Circa tre settimane fa ho appreso che il numero 338 (marzo-aprile 2010) del bimestrale “Dossiers d’Archéologie” è stato interamente consacrato agli Indoeuropei. Ne ho ordinato una copia alla casa editrice (Faton) e l’ho ricevuta in tempi abbastanza rapidi; eccone ora un breve resoconto.
Ovviamente una rivista che affronta il tema in meno di 100 pagine, occupate per la maggior parte da immagini, non può avere che un taglio divulgativo. Questo non implica necessariamente un giudizio negativo; purtroppo però la cura del dossier è stata affidata a Jean-Paul Demoule, un autentico facinoroso, che occupa la maggior parte dello spazio in lamentele contro i malvagi nazisti che si sono occupati di studi indoeuropei e nel gettare discredito su Jean Haudry, non certo per i suoi studi scientifici ma per aver figurato nel Comitato Scientifico del Front National; non manca poi lo scandalo per la Nouvelle Droite, che dagli anni ‘70 si permette di trattare questo tema con costanza. A tutto questo il dolce e buon Demoule contrappone gli studi seri, quelli concentrati intorno al Journal of Indo-European Studies. Effettivamente si tratta di una rivista prestigiosa; purtroppo però – ironia della sorte – Demoule non si è reso conto che quella pubblicazione ha annoverato tra i suoi collaboratori proprio il diabolico fondatore della Nouvelle Droite, Alain de Benoist. Ad ogni modo, per farsi un’idea di quale misera sommatoria di pettegolezzi e maldicenze siano gli studi indoeuropei secondo la prospettiva di Jean-Paul Demoule, è sufficiente leggere questo suo sconcertante articolo: Destin et usages des Indos-Européens (sic).
Se si espungono i ben tre articoli carichi di furore ideologico di Demoule, il resto della rivista è interessante: vi sono ospitate anche tesi difficilmente condivisibili, ma documentate e non frutto di pura e semplice propaganda antifascista. In particolare, vengono giustapposti due articoli di James Mallory e Colin Renfrew: come noto, il primo ha sviluppato l’ipotesi di Marija Gimbutas sull’Urheimat “kurganica”, il secondo ha sostenuto, in Archaeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins, quella dell’origine agriculturale-anatolica. Mallory inoltre è animatore del già citato JIES ed ha all’attivo la pubblicazione di due libri importanti, In search of the Indo-Europeans, che ripercorre le principali tesi sulla localizzazione della protopatria, e l’imponente Encyclopedia of Indo-European Culture.
Stranamente il bizzarro curatore, nemico giurato dell’indoeuropeistica “sulfurea”, riesce a sopportare che si menzionino gli studi di Dumézil. Il contributo sul tema è di Daniel Dubuisson, che presenta le linee generali del grande studioso di mitologia e linguistica indoeuropee. Lingua e cultura sono le due branche principali degli studi indoeuropei, che si suddivono poi in sottobranche innumerevoli: dal folklore all’archeologia, dalla fonetica alla genetica. In ambito più linguistico sono i due contributi di G. Bergounioux La langue des Indo-Européens? e K. Kristiansen La diffusion préhistorique des langues indo-européennes; riguarda invece tutt’altra questione – assai più spinosa – l’articolo su Indo-Européens et anthropologie biologique di E. Crubézy, B. Ludes e C. Keyser. I tre studiosi sostengono una provenienza centro-europea degli Indoeuropei in base a recenti esami del DNA. Segnalo infine un articolo di R. Nicolaï dal titolo De l’arbre généalogique à la saisie du contact des langues, che segnala come il modello “ad albero”, spesso utilizzato in passato per spiegare le ipotesi di successive diramazioni delle nazionalità indoeuropee, sia oggi svalutato nella teoria nonostante la sua evidente utilità pratico-didattica.