Ultimamente ho letto diversi libri interessanti, cominciando con il celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. Non solo il libro, ma anche la sua storia e quella del suo autore sono tanto singolari che hanno attratto l’attenzione di molti critici e studiosi. Non penso che ci sia granché di originale da poter aggiungere su questa intricata vicenda: ci si può anche limitare al piacere di una lettura insolita e avvincente.
Complice una certa pigrizia mentale che spero dovuta alla stagione ho limitato le letture alla narrativa, con l’unica eccezione de I più importanti disastri navali di Kenneth Barnaby (Mursia): un libro piuttosto datato ma ancora interessante, per il taglio tecnico che lo caratterizza e per l’autorevolezza che ai suoi tempi il libro e l’autore mi pare abbiano avuto.
Ho poi proseguito affrontando sistematicamente le opere di Alexander Lernet-Holenia, la cui lettura è ormai quasi completata. Ho letto, nell’ordine, Il giovane Moncada, Un sogno in rosso, Il venti di luglio, Lo stendardo, Marte in Ariete, Il conte di Saint-Germain, Ero Jack Mortimer, La resurrezione di Maltravers, che mi è parso il più hamsuniano, e Il signore di Parigi (tutti pubblicati da Adelphi); ne restano solo due tradotti in italiano, che mi sono già procurato per i prossimi tempi.
Lernet-Holenia ha grandi pregi. Un bello stile, preciso ma non pedante; ambientazioni accurate, che spaziano in molti luoghi, ma in particolare nell’Europa centro-orientale, e in poche epoche – dalla Francia rivoluzionaria de Il signore di Parigi al Venti di luglio, quello dell’attentato a Hitler (può darsi che nei testi che non conosco vi sia qualche eccezione, ma la gran parte delle vicende si svolge poco prima, durante e poco dopo la Grande Guerra). Oltre al Barone Bagge, di cui ho già scritto, ho particolarmente apprezzato Lo stendardo e Un sogno in rosso; in quest’ultimo compare anche il leggendario barone Von Ungern-Sternberg. Lo stendardo è quello in cui più chiara appare la fine di un’epoca, o meglio di un mondo; ed è quello che, a mio avviso, consente di inquadrare il suo autore, volente o nolente, ai margini della Rivoluzione conservatrice.
Poi, con lo stesso e consueto intento di completezza ho proseguito nella lettura di Borges e Bioy Casares, leggendo del primo Il manoscritto di Brodie, del secondo Un viaggio inatteso e Con e senza amore e, dei due, le Cronache di Bustos Domecq. Quest’ultimo offre esempi e strumenti di ironia che ben si potrebbero impiegare, oggi, contro la cricca di sacerdoti del politicamente corretto.
Poi due libri su un celebre episodio, tra storia e mito, della guerra civile spagnola, L’assedio dell’Alcázar (di C. Eby) e Morire all’Alcazar di T. Ciarrapico, che è evidentemente debitore del primo. Nonostante quel che diceva Adriano Romualdi del film fascista su questo episodio storico (io lo vidi da bambino e mi sembrò entusiasmante) mi pare che la vicenda sia così emblematica da poter ancora alimentare libri, racconti, sogni ed entusiasmi.
Con due libri dovrei aver terminato la lettura di altrettanti autori: Knut Hamsun, di cui ho letto la commedia Sulla soglia del regno (pubblicato in italiano nel 1927 da Alpes e mai più ristampato) e Gustav Meyrink, con il recente Il cardinale Napellus pubblicato da SE; era già uscito in italiano una trentina d’anni fa ma quell’edizione si trovava solo a prezzi indecenti. Dopo averlo letto, mi rendo conto che probabilmente sarebbe valso la spesa anche in passato; i tre racconti che lo compongono sono quasi perfetti.
In realtà, sulla completezza di Hamsun mi resta un dubbio: stando alla bibliografia che ne avevo redatto a suo tempo, nel 1899 venne pubblicato dalle ed. Remo Sandron Era pazzo?, che non sono mai riuscito a procurarmi; però mi pare di aver constatato, in passato, che si tratti di una traduzione sotto diverso titolo di Misteri.
Ho preso congedo da questi due autori piuttosto a malincuore. Certo, posso tornare a leggerli – e prima o poi lo farò – ma la prima lettura e il gusto della scoperta che le è proprio ormai non sono più possibili.