Publio Nigidio Figulo

Un personaggio significativo dell’intemperie politico-culturale del primo secolo antecedente l’era volgare e, nel frattempo, emblematico della “presenza” etrusca nella Res publica Romanorum, dalle sue origini alla caduta dell’Impero in Occidente[1], è senz’altro Publio Nigidio Figulo[2]. Vir doctissimus, fondatore del neopitagorismo romano, membro del Collegio dei LX Aruspici, senatore amico di Cicerone e seguace di Pompeo.

Ce ne offre ora un quadro esaustivo della sua vita e delle sue opere Nuccio D’Anna, storico delle religioni particolarmente attento al mondo classico, noto ai lettori di Arthos. Lavoro non semplice per la disomogeneità e incoerenza delle fonti e testimonianze.

Comunque, giustamente, secondo D’Annai frammenti raccolti e gli studi che nei vari settori sono stati fatti dagli specialisti, possono armai permettere di delineare la complessa personalità di Nigidio, di tracciare un profilo autentico del suo pensiero, di delimitare la profondità e la reale consistenza dell’apporto di tradizioni spirituali quali il pitagorismo, la religione etrusca, l’aruspicina romana, l’escatologia dei cosiddetti “Magi ellenizzati”, capire da dove possono essersi originate le sue dottrine astrali, qual è il ruolo veritiero e la profondità della sua opera di “theologia”, vera e propria sintesi di un mondo spirituale che conosciamo con difficoltà e solo parzialmente” (pp. 9-10). Lo stesso impegno politico nigidiano apparirebbe “come l’estremo tentativo di preservare culti e riti appartenenti ad uno stato arcaico del mondo etrusco-latino” (p. 10).

Nato intorno al 98 a.C. forse a Perugia, città o popolo dell’antica dodecapoli dell’Etruria, dove le iscrizioni attestano la diffusione delle gens Nigidia.

Una in particolare lega un componente della gens al cognomen Sors adattamento del termine sortes ovvero le tavolette di legno utilizzate nei rituali oracolari praticati nell’ambito dell’etrusca disciplina che “confermerebbe l’esistenza di antiche scienze oracolari e divinatorie custodite e trasmesse all’interno del clan familiare” (p. 15) del famoso senatore.

Un “radicamento familiare nel mondo etrusco le cui dottrine da sempre a Roma hanno goduto di un’autorità indiscussa” (p. 14).

Nuccio d'Anna, Il divino nell'ElladeCon un cursus honorum di tutto rispetto ritroviamo Nigidio, purtroppo, schierato con Pompeo[3] fino alla fatidica battaglia di Farsalo, con la conseguenza dell’esilio forzato, mentre buona parte dei membri del venerato e autorevole Collegio dei LX Aruspici si schiereranno col Pontifex Maximus Cesare[4]. Questa scelta di campo non può inficiare il nostro giudizio sul suo percorso sapienziale. Grazie alle fonti, in particolare quelle raccolte da A. Swoboda, ma soprattutto alla dimestichezza con la visione tradizionale permette al D’Anna di ricostruire il quadro del pitagorismo romano e delle sue dottrine sapienziali di cui il Nostro era il principale esponente anzi il “restauratore”, fino a condurci nella famosa “basilica” di Porta Maggiore e la simbologia in essa nascosta.

Nigidio oltre che essere Pythagoricus, è spesso designato come Magus ma non col significato negativo che spesso tale termine aveva nell’antichità classica ma quale appellativo legato all’attribuzione di una precisa condizione spirituale, un’esperienza estatica ed “illuminativa” (p. 43). Il cognomen “figulus” è stato spesso erroneamente collegato ad un improbabile mestiere del “vasaio” o di “ceramista” mentre andrebbe ricondotto alla simbologia astrale confermata anche dalle fonti. “Dice che Nigidio Figulo prese questo nome perché tornato dalla Grecia, disse di aver imparato che il mondo si muove con la velocità della ruota del vasaio[5]. Ribadita anche dall’episodio dei gemelli ricordato da Agostino[6] in cui Nigidio utilizza il simbolo della rota figuli, “la ruota del vasaio”, per dimostrare le sue “teorie astronomiche e delle influenze astrali negli accadimenti umani” (p. 52).

Di particolare interesse sono i capitoli dedicati all’esposizione delle conoscenze astronomiche e dei miti connessi, dell’antichità classica in generale e del nostro aruspice neopitagorico in particolare, mostrate dalle fonti pervenuteci. Ancora una volta D’Anna[7] dimostra la sua competenza nel condurci fra gli arcaici sistemi calendariali che scandivano i sacri ritmi del tempo.

