Il diritto internazionale europeo di cui tratta Carl Schmitt nella sua opera fondamentale Il Nomos della Terra si dissolve quando tenta di universalizzarsi per divenire un diritto non strettamente intra-europeo, ma valido nei rapporti con le altre potenze extraeuropee. Nello specifico, con la conferenza sul Congo del 1894-95 e, in modo più determinante, con la Prima Guerra Mondiale, emerge chiaramente la potenza statunitense, l’emisfero occidentale, imponendosi sullo scacchiere internazionale. Se prima lo jus publicum Europaeum era stato un diritto valido soltanto tra Stati territoriali sovrani riconosciuti, quindi valevole solo all’interno della “famiglia europea”, ora cadeva la sua struttura di ordine concreto (nomos) proprio nel tentativo di superare i confini entro i quali in precedenza trovava la sua solidità concreta. Una ex-colonia, che in passato non si sarebbe vista riconoscere lo status di Stato sovrano, ora imponeva il suo gioco presso la Società delle Nazioni e il consesso delle potenze mondiali. Questo rappresentò il primo e il più importante colpo vibrato contro il Nomos della Terra venutosi a creare all’indomani delle scoperte dei secoli XV e XVI e contro il diritto fondato su un tale equilibrio globale. Crollato lo jus publicum Europaeum veniva meno anche il suo risultato più importante: l’abolizione della guerra d’annientamento, atto che veniva giustificato dalla discriminazione e dalla condanna morale del nemico.
Da qui prende avvio, politicamente, quel processo di svalutazione dei valori che da Nietzsche in poi ha preso il nome di nichilismo europeo. «Nichilismo: manca un fine; manca la risposta al “perche?”; cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono di valore (1)». Così, sommariamente, il filosofo della volontà di potenza descriveva questo fenomeno europeo in un importante appunto del 1887. Bisogna però tenere a mente che Nietzsche fa risalire le radici del nichilismo al socratismo e al giudeo-cristianesimo, accusati di aver costruito un “mondo al di là del mondo” e di aver così svalutato la vita. Il cattolico Schmitt naturalmente si distanzia nettamente dall’interpretazione storica nietzscheana e la sua trattazione non risale così indietro nei millenni alla ricerca della radice della crisi europea; il suo è uno studio specificamente politico ed in quanto tale individua le cause politiche della neutralizzazione che ha reso il mondo una tabula rasa, uno spazio liscio dominato dalla tecnica incontrollata. «Insomma, il nichilismo moderno si compie e si rivela quando, rimossa la percezione delle differenze, il nomos – che è appunto differenza – si fa “legge”, cioè uguaglianza; la fine dello jus publicum europaeum è una deterritorializzazione che è perdita del nomos in quanto orientamento, non di inesistenti radici; è l’Europa che si fa Occidente, che diviene davvero terra del tramonto, che si perde – perdendo, con se stessa, anche tutta la terra – nell’utopia realizzata del compimento informe della modernità (2)».
Secondo Carl Schmitt il periodo di maggior splendore giuridico e politico della civiltà europea si registra tra i secoli XVI e XIX, ciò significa che secondo lui i quasi quattro secoli in cui lo jus publicum Europaeum seppe regolamentare i rapporti internazionali tra Stati sovrani e non, rappresentarono il periodo storico più prospero, felice e fiorente della storia europea. Da pensatore convintamene europeo Schmitt esalta questi secoli durante i quali la civiltà europea seppe dimostrare la sua misura al mondo, durante i quali la centralità dell’Europa, della sua cultura e della sua potenza dominarono indiscusse sulla Terra. Ma l’Europa col finire del secolo XIX e l’inizio del XX da centro del mondo divenne periferia perdendo il suo prestigio, la sua importanza, il suo ruolo. L’equilibrio concepito dalla civiltà europea era pluralistico e fondato sulla differenza, sulla distinzione che significa reciproco riconoscimento, contrapposizione messa-in-forma e regolata secondo giustizia. Trattandosi di un ordinamento di natura umana esso è soggetto a consunzione, non si tratta di un qualcosa di perenne, ma appartiene anch’esso alla storia, al divenire. Schmitt lo sapeva bene e non rimpiange il passato ma lo studia e lo osserva per interrogarsi sul futuro e ciò che ci lascia sono interrogativi che vengono ampiamente articolati anche da Heidegger, Jünger e, naturalmente, Nietzsche. Lontano da visioni apocalittiche o da “fughe all’indietro”, Schmitt a questo punto ritiene sia venuto il momento di porre il problema della necessità di un nuovo nomos, di un nuovo ordinamento: ma si tratta di un problema strettamente legato ad una decisione di portata globale, una decisione che il giurista si aspetta venga dall’Europa. Schmitt sostiene che la dissoluzione dell’ordinamento concreto nell’universale-generale rappresentò a sua volta la distruzione dell’ordine globale esistente sino a quel momento. Al tramonto dello jus publicum Europaeum tuttavia non seguì il sorgere di un nuovo ordinamento, l’apertura universalistica degli Stati partecipanti alla comunità internazionale non si mostrò in grado di costruire un nuovo ordinamento: «al tramontare del Jus Publicum Europaeum non corrisponde il sorgere di un nuovo ordinamento, bensì uno stato di confusione (3)».
