Adriano Romualdi, l’intellettuale che questa destra non ha mai letto (e si vede)

adriano-romualdiL’avventura politica e metapolitica della destra postfascista al governo potrebbe anche essere raccontata così: preferirono Massimiliano Cencelli ad Adriano Romualdi. Il primo: oscuro funzionario diccì di pura stirpe vaticana – il nonno lavorava con Leone XIII, il padre era l’autista personale di Pio XII – già sindaco di Caldarola (1500 abitanti, provincia di Macerata). Il secondo: figlio di Pino Romualdi, ex vicesegretario del Partito fascista repubblicano sotto la Rsi e fondatore del Msi, storico, scrittore, fu assistente di Storia contemporanea all’Università di Palermo nella cattedra di Giuseppe Tricoli.

Cencelli passò alla storia per l’omonino Manuale, sublimazione cartesiana della voracità spartitoria dei partiti, lottizzazione in forma di geometrica potenza. Il Manuale Romualdi, invece, vede la luce quarant’anni dopo la scomparsa del suo autore, avvenuta una tragica notte d’agosto del 1973 sulla via Aurelia. Lettere ad un amico (a cura di Renato Del Ponte, Edizioni Arya, pp. 176, € 20,00) è anche questo: un breviario della buona metapolitica, un diario di lotta culturale.

In qualche modo, l’Anti-Cencelli. Anziché “un posto a me, un posto a te, un posto a lui”, un continuo, impressionante alternarsi di libri, traduzioni, prefazioni, distribuzioni, conferenze, contatti, idee, autori. Senza sosta, ma anche senza speranza, quasi un gramscismo ascetico, un operare fra mille umiliazioni, fra mille ostacoli (soprattutto interni, lui che era figlio del numero due del partito…), ma farlo perché è giusto così, perché si deve.

lettere-219x300“Fare ciò che deve essere fatto”, sentenziava lapidario Julius Evola, che Adriano frequentava e a cui, appena ventottenne, dedicò una monografia, la prima mai uscita, che è ancora oggi a dir poco esemplare in mezzo a tanto inutile vociare prodotto nel frattempo sull’argomento. L’epistolario in questione (quarantatré lettere e una cartolina inviate fra l’aprile 1967 e il settembre 1971 a Emilio Carbone, giovane attivista di Genova) di questo inesausto vigore missionario fornisce una testimonianza scintillante. Per lo più si parla di cose pratiche, quindi non piacerà ai cultori del gergo dell’autenticità: c’è da stampare questo, da distribuire quest’altro, c’è da rientrare delle spese, c’è da pagare gli editori… Una sana concretezza antiretorica.

Ogni tanto fa capolino una malinconia che però non è preludio ad alcun abbandono: “Sembra che il nostro destino nel momento presente debba essere quello del seme che deve sparire nella terra e macerarsi per germogliare chissà quando e chissà dove”; “Mandare avanti la baracca nonostante gli uomini: questo è il difficile!”. Ma c’è anche un bel po’ di goliardia a rischiarare l’orizzonte. Chi ha conosciuto il Romualdi algido e tagliente degli essenziali ritratti di Nietzsche, Platone o Evola resterà piacevolmente sorpreso nel leggere di maratone alcoliche o sessuali, di mefistofelici scherzi telefonici nel cuore della notte, di scazzottate e di barzellette.

La potenza così definitiva della sua scrittura e quella maledetta fototessera sgranata che per anni è stata la sua solo immagine disponibile hanno spesso fatto dimenticare ai lettori che l’uomo che padroneggiava la letteratura sugli indoeuropei in quattro lingue era in realtà un semplice ragazzo. Con tutta la leggiadria del caso. La morte prematura ne ha esposto per anni il nome allo sbilenco esperimento ucronico: “Cosa avrebbe detto Adriano Romualdi della destra di oggi?”. Rispondere è impossibile. Più importante sarebbe stato chiedersi: “Cosa avrebbe detto la destra di oggi se avesse letto Romualdi?”. Qui, per via del confronto, rispondere è solo imbarazzante.

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Tratto da Il Foglio del 14 febbraio 2014.

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Adriano Scianca, nato nel 1980 a Orvieto (TR), è laureato in filosofia presso l'Università La Sapienza di Roma. Si occupa di attualità culturale, dinamiche sociologiche e pensiero postmoderno in varie testate web o cartacee. Cura una rubrica settimanale sul quotidiano Il Secolo d’Italia. Ha recentemente curato presso Settimo Sigillo il libro-intervista a Stefano Vaj intitolato Dove va la biopolitica?. Scrive o ha scritto articoli per riviste come Charta Minuta, Divenire, Orion, Letteratura-Tradizione, Eurasia, Italicum, Margini, Occidentale, L'Officina. Suoi articoli sono stati tradotti in spagnolo e pubblicati su riviste come Tierra y Pueblo e Disidencias. E’ redattore della rivista web Il Fondo, diretta da Miro Renzaglia.

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