Stato e Nazione. L’attualità di Hegel

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Hegel è, senza alcun dubbio, uno dei pensatori più discussi della storia. La sua influenza, nonostante la distanza della filosofia contemporanea dall’idealismo sia manifesta, si fa sentire in molti ambiti del sapere, dalla logica all’arte. Probabilmente, la disciplina nella quale il magistero del tedesco è oggi più evidente, è la filosofia politica. Lo ricorda, con persuasività di accenti e di argomentazioni, un recente volume di Domenico Fisichella, insigne studioso e docente di Scienza della Politica, Stato e Nazione. Hegel e il suo tempo, pubblicato da Pagine editrice (per ordini: 06/45468600, pp. 197, euro18,00). Il testo mira a valorizzare, della dottrina hegeliana, il momento dello Stato, la cui trattazione risulta dirimente rispetto allo stato presente delle cose.

Nella teoria e nella prassi politica, nell’ultimo frangente, è emersa una ben individuata tendenza, mirata a surrogare l’istituto statuale con: «l’amministrazione delle cose e dalla (con la) direzione dei processi produttivi», in una parola con le procedure della governance. Fisichella, non solo rileva l’inanità di tale posizione, ma rinvia ad Hegel, affinché il lettore abbia contezza che lo Stato non è affatto destinato all’“estinzione”. Tale obiettivo è perseguito dall’autore attraverso la sagace esegesi del pensiero politico del panlogista. Questi rintracciò nella storia universale quattro fasi di sviluppo: orientale, greca, romana e cristiano-germanica, ognuna della quali caratterizzata in senso proprio. Il momento culminante della indagine hegeliana è individuato nel cuore vitale della dottrina dello Stato, l’eticità. Con essa: «va inteso l’impegno aggregante che coniuga volontà e razionalità, e che si esprime mediante addizione nello spirito delle persone, delle genti, delle istituzioni» (p. 33). In tal senso, la famiglia si configura quale cellula della tradizione, in quanto, da un lato, esprime l’eticità nella sublimazione della sessualità messa in atto nel rapporto coniugale e, dall’altro, determina il legame tra presenti, passati e futuri, in funzione anti-individualista ed anti-atomista.

I ceti, le corporazioni e le classi realizzano l’eticità nell’ambito della società civile. Ad esse è demandato il compito di elevare l’interesse particolare al bene comune. Si badi, esso può essere pienamente conseguito solo nello Stato che, per Hegel, manifesta l’Intero. La storia è la risultante agonistica dei conflitti tra entità statuali differenti, ed è l’“astuzia della ragione” a far sì che lo spirito del mondo si incarni, di volta in volta, in un dato ethnos e negli “individui cosmico-storici”. Per l’autore, il filosofo tedesco, in funzione della dimensione polemologica sottesa alla sua visione delle cose, non riterebbe possibile, nell’epoca cristiano-germanica, il realizzarsi della “fine della storia”. Inoltre, lo Stato in Hegel è un a priori, che vive in interiore homine: il popolo, se prescindesse dall’istituto statuale, sarebbe relegato alla condizione di mera “massa”. Le costituzioni, altro non sono, in tal senso, che la trascrizione giuridica dell’ethos di una data gens, non possono essere, pertanto, definite a tavolino, come pretendevano i Lumi. Cuore vitale dello Stato è il Sovrano che incarna e difende gli equilibri tra individui, famiglie e società civile. La monarchia cui Hegel guarda è temperata, costituzionale, fondata non tanto sulla divisione dei poteri, quanto sulla loro “distribuzione”, come nelle corde dell’autentico “spirito delle leggi” di Montesquieu.

Fisichella rileva che la dottrina hegeliana non conduce alla statolatria e al nazionalismo, in quanto postula l’equilibrio tra i poteri e le diverse componenti sociali. Hegel ebbe come obiettivo la creazione di uno Stato unitario per la nazione tedesca, in questo senso, lo spirito che anima le sue pagine in tema, è machiavellico, guarda con ammirazione al Segretario fiorentino. Altro suo riferimento è il già citato Montesquieu, il quale riteneva che alla cultura dei Tedeschi appartenesse l’“esportazione della libertà”. Non a caso, l’età cristiano-germanica è, secondo il teorico del Geist, l’epoca del dispiegarsi della libertà. In Hegel, pertanto, si ha una significativa valorizzazione del principio di nazionalità, che non scade mai in esaltazione nazionalista. Inoltre, la statolatria è esclusa dal suo orizzonte di pensiero, in quanto, come si è detto, tra individui e Stato vi sono numerosi passaggi intermedi, che permettono al filosofo di non identificare: «la parte con il tutto» (p.120). Anche la guerra, nell’esegesi hegeliana, non è svincolata dal momento giuridico. Essa non può divenire totale, non può perdere il tratto “conservativo” e farsi distruttiva, come, al contrario, ritenevano i rivoluzionari.

Rispetto allo “stato d’eccezione” Hegel si fa garante della necessità di mantenere in uno politicità e giuridicità. La sua posizione in argomento si differenzia da quella elaborata nel Novecento da Schmitt. L’insigne giurista interpretò la sovranità statale come esclusivo: «monopolio della decisione» (p. 130), e non in termini di monopolio della sanzione, della norma. Il sovrano schmittiano è, in due tempi diversi, prima e durante lo stato d’eccezione, dentro e fuori dell’ordinamento giuridico. In quest’ottica, l’ordinamento normativo si fonda sulla decisione. Hegel, il cui pensiero prende le mosse dalla concretezza, ritiene, al contrario, che nella modernità il sovrano, quale vertice della monarchia costituzionale, ereditaria e legittima, anche di fronte allo stato d’eccezione, non debba sospendere l’ordinamento vigente, in quanto la funzione regia è ad esso co-appartenente. Al permanere della funzione regia, fa seguito, infatti, il mantenimento delle: «garanzie che per i singoli e per i gruppi sociali ad essa sono connesse» (p. 135). Hegel, in sostanza, è sintonico alle critiche rivolte alla Rivoluzione francese, tra gli altri, da Burke e de Maistre, e riuscì a prospettare una positiva sintesi di libertà e autorevolezza dello Stato.

La sua lezione, suggerisce Fisichella, risulta di grande interesse: attualmente, particolarismi politici, demagogia e poteri oligarchico-finanziari, stanno depotenziando il ruolo dell’istituto statuale. Conclusivamente, la lezione politica hegeliana può essere sintetizzata in questi termini: «No al contrattualismo […], no alla sovranità popolare, no alla libertà che trabocca in libertarismo, sì all’uguaglianza come riconoscimento della persona ma no all’egualitarismo, […] si all’individualità […] ma no all’individualismo, […] si infine all’organicità come sistema» (p. 163).

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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