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Oggigiorno Storia

Michele Menechini

23 giugno 1944. E’ una bella giornata d’estate, a dispetto dei giorni tragici della guerra. Un uomo mutilato, vestito con la divisa della Guardia Forestale, pedala in bicicletta. Davanti alla sella tiene, in equilibrio instabile, la figlioletta, una bambina piccola. Passa dalla Costa del Canale, una località dell’entroterra chiavarese, in comune di Mezzanego, sta tornando a Borzonasca dove abita e lavora.

Un uomo in borghese esce dalla macchia. Ha un fucile mitragliatore. Non visto, spara una rapida raffica alle spalle dell’uomo in divisa, poi scappa da dove è venuto. I partigiani sono odiati dalla popolazione civile; quindi non si attarda a infierire sul mutilato agonizzante.

Poche ore dopo il maresciallo Michele Menechini, eroe della Grande Guerra, muore all’ospedale di Chiavari. La figlia Maria scampa miracolosamente.

23 febbraio 2010, sessantasei anni dopo. Una celebrazione semplice. La nuova caserma della Guardia Forestale di Lavagna viene dedicata alla memoria di Michele Menechini. Alla presentazione, oltre alle autorità civili e religiose prende parte la figlia Maria. Poche, sobrie e toccanti parole. Sembra quasi che una giustizia, postuma, sia finalmente intervenuta a pacificare i cuori.

22 marzo 2010. L’ANPI Tigullio dà avvio a un’atroce campagna per far cambiare l’intitolazione della caserma. Il ragionamento è il seguente: Menechini indossava una divisa, era un fascista – e per di più un fascista repubblicano: non è ammissibile che un edificio pubblico possa essere dedicato a un fascista. Il Secolo XIX, il quotidiano locale, dedica tutti i giorni, per oltre un mese, intere pagine allo “scandalo”. Non un’unica volta si cura di indagare giornalisticamente i fatti (chi fosse Menechini, perché gli sia stata intitolata la caserma, come sia morto); l’importante è appoggiare la campagna di linciaggio promossa dall’ANPI. D’altra parte, è stato lo storico par excellence del resistenzialismo nostrano a dire che si fa così, e i giornalisti si mettono sull’attenti: che bisogno c’è di approfondire? Giorgio Getto Viarengo ha proclamato: quello era un fascista, togliete l’intitolazione della caserma. L’ANPI inzia a raccogliere le firme per far cambiare dedicatario alla caserma. Tutti si inchinano immediatamente al diktat.

Viene quindi il turno di individui – se possibile – ancora più miseri. Deputati, consiglieri regionali, tutti fanno a gara a chi per primo aderisca alla campagna dell’ANPI. Sgomitano, per arrivare primi. Non può mancare, ovviamente, quello che guida contromano in autostrada (Claudio Burlando); non esita ad aderire la ex DC, ex PDL, oggi UDC, domani chissà, Gabriella Mondello; manco a dirlo, poi, tutta la variegata fauna di politicanti di sinistra, e da ultimo tal Roberto Levaggi, del PDL, veterano di tante memorabili trombature politiche.

Una dichiarazione rende bene l’idea del ragionamento. E’ di Aurora Pittau, consigliere lavagnese all’istruzione: «Quando ci è stato annunciato che la caserma sarebbe stata intitolata a Menechini non conoscevamo il profilo politico di quest’uomo; in caso contrario, avremmo subito preso posizione». In altre parole: un mutilato ed eroe della grande guerra, ucciso in modo così barbaro davanti alla figlia, merita certamente la intitolazione. Ma, ovviamente, purché non sia un fascista.

Non ho dubbi che, tanto per cambiare, le cose andranno per il peggio e i partigiani l’avranno vinta ancora una volta. La caserma probabilmente verrà intitolata a qualcun’altro, magari proprio all’assassino di Menechini, che certamente dopo la guerra sarà stato coperto di quelle medaglie-patacca che i partigiani si sono autoattribuiti a tonnellate.

