Vettio Agorio Pretestato in Etruria

Vettio Agorio Pretestato Pontefice ed iniziato[1], con le sue affiliazioni e cariche religiose, è esaurientemente conosciuto dai nostri lettori. Pochi sanno che la sua villa in Toscana (o una delle ville) è stata identificata da circa un trentennio. Purtroppo, vuoi per la cronica carenza di fondi, vuoi perché sarebbero da scavare terreni con urbanizzazione abbastanza recente, gli scavi sono stati discontinui. Come ricordano gli archeologi “l’individuazione del sito archeologico dell’Oratorio a Limite sull’Arno risale al 1983 quando, in un terreno agricolo da molto tempo incolto, racchiuso a nord e a sud da costruzioni degli anni sessanta del secolo scorso, a est dalla viabilità comunale e a ovest dal rio della Botta, vennero effettuati lavori di sbancamento con mezzo meccanico per l’impianto di un frutteto. Dal terreno (…) apparvero numerosi frammenti ceramici pertinenti in massima parte ad anfore, oltre a laterizi e tuboli per riscaldamento. Le fratture nette fecero ipotizzare la presenza ancora in situ dello strato di vissuto di un edificio romano, non intaccato dai lavori agricoli che, probabilmente, non erano arrivati in profondità in quanto ostacolati dalle “Muriccia” che fino ad anni recenti erano visibili nel terreno lavorato e che ancora oggi emergono al limite dell’asfaltatura della strada comunale”[2]. La villa si trova alle pendici del Montalbano[3] vicino al corso dell’Arno in località Castellina.

I materiali recuperati furono restaurati in breve tempo ed adesso sono visibili nel nuovissimo Museo Archeologico di Montelupo Fiorentino. Certamente meritevole di almeno una visita: oltre alla straordinaria ricchezza della documentazione preistorica, con migliaia di reperti litici che iniziano con la prima frequentazione (oltre 250.000 anni dal presente) di tipi umani diversi dall’attuale (homo erectus, neandhertal), si segnala la documentazione protostorica del grande insediamento capannicolo di Bibbiani (Bronzo finale), con ceramiche, metalli, manufatti in osso e pasta vitrea che fanno riferimento a quella civiltà “Protovillanoviana” che costituisce l’antefatto del popolamento etrusco.

Artemide, lastra da Montereggi, Museo Archeologico di Montelupo Fiorentino.

Di grande interesse è anche la documentazione dell’abitato di Montereggi, un insediamento etrusco (secoli VI-I a. C.) posto in posizione privilegiata su un terrazzo fluviale dell’Arno. Dal quale provengono bronzi e ceramiche di particolare importanza, tra le quali si deve segnalare una kilyx attica attribuita al pittore di Codros, attivo in Atene tra il 440 ed il 430 a.C. e la lastra ad altorilievo con una testa femminile che sorge da un cespo di acanto, databile al secondo quarto del III secolo a.C. che molto probabilmente faceva parte di un fregio frontale di un tempio. Identificata con Artemide[4] e da Artemide avrebbero preso il nome gli Artemini, gli etruschi di Artimino, nel cui territorio era compresa Montereggi. Importanti e numerosi sono anche i materiali di epoca romana provenienti soprattutto dalle due grandi villae rustiche di Montelupo (podere Vergigno) e naturalmente dell’Oratorio di Limite sull’Arno ovvero la nostra villa dei Vetti.

Notevole è anche la documentazione medievale del museo, con suggestivi reperti altomedievali (olifante di Montereggi), ed il bacile di bronzo dorato con medaglione di Carlo Magno, trovato lungo il corso dell’Arno. Si tratta di uno dei cosiddetti “bacili Hansa”, rinvenuti soprattutto nella Germania settentrionale, ma fabbricati con ogni probabilità nell’isola baltica di Gotland, che fu un importante centro metallurgico medievale. Il bacile di Montelupo appartiene ad una serie assai ristretta (solo tre esemplari sinora noti, uno rinvenuto ad Halle, l’altro a Riga), che mostrano al centro un medaglione con l’effigie di un imperatore; mentre gli altri due si riferiscono ad Ottone I, l’esemplare di Montelupo – unico al mondo – mostra invece Carlo Magno.

Ma torniamo ai frammenti marmorei della villa di nostro interesse, in particolare a quello con l’iscrizione in lettere capitali di modo allungato che si sviluppa su cinque righe di cui solo le prime quattro leggibili ed esposto in una vetrina del museo; “l’accurata esegesi ed ipotesi di parziale integrazione di cui è stata oggetto (…) ha portato ad una datazione tra il III ed il V sec. d.C., e alla seguente lettura:

[—Ve?]tti Praetextati

[— i]nmensi operis aeri

[—]ur magnus et

[— toto d]iffunditur or =

[be—] + c.7 +

——

Frammento marmoreo con dedica a Pretestato. Museo Archeologico Montelupo Fiorentino (Foto: Mario Enzo Migliori).

