Dalle parole del “Senatùr” emergono motivi che sembravano perduti da almeno mille anni
Le parole di Bossi contro il “romano” Pontefice hanno scandalizzato per il loro tono di irriverenza e violenza. Questo tono tuttavia apparirà inedito, cioè “del tutto nuovo”, solo a chi non conosce la storia d’Italia e della sua cultura. Come è noto, dove si alza al cielo la preghiera, lì rimbomba anche la bestemmia. E in una terra popolata da preti e devoti – tutti più o meno santi – non possono mancare gli anticlericali veraci; perché il cristianesimo per sua natura rifugge dai compromessi e dagli accomodamenti culturali, e finisce così col suscitare adesioni entusiastiche. E fiammanti repulsioni.
Rileggiamo con attenzione ciò che il tribuno padano ha rimproverato al Papa: di parlare in romanesco (!); di essere a capo di una Chiesa che assorbe denaro e diffonde pressioni politiche. In queste accuse echeggiano preoccupazioni tipicamente moderne, ma riemergono anche antichi stati d’animo che attraversarono proprio l’Italia centro-settentrionale nel Medio Evo. Dopo il Mille, nell’area dei fiorenti comuni del Settentrione si diffusero una serie di sette popolari, tendenti all’eresia: il loro bersaglio preferito era proprio la Chiesa di “Roma”. La pataria milanese (piccola precisione per i leghisti: patarìa, non padania!) era uno deimovimenti di devozione popolare più incisivi, diffuso tra le plebi urbane, ma anche tra quegli artigiani e piccoli imprenditori premoderni che facevano ricca l’Italia nel basso medio evo. I patari accusavano la Chiesa di “Roma” di aver trasformato il cristianesimo in un sistema politico opprimente e di soffocare con il proprio centralismo gerarchico la libera espressione della fede del cuore. Da un lato i patari apparivano come gente rozza, solo approssimativamente alfabetizzata; d’altra parte indubbiamente essi esprimevano le istanza di una parte fiorente e desiderosa di emergere della società italiana.
Anche nell’assurda contestazione di Bossi allo scherzoso accenno in romanesco del Pontefice emergono motivi che sembravano essersi perduti da mille anni, e che invece risorgono come un fiume carsico. Gli eretici del Medio Evo accusavano i Vescovi di parlare il romano antico, la lingua dei dotti. Oggi Bossi accusa il Papa di parlare il romano moderno… la lingua di Totti! Ma in fondo è la stessa accusa che riemerge con più delicatezza nei Promessi Sposi, laddove il lombardo Manzoni mette in bocca a don Abbondio giri di parole in latinorum per ingannare il buon Renzo, piccolo imprenditore sopraffatto da don Rodrigo. Per la serie: Spagna ladrona, Manzoni non perdona! Si può oggi ridere dei vocabolari dialettali inviati da Bossi al Pontefice, per convertirlo linguisticamente al lombardo e al veneto.
D’altra parte si deve ammettere che l’accusa di politicizzazione della Chiesa non è solo il frutto di un ingegno plebeo, ma attraversa da secoli i piani alti della nostra cultura. In sintesi il senatur accusa il Vaticano di assimilare sovvenzioni finanziarie e di favorire ben determinate parti politiche e sociali; in particolare di patrocinare l’immigrazione – regolare o clandestina – anche per ripopolare i seminari, desolatamente vuoti. L’accusa rivolta alla Chiesa di svolgere una attività “anti-nazionale” caratterizza tutto un filone ghibellino della storia patria, un filone che – forse Bossi non lo ha ben considerato – fu soprattutto vivo nel Risorgimento. Fu allora che si riscoprirono i Longobardi nemici del Papato come precursori dell’unificazione, e si santificò Giordano Bruno come genio del pensiero italico bruciato dall’Inquisizione. La disputa tra ghibellini e guelfi ha per secoli caratterizzato una nazione che con gusto talora sanguinario ama dividersi in fazioni. Ma le carte e le posizioni, nella confusione delle idee, facilmente si rimescolano: così oggi Bossi – padano e “pataro” – usa contro il Papa toni che già furono propri a Garibaldi, e rispolvera quel sarcasmo anticlericale che la storia attribuisce all’imperatore siculo-tedesco Friedrich von Hohenstaufen. Che dal profondo Sud governava la Cristianità; e rintuzzava equamente “lumbard” e monsignori.
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Tratto da Linea del 3.3.2004.
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