Morto un editore controcorrente, avversato negli anni Settanta dalla cultura marxista ed emarginato, dal ’94 fino ad oggi, da parte del Governo di centrodestra
È morto ieri pomeriggio nella sua casa di Santa Marinella, presso Roma, dopo una lunga malattia, lo scrittore Alfredo Cattabiani. Nato a Torino il 28 maggio 1937, nel 1962 aveva fondato le Edizioni dell’Albero. Direttore editoriale della Borla nel 1962, quindi della Rusconi nel 1969, vi aveva pubblicato autori – da Mircea Eliade a Cristina Campo, da Augusto Del Noce a Guido Ceronetti, da Giuseppe Prezzolini a Giuseppe Sermonti a Quirino Principe – che, fin dagli anni Settanta, gli avevano procurato la violenta avversione dell’egemonica cultura marxista. Ha lasciato numerose traduzioni e soprattutto saggi, ispirati a miti, simboli e tradizioni (l’ultimo, Acquario, è stato da poco edito presso Mondadori).
La scomparsa di Alfredo Cattabiani, già editore controcorrente e noto saggista, sollecita alcune considerazioni. Prima di tutto questa, specie in chi lo ha conosciuto nella lunga sua “milizia” culturale: il fatto d’essere stato emarginato, dal 1994 a tutt’oggi, da parte del governo di centrodestra. Coraggioso intellettuale antimarxista (e antilluminista) già negli anni Sessanta, Cattabiani non apparteneva alla schiera di quanti, nell’ultimo decennio, si sono aggregati alla Casa delle Libertà anche sulla base d’un ben noto ammonimento di Flaiano (“Gl’italiani corrono sempre in soccorso del vincitore”).
Prima presso le Edizioni dell’Albero, quindi presso Borla e infine (sino al 1979) presso Rusconi, fu editore controcorrente, pubblicando autori allora all’indice; continuando poi, con articoli e saggi, a coniugare in sé un conservatorismo alla De Maistre e l’antilegittimismo giacobino della Destra storica, i poli opposti della sua contraddittoria coerenza.
“Sinistri” di destra & “eretici” al bando
Per quest’atteggiamento intellettuale suo, parimenti legato a Mircea Eliade e a Augusto del Noce, Cattabiani non ebbe riconoscimento alcuno. Al contrario di molti “convertiti”. Intendiamoci: chi ha una certa pratica con le faccende, passate e presenti, di casa nostra non prova certo stupore nell’assistere a fenomeni di trasformismo, nei mutamenti di governo o meglio, di “clima politico”. Non è lecito, in qualche caso, dubitare però della buona fede che ha caratterizzato alcune di tali conversioni.
Si tratta di conversioni non recenti, che dal 1994 hanno comunque portato in primissimo piano – nel Polo delle Libertà oggi Casa delle Libertà – personalità assai note in ambito giornalistico-editoriale e, contemporaneamente, politico. Mi riferisco ad alcuni che, per semplicità esegetica, qualche spirito malizioso quanto superficiale potrebbe definire “sinistri di destra”. Ovvero persone, lo scrivo rispettosamente e senz’ombra d’ironia, la cui matrice formativa, morale e culturale prim’ancora che politica, si radicò nel materialismo dialettico, poi abbandonato per legittime crisi di coscienza.
Stilemi postmarxiani nella Casa delle Libertà
Giuliano Ferrara, Ruggero Guarini, Paolo Guzzanti, Carlo Rossella sono i nomi che immediatamente, in proposito, corrono alla penna. Chi, come il sottoscritto, li conosce e li stima, conosce i motivi profondi che, da un’iniziale formazione “di sinistra” e da una correlata non breve loro conseguente militanza, li vede oggi schierati assieme. Soprattutto nei confronti d’una frangia della magistratura che, a loro avviso, a partire da Craxi già nel 1993 apparve protesa a colpire, per avere percepito tangenti, soprattutto quanti si opponevano al cattomarxista “compromesso storico”, lasciando invece integro quel Pci (poi Pds poi Ds) che, a detta di Antonio Di Pietro (l’ha ribadito su Libero, 10 ottobre 2000), attraverso Primo Greganti percepì ben un miliardo di tangenti da Raul Gardini.
Personalmente, non ritengo contraddittorio il loro attuale schieramento filoberlusconiano, in una polemica contro le “toghe rosse” che moltissimi, a partire dal presidente Ciampi, s’augurano finisca presto. Nondimeno, questo non m’impedisce di rilevare talvolta, nei loro scritti e interventi verbali, una sorta di analogia con il loro passato: nel senso che permangono a tratti, nei loro stilemi espressivi, tracce della loro formazione. In altre parole: a difesa del centrodestra, essi adoperano oggi ragionamenti, giri di frasi e terminologie (darne qui i relativi esempi richiederebbe eccessivo spazio) che muovono dalla loro formazione, radicata in un centrosinistra (o in una sinistra tout-court) antecedente l’attuale, legittima, loro militanza nella Casa delle Libertà.
Una destra “epurata” o dimenticata
La posizione loro, fondata su indubbie capacità professionali perciò premiate dal Presidente del Consiglio, provoca tuttavia in me una sollecitazione mnemonica. Cioè in relazione a alcuni intellettuali – dal più acceso Piero Buscaroli a Paolo Isotta, saggisti e melomani preclari, a Fausto Gianfranceschi e Claudio Quarantotto – che, forse in quanto giudicati contigui alla destra del Msi negli anni dell’”arco costituzionale” – risultano evidentemente imbarazzanti per la stessa svolta, intelligente e coraggiosa, che portò alla nascita di Alleanza nazionale.
Tra i più giovani, pur lavorando alacremente in Rai non ha la rilevanza che meriterebbe, per esempio, un Gianfranco De Turris, al pari di Mario Bernardi Guardi. E soltanto a quell’eccellente saggista che è Marcello Veneziani è toccata, nell’ultimo Cda Rai, una giusta posizione di rilievo. Non la ebbe invece mai – negli anni dei due governi Berlusconi – lo stesso Cattabiani. Così come continuano a non averla, nella generazione precedente la sua, i due migliori uomini del centrodestra oggi viventi: il cattolico Vittorio Mathieu e il liberale Sergio Ricossa, per dirittura morale e per dottrina meritevoli entrambi d’essere quanto meno segnalati a Ciampi per il laticlavio a vita (il presidente del Consiglio, se lo ritiene, ci pensi su).
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Tratto da Il Nuovo del 19 maggio 2003.
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