XXI Aprile simbolo della nascita

Astraendo da interpretazioni storiche o critiche, il ciclo epico di Roma, le affermazioni dello spirito gerarchico-guerriero conseguite attraverso l’equilibrio classico e l’ideale olimpico della vita, l’assoluta lealtà, la fides, la pax degli dèi, i riti alla vigilia delle guerre, le victoriae triumphales, il diritto e la civiltà, costituiscono una serie di fatti che, anche se non ci rimandano a un patrimonio di cultura libresca, essi stessi sono come grandi simboli annuncianti una spiritualità superiore, una immutabile potenza del superamento sull’umano.

Oggi, XXI Aprile XVIII, la celebrazione civile e militaresca del Natale di Roma evoca il più dominante di questi simboli, in quanto, di là dalla leggenda e dal vieto “senso della storia”, la fondazione dell’Urbe appare come un evento che dà direzione e significato al destino dell’Occidente, effettuandosi allorché la tradizione “uranio-solare” vacilla nell’Ellade e mentre i vecchi regimi matriarcali del Mediterraneo vanno degenerando dal sacerdozio patriarcale al misticismo tellurico e all’estatismo orgiastico. Ecco perché Romolo, il fondatore, il Lare per eccellenza, colui che per primo accende il fuoco sacro della famiglia e della Patria, è anche il primo costruttore dell’Impero: egli invero dà inizio a quella che Bachofen giustamente chiamò l’“aurora dell’Occidente”.

Il simbolo da quell’epoca è imperituro, onde è evidente, nella odierna celebrazione, che ancora una volta gli eventi occidentali si aggirano più che mai attorno a un centro magnetico di forze: l’Urbe. Chi meno voleva volgersi a Roma, oggi ne sente la dolce e imperiosa forza e ha fisso lo sguardo su essa.

Lungo le più alterne vicende di popoli e di civiltà, attraverso ricostruzioni ed immani disgregazioni, in un indefinito ciclo di divenire, Roma è stata sempre un punto fermo nel tempo. Per uomini, per condottieri, per mistici, essa è stata sempre una rocca di paragoni sicuri, un punto di partenza e un punto di arrivo, dopo cui valeva la pena di vivere la vita oltre la vita stessa, per tendere a un piano di serena immortalità.

Nel secolo ventesimo, Mussolini ha rimesso in luce questa verità sovrumana. Egli è tornato a Roma, riconoscendola nell’orditura segreta della sua potenza, tessuta di riti immutabili e di significati più che mai vivi; e da Roma si è rivolto all’Italia, al Mediterraneo, all’Occidente.

Roma dunque attende “uomini”, ossia costruttori e dominatori; questi le giungono in epoche di grandi rivolgimenti, quando le razze trepidano e oscure visioni trascorrono per gli spiriti delle genti e splendori e dissolvimenti si mescolano in drammatica vertigine di irrazionale, in una sorta di minaccioso “caos”.

Un’antica e perennemente giovane razza di Romani è legata alla storia di Roma. Misteriosa, di origine eroica, di continuo suscitante la fiamma della Tradizione, in segreta solitudine o in azioni solari, secondo che gli eventi lo richiedano, tacita in talune epoche contemplative ed esplodente in combattimenti, in conquiste e in superbe costruzioni, in epoche di virile affermazione, essa non si può identificare nello spazio né si può individuare attraverso una visione razionalistica della storia.

Una missione la cui forza è travolgente per qualsiasi ostacolo, è ad un tratto affidata ad un uomo di tale razza. Egli è sicuro sin dall’inizio, preordina, preannuncia ciò che poi sarà attuato nei più minuti particolari, pensa ed organizza, è cosciente ed agisce, è nello stesso tempo ideatore e realizzatore, spirito e realtà, idea e azione, traducente in vita ciò che sono le ultime conclusioni, di tutte le più elaborate ed elevate filosofie – dando perciò un terribile insegnamento a tutti i mestieranti della filosofia, a tutti i costruttori astratti, a tutti i dialettici infecondi – nobilitando lo spirito in azione e l’azione in spiritualità. Superiore al mistico, perché l’esperienza mistica è soltanto una parte della sua vita interiore, superiore all’artista in quanto egli vive e traduce in atto quella forza e quella bellezza che sono per l’artista una mera aspirazione; superiore al dotto, giacché egli stesso è creatore di tutto ciò che poi sarà oggetto di studio e di esame discorsivo da parte del dotto; superiore all’uomo d’azione in quanto l’azione per lui è controparte reale di una predeterminazione interiore; superiore a ogni categoria umana e unificante in sé ogni categoria, egli è imperator, iniziatore di civiltà, inviato dall’alto, mirabilmente umano e trascendente l’umano; nessuna razza lo può rivendicare a sé, se non una razza romana, imperitura, inconfondibile.

