Animali e uomini

Il bestiario sta all’etologia come l’astrologia sta all’astronomia. Per secoli, gli astrologi colsero nel moto delle stelle il riflesso cosmico dei moti dell’animo. I moderni astronomi (che spesso continuarono a fare oroscopi, come Galileo alla corte dei Medici…) si avvalsero delle osservazioni dei loro magici precursori per costruire la loro immagine del mondo. A loro volta, i compilatori dei “bestiari” videro nelle varie specie animali l’incarnazione di inclinazioni umane, di vizi, di virtù e la moderna etologia, che studia gli animali secondo i metodi della osservazione scientifica, alla fin fine ha recuperato l’idea di fondo del bestiario: l’idea cioè che nei comportamenti degli animali vi sia qualcosa di analogo alle tendenze morali o psicologiche dell’uomo. Può essere interessante leggere insieme due volumi editi di recente, che in nome della fantasia o della ricerca scientifica, si accostano al mondo animale: Storia degli animali immaginari di Borges (edito da Adelphi) e I sette peccati capitali degli animali dell’etologo Celli uscito per i tipi di Mursia.

El libro de los seres imaginarios” uscì per la prima volta a Buenos Aires nel 1967. Borges, fin da quando era bambino e si dedicava alla compilazione di manuali di mitologia greca, aveva concepito il proposito di realizzare un Catalogo delle Bestie, oltre che degli Dei. L’idra di Lerna, il Minotauro, il centauro erano in fondo esseri – che al pari di Giove tonante ed Apollo – popolano da secoli il nostro mondo immaginale. Ma dopo aver superato i confini del mito greco, Borges si rese conto delle singolari affinità che legano gli animali fantastici di paesi lontanissimi. Si pensi al biblico Behemot (che è stato “ripescato” come geopolitica): il mostro marino del mito cananeo è pressoché identico al Midgardsorm degli Edda germanici, ma anche al Pesce dei Terremoti delle favole giapponesi. Il tema della “lepre lunare” (ovvero della figura leporina che in certi momenti dell’anno sembra stamparsi sulla faccia della Luna) si ritrova con la stessa valenza sia in Germania che nell’India vedica. Coincidenze? Semplici assonanze? Oppure è il linguaggio universali dei simboli che, anche a distanze colossali, utilizza figure simili per esprimere simili tendenze psicologiche?

Ma veniamo all’etologia. Da quando Konrad Lorenz smise di martoriare gli animali nelle gabbie e a studiarli nel loro Umwelt (nel loro mondo specifico) l’idea che il comportamento degli animali sia la proiezione – e magari l’esagerazione – di tendenze presenti nel più complesso comportamento umano è un’idea che ha acquisito rinnovato spessore. I materialisti ne traggono la nota conclusione: l’uomo è solo un animale… Gli amanti del simbolo e del mito ricordano invece come già nel mondo antico i dodici caratteri e i dodici destini dell’uomo venissero abbinati ai dodici “animali” dello Zodiaco (Ariete, Toro, Pesci, Leone…).

Adesso l’etologo Celli ci mostra quanto gli orsi siano ghiotti (ce lo aveva già insegnato Walt Disney col placido orso di Nonna Papera), quanto siano lussuriose o iraconde certe scimmie. Quanto siano gelosi alcuni animali può constatarlo facilmente chiunque sia padrone di un cane. Ma Celli mostra anche la facilità con la quale certi mammiferi superiori imparano il senso della distinzione sociale: quando la scimmia Whasoe, imparò il linguaggio gestuale dei sordomuti, incominciò ad indicare gli altri scimpanzé non “alfabetizzati” come “le sporche bestie nere”. In pratica era diventata razzista, dall’alto dell’abilità appresa.

In natura però non esistono solo le gelosie e gli “snobismi”; esiste anche l’altruismo, il mutuo soccorso, il sacrificio della propria vita: l’ape guerriera punge il “nemico” e perde la sua vita per difendere il grande organismo collettivo dell’alveare. Conclude equanime Celli: Gli animali non sono né buoni, né cattivi: obbediscono al mandato etologico che l’evoluzione ha previsto per loro. Il vostro gatto non può convertirsi a una dieta vegetariana: è un carnivoro irriducibile… una tigre in miniatura.