Alla fine, è sempre una questione di stile. Che sguazzino pure nel fango, loro.

Un altro articolo su questo caso.

Aggiornamento del 29 marzo 2011: sul sito Italia RSI sono presenti alcune note sulla morte dell’Aiutante Michele Menechini: http://www.italia-rsi.org/genova-rsi/caduti/genovarsicaduti_m.htm

Il nominativo è presente anche nell’archivio dei caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana http://www.inilossum.eu/cadutiRsi_search.asp

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Autori Storia

Felice Bellotti

Ho letto negli ultimi giorni, con interesse crescente, un libro di Felice Bellotti intitolato Oltre l’estrema Tule. E’ un cartonato, pubblicato nel 1966 dalle Edizioni La Scuola. Sin dalla prima pagina mi ha colpito favorevolmente la qualità dello scrivere: ottima costruzione della frase, proprietà di linguaggio, precisione e brevità.

Via via però la lettura si faceva più coinvolgente: nel corso dell’ultimo anno avevo già letto decine di libri sull’Artide (viaggi, esplorazioni, caratteristiche geografiche etc.) ma nessuno così ben costruito. Il volume che adesso avevo in mano alternava ricordi e impressioni dell’autore, descrizioni storico-geografiche, racconti più o meno immaginari di vite di uomini e  animali, episodi di navigazione dei pescatori di merluzzo e soggiorni presso i lapponi.

Intorno alla pagina 130 ho trovato la citazione di un articolo semisconosciuto di Evola (Il mistero del Cromagnon); mi è parso il chiaro segno di una speciale simpatia con l’autore. Parlando del blocco sovietico, l’autore usava parole di fuoco. Riferendosi ai popoli nordici, era pieno di ammirazione e stupore. Dal libro si arguiva che l’autore aveva fatto il corrispondente durante la guerra russo-finlandese; ricordavo che su quello stesso fronte aveva operato un altro giornalista di nome Indro Montanelli.

Poi verso la fine Bellotti, riferendosi alla Norvegia, scriveva pressappoco: “ho iniziato a conoscere questi luoghi da ragazzo, leggendo i libri di Hamsun e Andersen, che mi hanno messo nel cuore un amore per il Nord che non mi ha più lasciato per tutta la vita”.

Insomma un libro che, pur non raccontando una singola vicenda, sa rendersi coinvolgente come un romanzo, riuscendo particolarmente a far leva su chi abbia una certa visione del mondo.

Così, spinto dalla curiosità ho effettuato qualche ricerca sull’autore, per rendermi conto che Felice Bellotti, omonimo di un famoso traduttore ottocentesco dei classici greci al quale sono dedicate piazze e vie in tutta Italia, è stato autore di una decina di libri “di viaggio”:

Prodigioso Congo, 1952 (tradotto in inglese nel 1954 e in francese nel 1956)

Grande Nord, Eli, 1954 (tradotto in inglese nel 1957 e in francese nel 1960)

Formosa. Isola dai due volti, Cino Del Duca, 1958 (tradotto in francese nel 1959)

Cittadella di Allah. Viaggio nell’Arabia Saudita, Cino Del Duca, 1960 (tradotto l’anno successivo in francese)

Terra Maya, Leonardo da Vinci, 1963 (tradotto in spagnolo nel 1966)

