiano costruito proprio sui siti ove prima vi prosperava l’antica comunità elladica delle popolazioni pre-elleniche indoeuropee (e non ”mediterranee/anarie”). Infatti, nelle Cicladi i Greci trovarono i Cari ed i Lelegi, quest’ultimi sottomessi ai primi. Dionisio arriva a cimentarsi in un po’ troppo affrettate decostruzioni del termine Aborigenus, facendolo derivare da ab e ὄρος, ‘’dal monte’’ o ‘’montanari’’, termine che lo riconduceva agli Arcadi; successivamente da un più razionale ab e origine, ‘’sin dall’origine’’ o ‘’autoctoni’’, nel senso di popolo più antico d’Italia, quindi in totale contrasto con i Pelasgi, i quali, essendo i ‘’pelargi’’ ossia i ‘’viaggiatori’’, non erano autoctoni. Licofrone usa invece il termine Βορείγονοι ‘’venuti da Borea’’ o ‘’venuti dal Nord’’, facendo riferimento agli Ausoni e chiama Ausonia qualsiasi parte dell’Italia, seguito in questo dai poeti latini; mentre per Dionisio di Alicarnasso, l’Italia sarebbe stata chiamata in tempi antichi dai Greci Ausonia o Esperia e Saturnia dagli indigeni, ed ancora il Mar Tirreno si sarebbe chiamato Mare Ausonio prima dell’arrivo dei Tirreni. Per Polibio e Strabone, il quale attinge molte notizie dal primo, il Mare Ausonio è il mar di Sicilia, ossia lo Ionio.

Tuttavia queste sono sempre notizie tarde. Il vecchio Ecateo indica gli Ausoni come gli abitatori della Campania e loro fondazione fu Nola e secondo Festo erano insediati nella regione di Cales (Calvi) e Benevento. Appiano dice che Siponto era città degli Ausoni ed Ellanico che gli Ausoni sono i Siculi cacciati dagli Iapigi stabilitisi nel territorio apulo. Pindaro, inoltre, chiamava Ausonia la regione di Locri e si diceva che i fondatori di Reggio fossero sbarcati in terra ausonia; ed infine Catone conosceva l’esistenza di un centro fondato da Aurunci (gli Ausoni secondo i Romani) tra Reggio a Medma: l’insediamento di Tauriano, molto antico, prima della colonizzazione achea avvenuta dopo la caduta di Troia. Così Liparo, figlio del re Ausone, eponimo degli Ausoni, costretto dai fratelli ad abbandonare l’Italia, imbarcandosi con i suoi soldati su lunghe navi, avrebbe raggiunto le isole Lipari. Diodoro racconta che le isole furono raggiunte da Eolo proveniente dalla Grecia assieme ai suoi compagni, il quale sposò Ciane, la figlia di Liparo, succedendo a quest’ultimo come re dell’arcipelago. Poiché Liparo, ormai vecchio, voleva rivedere l’Italia, Eolo lo aiutò a stabilirsi nella regione di Sorrento, ove morì dopo aver gloriosamente regnato, tributandogli tutti gli onori che spettano ad un eroe. Tra i discendenti di Eolo, secondo la leggenda, uno regnava sulla costa italiana fino a Reggio, gli altri due rispettivamente su Siculi e Sicani, rispettivamente versante Est e versante Ovest della Sicilia.

Altra leggenda vedeva Ausone fratello di Latino, figli di Ulisse e di Circe. Polibio distingueva i popoli della Campania in Opici e Ausoni, mentre Antioco e Aristotele li considerano un unico popolo. Ma gli Opici erano una tribù appartenente al ceppo degli Oschi e Strabone afferma che la lingua osca era imparentata con il Latino, cosa questa indubbia, essendo questi due idiomi indoeuropei discendenti dal medesimo macro-gruppo indoeuropeo (proto-Latino/Osco-umbro/Paleoveneto), stanziato in un remoto passato, a partire dall’età neolitica, tra i corsi medi dei fiumi Reno e Elba (idronimo da porre a confronto con quello di Albula), oltre il quale vi era il macro-gruppo proto-illirico, al quale appartenevano Siculi ed Ausoni, ovvero il substrato culturale e dialettale del futuro ed imponente popolo di Roma.

L’Urheimat dei proto-illiri individuata dallo scrivente tramite glottocronologia, situata tra i medi corsi dei fiumi Elba (o Oder) e Vistola, tra le attuali Germania e Polonia. Da questa sede ancestrale emersero i Siculi assieme a tutte le altre popolazioni dello stesso ceppo. Le frecce indicano la linea di migrazione dei Siculi a partire dal V millennio a.C. fino alla prima metà del XIII sec. a.C., ossia fino al periodo in cui ebbe inizio la Cultura di Pantalica I Nord in Sicilia Sud-orientale. Dall’archivio di Daudeferd.

[1] Jean Bérard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell’Italia meridionale, trad. it., Torino 1963.

[2] Si veda pertanto anche: Strabone, Geografia, libro I, 3, 18; Suida, Lexikon, la voce ἔμβαπoς; Plinio, Naturalis historia, Libro II, 201. Leggendo queste fonti, la penisola del Pireo attico, situata a Sud-Ovest di Atene, nel sinus Saronicus, demo appartenente alla tribù Hippotoondide, che dal V sec. a.C. fu il porto di Atene in sostituzione del Falero, sarebbe stata in tempi molti remoti separata dalla terraferma e dunque un’isola, estesa essa fino a Moschato e alla collina di Sikelia, presso Atene. E così è spiegata anche l’origine del nome di Pireo (in Greco antico Πειραιεύς > Πειραεύς > Πειραιός, in Latino Piraeus), derivante a sua volta da πέρας ‘’al di là’’.

[3] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro V, 50-51.

[4] Dionsio di Alicarnasso, Antichità romane, libro I.

[5] Così, secondo Tito Livio, i Latini si insediarono in un area compresa tra la sponda destra –venendo da Nord- del Tevere e il corso del fiume Liri, mentre gli Aurunci (gli Ausoni) tra il Liri e il Volturno.

[6] Dionisio di Alicarnasso visse tra 60 a.C. – 7 a.C; Strabone di Amasea del Ponto visse tra il 63 a.C. – 24 d.C.; Diodoro Siculo (di Agirio) visse tra 80 a.C. – 20 a.C.

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Il presente articolo era stato originariamente pubblicato su Saturnia Tellus, a cura del Dott. Paolo Domus Lases Casolari, 1 Novembre 2020.

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