Celli racconta la vicenda “traumatica” di un bambino di buona famiglia progressista a cui fu regalato un gattino. Il micio fu coccolato e nutrito fin quando non portò a casa un uccellino morto tra le zanne. “Ma come – strillò il piccolo moralista – i gatti uccidono gli uccellini?” Da allora il gatto divenne “nero”, fascista: l’esilio fu il suo inevitabile destino. Con questa stramba parabola Celli denuncia il vizio ideologico di immaginare una natura tutta “buona”, “pacifista”, “non violenta”. L’idea dell’animale buono è la nuova versione di quella antica del “buon selvaggio”. Gli intellettuali francesi del Settecento credevano nell’esistenza di popolazioni primitive, “naturalmente buone”: non sapevano che anche i gruppi umani meno sviluppati vivono in una dimensione “culturale”. Marx pensava che i primi uomini, ancora vicini alla animalità originaria, vivessero in una condizione di “comunismo primitivo” e ripeteva la fantasia di Rousseau sulla “invenzione dannosa” della proprietà privata. Né Rousseau, ne Marx avevano fatto caso al modo con cui i cani marcano il loro territorio, la loro proprietà privata, al modo con cui api e termiti difendono la loro patria…

Spesso sugli animali è stata proiettata l’ombra delle concezioni umane e dei diversi atteggiamenti. Marx vedeva nella natura un sistema comunista, Darwin invece proiettava in essa le angosce dei commercianti inglesi e i meccanismi del mercato. Fu Bertrand Russel a notare che gli animali studiati dagli americani si agitano, fanno tentativi ed errori e alla fine risolvono i problemi, mentre quelli studiati dai tedeschi meditano alla lunga sul problema e alla fine hanno il lampo di una intuizione…

Giorgio Celli, I sette peccati capitali degli animali Queste ingenuità “antropomorfe” dovrebbero mettere in guardia coloro che con troppa facilità vorrebbero fondare la morale sulla biologia e ridurre il comportamento umano a quello animale. Il mondo animale non può fornire paradigmi per il comportamento umano, per la stessa ragione per cui una tigre o un leone non possono essere giudicati in base a norme giudiziarie umane! Che poi lo studio della evoluzione animale possa fornire indicazioni utili per evitare un brutto destino al mondo umano è un altro discorso. L’etologia del Novecento ha fatto piazza pulita di molti miti ideologici sul regno animale. In qualche caso ha anche ribaltato significati simbolici radicati per secoli nei bestiari oltre che nei proverbi popolari.

Si pensi al lupo. L’animale più calunniato. Troppo forte era in Occidente la reminiscenza evangelica: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi” per non fare del lupo il criminale per eccellenza. Cristo aveva qualificato il suo seguito come gregge, se stesso come pastore di uomini. In tale contesto ideologico il lupo diventava espressione della avidità della brama senza sosta e poi in epoca successiva, al sorgere delle grandi filosofie politiche, il simbolo della conflittualità violenta tra gli uomini (Hobbes).

L’etologia moderna ha ribaltato questo quadro simbolico. Konrad Lorenz, come un teutonico San Francesco, è tornato a “parlare con il lupo”, ma non per trasformarlo in un domestico cagnolone, bensì per rivelare al mondo tutta la “dignità” di questo essere, che è “animale sociale” in senso eminente: conosce regole di convivenze, gerarchie rispettate e modi incruenti per determinare cambi di potere all’interno del gruppo. L’etologia contribuisce così al riemergere di immaginazioni più arcaiche riguardanti il Lupo, animale sacro ad Apollo, presso i Greci. Il cui nome ricorre alle origini di molti popoli italici: gli Hirpini, i Lucani, e ricorre alle origini della fondazione di Roma, con Romolo e Remo allattati da una generosa, non avida Lupa.

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Il presente articolo costituisce la versione integrale dell’articolo Bestie, uomini, dei pubblicato sull’Indipendente del 7 gennaio 2007.

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