Spesso su queste pagine si è parlato dei Celti e di tutto quanto essi ci hanno trasmesso con il loro retaggio. La discendenza non si limita certo al sangue e ai tratti somatici: è costituita da un enorme complesso di usi e tradizioni, da profonde tracce rimaste nella religiosità, nella lingua, in un intero sistema ideologico e di pensiero. Non possiamo dunque che salutare con grande favore il fatto che, a distanza di ben quarant’anni dalla sua edizione originale in lingua inglese, sia oggi tradotto e disponibile anche nelle nostre librerie L’eredità celtica. Antiche tradizioni d’Irlanda e del Galles dei fratelli gallesi Alwyn e Brinley Rees, un libro cioè che, a mio modo di vedere, costituisce una pietra miliare e davvero fondamentale per tutto ciò che attiene il tema “celtico”.
Bisogna chiarire immediatamente una cosa: che il libro si occupi essenzialmente dell’Irlanda e del Galles è dovuto al fatto che in tali paesi la tradizione celtica si conservò in una forma più organica e unitaria, e che le vestigia letterarie di tali paesi, giunteci attraverso il medioevo monastico, rappresentano il punto di partenza per chi voglia avvicinarsi alla mitologia e all’epica degli antichi Celti. Eppure le nostre regioni, come moltissime altre dell’Europa occidentale (e non solo) conservano sotto tante forme la medesima eredità: la cosa emerge ripetutamente dalla lettura del libro, che presta notevole attenzione alla comparazione, alla ricerca di quei “motivi” comuni alla favolistica, all’epica, al mito.
Prima di esaminarne brevemente i contenuti, vorrei sottolineare quanto ne sia piacevole la lettura. I fratelli Rees ci introducono con naturalezza in una società prevalentemente agricolo-pastorale, nella quale la narrazione orale rappresenta il normale veicolo di comunicazione e intrattenimento nelle fredde serate invernali. È in questo mondo di poeti-narratori, di forte religiosità popolare, di sentimenti schietti e sinceri che si trasmette l’eredità celtica, che è costituita di “avventure di eroi ed eroine; incantesimi fatti e disfatti; re e regine; orchi, mostri e fate; animali che parlano e agiscono come esseri umani; viaggi in altri mondi, oltre il mare o sotto un lago, dove il tempo non esercita alcun potere; fantasmi e spiriti, profezie e destini; ricerche di magici vasi e armi, e meraviglie simili”.
A costituire il grande pregio di questo studio, che ancor oggi è considerato essenziale anche a livello universitario per affrontare il tema, è l’approccio “simbolico“, che si fonda sulle interpretazioni e gli studi di Mircea Eliade, Georges Dumézil, Ananda Coomaraswamy, René Guénon e altri interpreti del mondo tradizionale e dell’antichità indoeuropea. Il saggio si articola in tre sezioni, che corrispondono a un’analisi simbolica del patrimonio culturale celtico: la prima è dedicata a La Tradizione, e costituisce una sorta di introduzione generale al tema; la seconda è consacrata a Il mondo del significato, e affronta i fondamenti spirituali, le “categorie generali”, se così si può dire, dell’antica visione del mondo celtica; la terza e ultima si intitola Il significato della storia, ed è quella in cui infine vengono esaminati gli elementi più frequenti e significativi delle storie e delle narrazioni popolari, come le nascite, le gesta giovanili di eroi, i corteggiamenti e le fughe d’amore, i viaggi, le avventure, e alla fine anche le morti. Si tratta insomma di una sorta di guida all’esplorazione del mondo del mito in terra celtica.
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Pubblicato col titolo Il patrimonio celtico in eredità all’Europa sul quotidiano La Padania il 23 maggio 2001.
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