Alaou Haiti, ed. Leonardo Da Vinci, 1964

Il paese della Bibbia, 1965

I Beduini, Cino del Duca, 1965

Avventura in Yemen, ed. Cino del Duca, 1966

Australia nuova America, Cino del Duca, 1967

Agli antipodi, La Scuola, 1969

Felice Bellotti aveva inoltre pubblicato XXVIII Ottobre, divisione d’assalto (Società nazionale editrice propaganda, 1937); Arabi contro Ebrei in Terrasanta (O. Marangoni, 1939, Volume 13 di Vita dei popoli, collana di viaggi, esplorazioni ed inchieste); Germania chiama Europa (Rusconi e Paolazzi, 1956); e, nel 1947, La repubblica di Mussolini (ed. Zagara), un libro sulla RSI. Dopo poco ho scoperto che così come il libro sul Nord era il frutto di viaggi ripetuti e di conoscenza diretta, allo stesso modo Bellotti l’epopea del fascismo repubblicano l’aveva vissuta da protagonista. Non solo: aveva portato sul bavero le doppie rune e per la precisione era stato Sturmbannführer nella Waffen SS, con l’incarico di ispettore generale delle forze armate italiane (sigla: Gen Inspek der Ital Waf Verb). Stando a quanto riportano Harm Wulf e altre fonti, aveva fondato e diretto Avanguardia, il mensile della SS Italiana; prima della guerra, aveva fatto il giornalista per Il Regime Fascista e per La Stampa: due quotidiani su cui, nella stessa epoca, aveva scritto anche Evola.

Già negli anni ‘30 aveva preso parte alla campagna d’Etiopia (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, Volume 2, pp. 397 e 492): presumo che il libro sulla XXVIII Ottobre ne sia il resoconto.

Dalla seconda metà del settembre 1943, comunque, Felice Bellotti e Cesare Rivelli fecero i programmi italiani per Radio Monaco, ancor prima della proclamazione della Repubblica Sociale. Radio Monaco fu una sorta di “governo via etere”, come scrive  Annino Vitale in Cronistoria della Radio dal 1938 al 1945. Poiché Bellotti operò a Radio Monaco nei giorni immediatamente successivi alla liberazione del Duce da parte di Otto Skorzeny, mi sembra persino plausibile ipotizzare che fosse presente all’arrivo di Mussolini in Germania, insieme a Vittorio Mussolini e a Evola. Stando alle ricerche di Massimo Zannoni (pubblicate in Acta, bimestrale pubblicato dalla Associazione Culturale Istituto Storico della RSI, n. 47/gennaio-marzo 2002), anche durante la Repubblica Sociale Bellotti inoltre lavorò al giornale della Radio repubblicana diretta da Pavolini, coadiuvato da Giovanni Preziosi e Vittorio Mussolini.

A quanto pare Bellotti ebbe un ruolo nella liberazione di Indro Montanelli dal carcere di San Vittore (vedi); forse memore del periodo vissuto insieme a raccontare l’esperienza di ghiaccio e fuoco nelle trincee della Finlandia. Queste vicende pare siano ricostruite nel libro di Renata Broggini Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Montanelli. Ancor più precisa la ricostruzione del ruolo di Bellotti in una lettera del lettore Riccardo Lazzeri al settimanale il Domenicale del 6 settembre 2003: “Il maresciallo Graziani, su preghiera di Donna Ines, telefonò a Guido Buffarini-Guidi a Maderno, il quale diede il nullaosta per la liberazione di Montanelli al giornalista Felice Bellotti. Questi lo portò al questore Ulderico de Luca e fece liberare Montanelli dal carcere di San Vittore, portandolo a Garbagnate con un ordine fittizio di trasferimento in data 1° agosto 1944, da dove, accompagnato dal commissario Osteria della polizia politica, giungerà a Stabio, in Svizzera, il 14 dello stesso mese. Tutto questo sopra verrà confermato dallo stesso Felice Bellotti in un articolo comparso sul Roma di Napoli nel dicembre 1959..”.

Nel dopoguerra Bellotti aveva subito i comuni processi e le comuni persecuzioni; ne restano tracce sparse nel sito dell’Archivio di Stato di Milano. Poi era passato a scrivere reportage di viaggi esotici sul settimanale Tempo. Non sono riuscito a trovare la data di morte.

Sarei molto lieto se qualcuno tra i lettori fosse in grado di darmi ulteriori informazioni su questo interessantissimo personaggio.