L’ordinamento concreto è un taglio, una de-cisione, che pone fine ad una situazione di disordine attraverso una messa-in-forma concreta secondo la combinazione Ordnung-Ortung (ordinamento-localizzazione). Entra in gioco, nel momento in cui si pone il problema di un nuovo nomos, la decisione e la sua capacità storica di porre un freno al caos e di ordinare il globo secondo un nuovo equilibrio. Scrive Jünger: «Il grande incontro, l’equilibrio, si rinnovano periodicamente come quelli del principio maschile e di quello femminile (4)». È una frase che richiama alla mente le filosofie orientali e il loro senso dell’equilibrio costante tra un principio e l’altro. In ottica schmittiana il “grande incontro” tra Oriente e Occidente di cui parla Jünger si traduce nella contrapposizione planetaria tra terra e mare. Ecco dunque che l’equilibrio si rinnova periodicamente ma la soluzione, la response storica, è secondo Schmitt valida una sola volta. Ciò significa che, tramontato il vecchio nomos, non si può pensare di affrontare la nuova sfida epocale con gli strumenti e la mentalità del passato. È possibile andare “oltre la linea” del nichilismo europeo solo decidendosi per un nuovo nomos.
L’epoca attuale è quella dell’interregnum, l’era di transizione in cui si è sospesi sull’abisso pronti a un salto che potrà terminare in una rovinosa caduta o, per chi saprà rischiare tutto, anche in un approdo alla sponda opposta. La “linea” su e di cui discutevano Heidegger e Jünger non è stata superata dal nostro mondo ed è, forse, stata superata soltanto da individui isolati capaci di incarnare un tipo umano impassibile di fronte al pericolo e al tremendo appello del destino. 70 anni fa uno straordinario libro come L’Operaio segnò una linea di demarcazione netta e decisiva tra due epoche, tra due generazioni, dipingendo il nuovo tipo umano che andava profilandosi; l’Autore parlò di realismo eroico e ben presto si comprese cosa ciò significasse in ogni ambito della vita. Il nichilismo europeo si compì sopratutto attraverso la mobilitazione totale, un processo epocale che segnò irreparabilmente il mondo. La diffusione totale della tecnica significò la neutralizzazione di ogni ambito della vita rendendo ogni aspetto della vita impiegabile dal lavoro, tecnicamente sfruttabile. A livello politico la tecnica – affiancata e mossa da una visione del mondo aerea, propria della potenza statunitense – produsse a livello globale una spoliticizzazione totale, la distruzione dello jus fino a quel momento valido e, al contempo, la determinante e tragica incapacità di dare vita a un nuovo equilibrio concreto, a un nuovo nomos della Terra.
Il nomos – l’ordinamento concreto creatore di equilibrio globale – è secondo Schmitt un Ur-Akt, un atto originario sovrano rivestito del valore di arché, di principio. Questo significa che, dissoltosi l’antico nomos, soltanto una de-cisione di un tipo nuovo e adeguato alle condizioni storico-concrete epocali potrà dare risposta alla sfida dell’era postmoderna. L’Europa, travolta da due guerre mondiali e da una lotta bipolare per il dominio monopolistico della Terra, si trova oggi in una condizione d’indecisione tragicamente simile a quella dell’Amleto shakespeariano: Essere o non-Essere? Esserci o Nulla? E ancora, Europa? È questa una response con un qualche futuro davanti a sé, o altre decisioni, diverse risposte, potranno costituire una solida e concreta soluzione alle questioni poste?