La quale si anima nel tempo attraverso la “tradizione” la cui luce non può estinguersi, in forza di una trasmissione segreta: quella trasmissione che fu virtù iperumana dell’imperium e dello splendore augusteo e che nessuna decadenza, nessuna invasione barbarica, nessuna contaminazione di cultura, nessun livore di straniero ha potuto toccare.

Chi può distruggere l’immortale, chi può scuotere l’eterno? Una superiore cultura dello spirito avviva, attraverso il tempo, la vita di una razza; questa razza esprime uomini fatti di forza, incrollabili, lungimiranti, la cui anima è oceanica, una con l’ampio respiro del cosmo, di natura solare.

Ancora una volta, oggi, rivive l’ideale di tale razza romulea e cesarea, quale prova di quella virtù di rinascite suscitate dal fuoco segreto della Tradizione unica, la quale è al centro di tutte le tradizioni e all’origine di ogni rito superiore. Tale virtù, trasfondendosi dall’uno ai molti, ha senso universale e perciò unifica, non livellando, non stabilendo rapporti astratti tra gli uomini, non democratizzando, ma destando una coscienza nuova di realtà spirituale, con la cui forza sia possibile, in un momento di virile azione, redimere il “caos”, organizzare il molteplice, riordinare ogni trama di vita.

Un nuovo ordine oggi è dunque chiamato a comporre la trama degli avvenimenti umani, come reazione a una disgregazione che già si presenta inevitabile, come superamento di una forma mentis edonistica, plutocratica, materialistica: ordine che fa appello a tutta l’umanità e che propina insegnamenti a ogni popolo, che fa riemergere alla luce la concezione di “gerarchia” e viene realizzato in nome di un’antica serenità del mondo, tessuta di purità e di forza: la pace romana. Tale ordine è per noi l’ideale mussoliniano, l’ideale fascista.

Appunto per questo Roma è un simbolo. Considerare Roma una semplice civitas, o un punto geografico, significa impoverire con la parola ciò che la realtà e i più profondi presentimenti dello spirito annunciano in armonia di bellezza e di potenza.

Essa è simbolo, perché il suo linguaggio è universo e perché conduce la coscienza dell’uomo di là dai limiti del mondo finito e diveniente, nel mondo infinito e immortale: nel quale sembrano di recente cessate le grandi gesta di eroi e conquistatori che iniziarono il ciclo della tradizione romana, e quasi permane un’eco presso la risonanza della vita stessa.

Simbolo, perché tramutante nell’immagine che ogni popolo vuole a rappresentazione della propria fede e dei propri ideali: una nel significato e molteplice negli aspetti, raccogliente in sintesi le esigenze di forza e di liberazione delle culture più diverse, misteriosa nella sua serenità e nella sua avvincente potenza, segreta come la necessità, animante come la fede.

Anche coloro che oggi credono di muovere e di costruire per sé, fuori di una tradizione romana, agiscono sotto il dominio di un tale simbolo. Tutto ciò che è fiorente e che presenta i segni dell’imperituro, dell’immutabile, è secondo il nostro simbolo, “romano”.

Roma è la simbolica giovinezza del mondo. Essa, mentre si brancolava nell’oscurità o si intristiva nel crepuscolo, ha creato per gli uomini tutti un’aurora nuova, segno della sua permanente luce spirituale, del suo impenetrabile segreto di potenza. La celebrazione della sua nascita è dunque celebrazione della sua eternità.

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Tratto da Il Resto del Carlino del 21 aprile 1940, A. XVIII.

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Massimo Scaligero (Veroli, 17 settembre 1906 – Roma, 26 gennaio 1980), è stato un esoterista italiano. Formatosi agli studi umanistici, li integrò con una conoscenza logico-matematica e filosofica, e con una pratica empirica della fisica. Attraverso studi ed esperienze personali individuò le linee direttive di una realtà originaria del pensiero per dimostrare l'inanità discorsiva della dialettica. Studioso di Nietzsche, di Stirner e di Steiner, approdò attraverso lo Yoga e lo studio delle Dottrine Orientali ad una sintesi personale che gli diede modo di riconoscere in Occidente il senso riposto dell'Ermetismo e il filone aureo di un insegnamento perenne, riconducente alla “Fraternitas” dei Rosacroce. Fu fra i maggiori prosecutori delle idee di Rudolf Steiner e contribuì a far conoscere e diffondere in Italia la Scienza dello Spirito. Sino al 1978 fu direttore responsabile della rivista East and West, organo dell'Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO – dal 1996 IsIAO: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente), fondato dal filosofo Giovanni Gentile e dall'orientalista Giuseppe Tucci.
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