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Libri Storia

Alla fine è arrivato Messner

In un post su questo blog di qualche tempo fa, Viaggi oceanici, citavo una frase di Simon Leys in cui mi sono ritrovato appieno:

“Da diciotto anni accarezzavo l’idea di scrivere la storia del naufragio del Batavia. Mi sono procurato quasi tutto ciò che si pubblicava sul soggetto; poi, ho effettuato un soggiorno alle isole Houtman Abrolhos, sito del naufragio […]. Alla fine, è arrivato Mike Dash. Con il suo Batavia’s Graveyard, quest’ultimo autore ha veramente colpito nel segno – e non mi resta più nulla da dire”.

Quella sensazione mi è piuttosto familiare. Più di una volta ho raccolto per passione tutto il materiale possibile su certi argomenti; poi, un’alchimia di pigrizia, l’idea di incompletezza delle fonti, la mole del lavoro necessario mi hanno fatto accantonare i progetti di uno studio sistematico, rinviando il tutto a un momento migliore. Sino a che, talvolta, è arrivato qualcun altro che ha colpito nel segno, e non mi è restato più nulla da dire.

Oggi mi è capitato di rivivere la medesima sensazione. Ho appreso che il 6 ottobre prossimo uscirà un nuovo libro di Reinhold Messner su un tema già ampiamente trattato in passato, su cui progettavo da tempo di scrivere qualcosa anch’io. Certo, la mole di monografie già uscite è notevole; ma avrei davvero voluto mettere insieme il lavoro definitivo.

Invece, l’uscita di Duca dell’avventura (per Electa Mondadori) farà certamente terra bruciata. L’importanza dell’autore, che renderà omaggio a uno dei grandi protagonisti dell’alpinismo eroico del passato, lo renderà indubitabilmente un testo di riferimento.

La vita del Duca degli Abruzzi è l’ideale per un biografo. Come recita la scheda del libro di  Messner di prossima uscita, fu “un uomo che, tra l’Ottocento e il Novecento, fu capace di viaggiare nei 5 continenti compiendo mirabili imprese e straordinarie scalate — Con documentazioni d’archivio e fotografie, Messner fa rivivere il fervore del’avventura che animò uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi“.

Tra le grandi imprese non vi è soltanto il celebre viaggio della Stella polare nel mare artico. Vi sono le leggendarie ascensioni sul Monte Bianco, sul Sant’Elia in Alaska, del Ruwenzori, nel Karakorum; il comando della Marina italiana nella prima guerra mondiale; la fondazione del villaggio che portava il suo nome in Etiopia. Una vita avventurosa sin dal principio – suo padre fu deposto dal trono di Spagna quando il Duca aveva pochi giorni di vita; all’età di sei anni era già mozzo nella marina militare.

Un personaggio straordinario di cui è persino normale che si sia persa la memoria in tempi come gli attuali, nei quali si preferisce ricordare Michael Jackson o Mike Bongiorno.

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Libri Storia

Le ultime ore dell’Europa in spagnolo

Per la seconda volta l’associazione Tierra y Pueblo ha tradotto in spagnolo (castellano) un libro di cui ho curato l’edizione italiana. Dopo Il mistero iperboreo di Julius Evola, infatti, è stato pubblicato il libro di Adriano Romualdi Le ultime ore dell’Europa (Las últimas horas de Europa).

Eccone la scheda di presentazione:

El próximo agosto, se cumplen treinta y cinco años de la partida de Adriano Romualdi. Tenía treinta y tres años, un importante bagaje político y cultural, años de lucha y militancia en las filas de la resistencia europea y un futuro prometedor en la enseñanza universitaria y en el mundo cultural y político italiano. Quizás, otros hubieran sido los pasos del ambiente político alternativo italiano y por ende europeo si Adriano continuara con vida, no lo podemos saber. Sin embargo, su corta vida no fue en absoluto estéril. Puede que como su mentor, Julius Evola, dijo al conocer su muerte, nuestro mundo perdiera aquella trágica noche de agosto a “uno de sus representantes más cualificados”, pero Adriano Romualdi nos legó, a pesar de tan temprana muerte, una parte importante de su pensamiento y es deber de los actuales militantes identitarios europeos difundir estos textos.