Gli USA – questo non è un giudizio di valore… – assunsero volontariamente (decisero) l’appellativo di “Occidente” come massima legittimazione morale nella loro lotta globale per il predominio, richiamandosi all’eredità europea a loro più utile, assumendo i caratteri a loro avviso più efficaci al loro imporsi sulla decaduta e – si badi – inautentica Europa continentale; nel contempo l’Europa non comprese la minaccia che andava profilandosi proprio nell’appellativo di “emisfero occidentale”. Oggi l’Occidente americano affronta una fase d’incertezza e crisi, mentre potenze extraeuropee si affacciano con sempre maggiore insistenza sulla scena internazionale lottando per garantire la propria libertà, la propria potenza e il proprio prestigio. Da un lato la situazione odierna conferma le previsioni schmittiane di un mondo avviato a una situazione multipolare, dall’altro, l’Europa non sembra muoversi nella direzione di una decisione decisiva equlibratrice.
Heidegger vide con chiarezza la questione riguardante l’Europa – essa deve cioè cessare d’essere l’Occidente del mondo – e, nonostante il nichilismo riguardi senz’ombra di dubbio ogni angolo di mondo toccato dalla neutralizzazione della tecnica, bisogna ricordare che il nichilismo s’origina dall’Europa stessa ed è probabile che proprio dall’Europa potrà venire la risposta più efficace alla domanda amletica di cui sopra. La questione riguarda in modo pregnante e decisivo la questione della tecnica, la capacità cioè di concepirla, impiegarla e impiegarsi in essa in modo autentico e originario: bisogna tenere a mente che ciò che salva cresce nel pericolo; è nel nascondimento che avviene il disvelarsi dell’Essere. Il massimo pericolo consiste nell’affrontare il nichilismo postmoderno nel suo campo principale di attività, la tecnica appunto. Il pericolo consiste nella possibilità di venire risucchiati dalla sua potenza ipnotica, ma solo il coraggio della decisione e l’attitudine tragicamente eroica non dimentica dell’insegnamento del mito potranno fornire una risposta efficace alla domanda posta dalla storia, solo in questo modo si potrà superare – o ri-comprendere? – la linea del ni-ente. È necessaria un’affermazione di grande intensità capace di parlare il nuovo linguaggio, in grado di costruire nuovi miti fondanti.
Il nomos che è decisione potrà ricomparire nella sua autenticità quando il giusto dire verrà nuovamente com-preso e quando l’Europa riacquisterà l’autentico senso dell’abitare e del (ri-)costruire (5).
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Note
1) F. Nietzsche, L’innocenza del divenire. Antologia dai frammenti postumi 1869-1888, Milano, Rusconi, 1999, p.220.
2) C. Galli, Genealogia della politica, Bologna, il Mulino, p. 887.
3) M. Nicoletti, Trascendenza e potere, Brescia, Morcelliana, 1990, p 519.
4) E. Jünger – C. Schmitt, Il nodo di Gordio, Bologna, il Mulino, p. 125.
5) Sul tema Europa-decisione la letteratura d’interesse è assai vasta, tra i vari credo vadano segnalati: M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Milano, Adelphi; M. Heidegger, Saggi e discorsi, Milano, Mursia; Aa. Vv., Il gentil seme, Padova, Edizioni di Ar; Aa. Vv., L’ora che viene, Padova, Edizioni di Ar; i testi di Giorgio Locchi nel sito www.uomo-libero.com; S. Vaj, Biopolitica, Milano, SEB anche in www.biopolitica.it ; A. Scianca, Guardando il destino negli occhi. A questi vanno aggiunti i fondamentali scritti di Nietzsche, il saggio di M. Cacciari Salvezza che cade in M. Cacciari – M. Donà, Arte tragedia tecnica, Milano, Raffaello Cortina Editore; E. Jünger, L’Operaio, Parma, Guanda; M. Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Milano, Mursia; e naturalmente l’opera “internazionalistica” di Carl Schmitt da Terra e Mare a Il Nomos della Terra. Da tenere presente l’opera critica di C. Galli, che si è dimostrato uno degli interpreti più interessanti del pensiero schmittiano.
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