In relazione alle conoscenze astrologiche ed alla perizia divinatoria di Nigidio come non ricordare l’episodio riferito da Svetonio (Aug. 94) del padre del futuro Augusto, che al momento della nascita del figlio, “ebbe in sogno la visione di un sole che si levava dal seno della moglie. Nigidio predisse per questo figlioletto appena nato un destino di dominatore universale” (p. 81). Di particolare rilievo è il fatto che Cassio Dione (44, 1) “collega tale predizione su un prossimo Sovrano universale dai caratteri quasi messianici, al tipo di ordine celeste che era possibile contemplare nel movimento delle stelle, e poi alle particolari modalità di disporsi delle costellazioni nei loro percorsi siderei. Il movimento dei corpi celesti nella sfera cosmica sembrava indicare fatti e avvenimenti storici la cui portata non poteva essere limitata alla piccola contingenza del quotidiano” (p. 81).

Fonti autorevoli quali Arnobio, Macrobio, Servio, Nonio, Gellio e Marziano Capella attestano l’importanza e forniscono alcuni frammenti dell’opera di Nigidio dedicata alla “prisca theologia” intitolata De diis. Costituita originariamente di venti libri dei quali ci sono pervenuti solo tredici frammenti. Non mera elencazione dei vari Dèi o puro e semplice chiarimento del ruolo delle divinità più venerate dell’antica tradizione romana. Ha, invece, inteso fornire il significato “teologico”, “indicare i fondamenti rituali, fare emergere il legame della “forma” divina contemplata con il vasto mondo rituale nel quale doveva rifulgere la sua presenza” (p. 111).

Fegato di Piacenza
Fegato di Piacenza. Museo Civico di Piacenza, Palazzo Farnese.

Basandosi sulle dottrine nigidiane Marziano Capella ci ha trasmesso una rappresentazione del “cosmo circolare” ripartito in sedici parti legate a “potenze divine” rapportabile alla suddivisione teo-cosmogomica del Fegato di Piacenza in particolare al suo “nastro periferico” anch’esso frazionato in sedici parti. Da segnalare l’analogia che D’Anna individua nel caso “della serie runica “nuova” o “danese” del mondo scandinavo che riformulava in XVI segni” le rune dell’antico futhark con la loro potenza magico/rituale. Ancor più rilevante se ricordiamo che le rune derivano dall’alfabeto etrusco[8].

Riassumendo “il De diis di Nigidio sembra metterci davanti ad un tipo di spiritualità che appartiene ad uno stadio molto arcaico della religione romana, forse scaturita da (o connessa a) forma rituali appartenenti al patrimonio religioso etrusco e a quello dei più antichi popoli italici, là dove la cosmogonia e la “teologia” si intrecciavano sapientemente con l’aruspicina, la divinazione e l’azione rituale, un mondo immacolato svelava il significato della presenza divina, e tutti gli interventi dello Stato, tutti i suoi pronunciamenti grandi o piccoli, le stesse manifestazioni della natura (cambio delle stagioni, temporali improvvisi, fulmini, apparizione improvvisa di corpi celesti, etc.) venivano considerate cariche di valenze divine che solo un apposito Collegio di auguri o di aruspici poteva interpretare” (p. 120).

Non di minor valore l’esegesi grammaticale nigidiana. Non solo volta a spigare il significato e la composizione dei termini e delle frasi e le regole grammaticali più abituali ma presentando anche quelle forme risalenti a un tempo molto antico chiarendo aspetti di quella “lingua arcaica” nella quale “l’accento delle parole indicava anche il ritmo recitativo, indirizzava verso quella formulazione musicale della lingua latina sulla quale hanno richiamato l’attenzione anche Giacomo Devoto[9] e Alessandro Ronconi, sosteneva il tono, incanalava verso una corretta strutturazione grammaticale” (p. 123).

Anche gli studi “linguistici” non seguivano meri interessi profani. “Il retto uso delle parole, la pronuncia dei fonemi, la loro corretta articolazione grammaticale o sintattica e la stessa formulazione scritturale – ci ricorda D’Anna ne fanno un riflesso dell’armonia cosmica e dei ritmi naturali; un “linguaggio puro” riverbera al suo livello l’equilibrio primordiale, lo introduce su un piano di “armonia naturale” che è la condizione stessa perché scienze come l’aruspicina e la divinazione possono rivelare il significato di alcuni particolari fenomeni e segni, interpretarli secondo moduli che svelano il sostrato spirituale originario che regge l’universo” (pp. 128-129).

Tralascio qui di affrontare la trattazione delle attività riconducibili a quelle tipiche di ogni aruspice[10] recuperate dai frammenti nigidiani, ma mi piace segnalare l’analogia che D’Anna individua tra il De vento, “per il quale verosimilmente il neopitagorico romano attinge ad antiche tradizioni estrusco-latine,” ed “in India il Manavadharmashashtra” che confermerebbero “che il vento è connesso con il “respiro” del cosmo e dal suo ritmo nasce la luce che dilegua le tenebre” (p. 136).