Ediciones IdentidaD se estrena con uno de los mejores escritos de Adriano Romualdi, publicado en Italia de manera póstuma en 1976 con el sugestivo título de Las últimas horas de Europa. Adriano Romualdi, sin estériles pretensiones, sin protagonismos superfluos, por pura lucha, fue un gran ejemplo de lo que deberíamos entender por militante, no fue un intelectual, fue sobre todo un hombre de acción, conjugaba perfectamente sus horas de estudio, sus investigaciones y sus creaciones escritas, -realizadas como un ejercicio de combate- con la lucha política y cultural, incluso con el combate en la calle cuando la ocasión lo requería. Todos los aspectos de su paso por la vida fueron esfuerzo, voluntad indomable, lucha y militancia. En todos estos aspectos, entendía su vida como una milicia en las que el pensamiento y la acción, frente a la comodidad y el conformismo, se unían en la búsqueda de la verdadera realidad interior, siendo siempre consciente de la extrema dureza que eso significaba para el que se sabía resistente frente a un mundo que en todas sus dimensiones le era extraño y enemigo. Por ello, no es de extrañar, que un tema como el de los últimos días de la última gran guerra mundial despertara en él el suficiente interés para escribir un texto que hoy, casi setenta años después de aquellos días, tiene tanta importancia y actualidad.

Independientemente de los hechos históricos, que no obstante, es preciso recordar desde una perspectiva diferente a la de la propaganda de los vencedores, sobradamente conocida, y que Romualdi, como buen historiador, relata y contrapone de forma magistral, quizás lo importante de este libro sea el mensaje que su autor da a conocer y del que son fundamentales dos ideas, por una parte el ejemplo de abnegación, resistencia y heroísmo de una generación de militantes que llevó sus valores e ideales en defensa de la identidad y la esencia de Europa a sus últimas consecuencias y que supone un ejemplo y unos valores hoy del todo necesarios para resistir a las últimas y más peligrosas fases del proceso de disolución que se inició para Europa en las jornadas en las que trascurre este relato. Por otra parte, la idea de Europa, presente en toda la obra y pensamiento de Romualdi, es quizás en este texto más protagonista que nunca, precisamente por desarrollarse en estas últimas y terribles horas una lucha furiosa y desesperada donde Europa se jugaba su propia existencia. En aquellas últimas horas, se muestra más real que nunca la conciencia de la verdadera identidad europea y la necesidad de la lucha sin cuartel contra los que con la fuerza de las armas destruían el sueño del renacer europeo, la herencia milenaria y los principios de una civilización que se negaba a desaparecer. Aquellos fueron los últimos momentos de Europa pero no de la idea de Europa, una idea que debe hacerse fuerte en la lucha no finalizada, una lucha que como Romualdi bien sabía empieza en los que se reconocen herederos de los valores y ejemplo de aquellos que murieron heroicamente por la única y verdadera Europa, valores que forman los cimientos para la recuperación de aquellos ideales casi olvidados, quedando patente con este último sacrificio, que de aquella derrota deben surgir las energías y voluntad para la recuperación de la identidad, futuro y destino europeos.

Adriano Romualdi se encarga, treinta y cinco años después de su partida, con este magnífico y del todo recomendable texto, de mantener viva la llama de esta antigua y eterna lucha”.

Il libro costa 20 euro, e può essere richiesto alla e-mail idpress7@gmail.com, o direttamente all’Associazione, per posta (apartado de correos 6107 – 46080 Valencia) o al numero di telefono 666 873 024.