Nuccio D'Anna, Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell'antica GreciaL’unico scritto di Nigidio giunto intero fino a noi è il cosiddetto Calendario brontoscopico[11], conservatoci da Giovanni Lido, opera riferibile a quell’arcana Etrusca disciplina di cui il Nostro era un profondo conoscitore e da non svalutare come puro e semplice libello politico. Giustamente è stato posto l’accento che si dimentica troppo facilmente “che a Roma la politica era perfettamente contessuta con la dimensione sacra della vita e ogni forma di azione rituale, compresa l’aruspicina e la divinazione, non poteva certo prescindere dal significato che ogni pur piccolo evento naturale assumeva per la vita dello Stato” (p. 148).

Nuccio D’Anna è riuscito a ricostruire un quadro coerente della vita e dell’opera nigidiana all’interno della tradizione romana (che è anche etrusca e pitagorica) contestando giustamente le asserzioni destituite di fondamento che non trovano riscontro testuale ma che rischiano avere facile eco nella letteratura accademica (un esempio per tutti la presunta “origine plebea” di Nigidio con troppa sicurezza attestata in un’importante enciclopedia[12]).

Concludendo: “Come Varrone, Cicerone, Virgilio, Tito Livio, Orazio e lo stesso Cesare, anche Nigidio appartiene a quel vasto mondo di raffinata cultura, ma ben radicato in una intensa vita rituale, che aveva conservato memoria dei fondamenti spirituali, dottrinali e rituali che avevano consentito a Roma di realizzare la pax deorum e di diventare per un intero ciclo umano un vero umbilicus mundi” (p. 161).

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[Recensione de: NUCCIO D’ANNA, Publio Nigidio Figulo. Un pitagorico a Roma nel 1° secolo a. C., Archè -Edizioni PiZeta, Milano 2008, pp. 176, € 17,00; pubblicata in Arthos, n.s., 17, 2009, pp. 311-314.]


[1] Cfr. M. E. MIGLIORI, Haruspices e mos maiorum, in Vie della Tradizione, 145, gen.-apr. 2007, pp. 22-29.

[2] Cfr. F. MOLTEDO, Neopitagorismo romano. Brevi cenni su Nigidio Figulo, in Arthos, n.s., 14, 2006, pp. 28-33.

[3] Forse è troppo enfatizzante descriverlo come organizzatore a Capua dell’estrema difesa dell’Italia (p. 21). Ricordo che Cesare fu costretto alla guerra civile per la difesa delle prerogative dei tribuni della plebe (nel caso specifico Marco Antonio e Cassio Longino) calpestate dal senato.

[4] Vedi, tra gli altri, L. AIGNER FORESTI, Gli Etruschi e la politica di Cesare, in Fondazione Niccolò Canussio, L’ultimo Cesare, Roma 2000, pp. 11-33.

[5] Schol. ad Luc. I, 639 = Fr. 16 Swoboda, P. Nigidi Figuli operum reliquiae, Wien 1889 (rist. Amsterdam 1964), p. 137.

[6] De Civ. Dei, V, 3 = Fr. 17 Swoboda, op. cit., p. 137.

[7] Di N. D’ANNA cfr. Il Gioco Cosmico. Tempo ed eternità nell’antica Grecia, Roma 2006, e Mistero e Profezia. La IV egloga di Virgilio e il rinnovamento del mondo, Cosenza 2007.

[8] P. SCARDIGLI, Sulla derivazione della scrittura runica dalla scrittura etrusca settentrionale, in Gli Etruschi [II ed. de Gli Etruschi e l’Europa], Milano 1998, pp. 206-209.

[9] Da segnalare la nuova edizione di G. DEVOTO, Origini indeuropee, Padova 2008.

[10] Cfr. P. CATALANO, Aruspici, in Novissimo Digesto Italiano, Torino 1958.

[11] Reperibile ora in italiano in M. KORNMÜLLER, Etrusca Disciplina, Roma 2006 (pp. 89-131) ed in G. LIDO, Sui segni celesti, Milano 2007 (pp. 81-98). In internet si può consultare quella di V. Fincati nella rivista on line Echò, 3.

[12] G. PASCUCCI, Nigidio Figulo, in Enciclopedia Virgiliana, III, p. 726.

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Nato a Prato nel 1953. Collabora alle seguenti riviste di studi storici e tradizionali: Arthos; La Cittadella; Vie della Tradizione; ha collaborato a Convivium ed a Mos Maiorum. Socio della Società Pratese di Storia Patria; dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri e del Centro Camuno di Studi Preistorici. E' stato tra i Fondatori del Gruppo Archeologico Carmignanese.

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