L’iscrizione, pur molto lacunosa, appare celebrare un personaggio di elevata estrazione, appartenente alla famiglia dei Vettii, di cui si menziona una costruzione o opera d’arte, ovvero un monumento in parte o completamente bronzeo, probabilmente in onore del celebrato. L’ipotesi di identificazione del protagonista con il nobile Vettio Agorio Pretestato[5], corrector Tusciae et Umbriae prima del 362, praefectus urbi nel 384, anno della sua morte (prima di poter ricoprire il consolato alla cui carica era stato eletto per il 385) risulta avvalorata, tra l’altro, anche dalla notizia della sua presenza per lunghi periodi (dal 368 al 384) nelle terre di cui era proprietario in Etruria[6]; non è da escludere, appunto, l’attribuzione allo strenuo difensore del paganesimo sia dell’iscrizione onoraria, sia della proprietà del complesso residenziale, la cui importanza è ben attestata da ciò che rimane della vasta organizzazione degli ambienti e delle ricchezza delle decorazioni”[7].

Mosaico del Cacciatore di Cinghiale.

Grazie alla cooperazione tra l’Università di Pisa, cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale (prof. Federico Cantini) e la Soprintendenza Archeologica della Toscana (dr. Lorella Alderighi), dalla collaborazione e dal duro lavoro degli studenti di archeologia, è venuto alla luce un meraviglioso mosaico, in ottimo stato di conservazione, nell’aula absidata. In realtà, questo mosaico era già stato individuato nel 1983, ma allora fu scoperta solo una piccola porzione, apparendo come un ambiente delimitato; la ripresa degli scavi nel 2010, però, aveva proprio come obiettivo la verifica dello stato di conservazione di questo mosaico. Il bellissimo tappeto musivo mostra una scena narrativa centrale, ovvero una figura maschile a cavallo, che con la lancia impugnata nella mano destra, ha colpito un cinghiale davanti al cavallo, e motivi geometrici e decorativi tutt’intorno. La raffigurazione centrale riproduce un tipico episodio legato al tema venatio apri, una raffigurazione musiva molto comune in palazzi importanti in età romana imperiale. La caccia è di per sé un’attività nobile, propria dell’otium, cioè dell’intrattenimento aristocratico, ma anche un esercizio di virtù cavalleresca; “il cacciatore, infatti, pratica lo sport venatorio a cavallo, in una caccia nobile, non come l’attività predatoria esercitata per mezzo delle reti; nei territori europei, nei quali mancano i grandi predatori come leoni e pantere, la caccia ritenuta più pericolosa è quella al cinghiale, ove il valore del guerriero cacciatore si scontra quasi alla pari con la fierezza dell’animale (vedi l’emblema del cinghiale sugli scudi greci); il cacciatore di cinghiale si ammanta quasi di un alone eroico in quanto uccide un animale che mette a repentaglio le coltivazioni, distruggendo alberi e vigne, la vita di uomini ed animali; la caccia allena il fisico e prepara all’attività militare”[8].

Pavimento musivo riportato alla luce nel 2015 (Foto: Mario Enzo Migliori).

Recentemente (2015) sono stati portati alla luce nuovi pavimenti musivi, stavolta ci troviamo di fronte a molteplici tipologie di decorazione, tra le quali si rammentano ottagoni con al centro figure di animali, simboli naturali, una svastica, pesci ed un busto umano con una particolare tonaca fermata da una fibula. Attualmente tutti i mosaici sono stati nuovamente ricoperti per preservarli. Nella villa verosimilmente si producevano vino e olio il cui surplus poteva facilmente essere trasportato sull’Arno che scorre abbastanza vicino alla villa.

Come sappiamo Vettio Agorio Pretestato era stato “augure, pontefice e XVvir sacris faciundis, e uno dei suoi atti pubblici di prefetto urbano del 367-368 fu il restauro del tempio degli Dei Consentes, che avevano parte, secondo la tradizione, nella disciplina fulgurale etrusca. La sua attività di sacerdote e cultore pubblico dei sacra degli Etruschi si accompagnava poi allo studio ‘privato’ dell’aruspicina e della scienza augurale”[9]. Anzi, come informa il Museo Archeologico di Montelupo in un pannello dedicato alla villa: Vettio, come ricorda Giovanni Cecconi, era esperto di etrusca disciplina e “devoto degli Di Consentes, divinità fortemente radicate nella tradizione dell’area[10]. Pertanto credo non sia del tutto casuale o dettata da soli motivi economici la scelta di Pretestato.

L’archeologia sta restituendo importanti reperti in tutto il Montalbano[11]: Artimino[12], la necropoli di Prato Rosello[13] e Comeana, Montereggi e Pulignano con la così detta Tomba dell’Uovo per la presenza di un monolite di tale forma per giungere all’insediamento di Pietramarina[14] ed il suo famoso “Masso del Diavolo”, per ricordare solo quelli più vicini alla villa di Pretestato. Località componenti quello che è stato indicato, da alcuni, come il Fanum Artumes. “Uno di questi luoghi sacri, con ogni probabilità, fu rappresentato dal Montalbano, una boscosa catena montuosa che si insinua fino al centro del Valdarno Inferiore, spaziando a trecentosessanta gradi su gran parte dell’Etruria settentrionale”[15].

* * *

[Da: Arthos, 25 n. s., pp. 104-106]

Note

[1] R. DEL PONTE, Vettio Agorio Pretestato, pontefice e iniziato, in Id., La Città degli Dei, La tradizione di Roma e la sua continuità, pp. 54-65, Genova 2003.

[2] L. ALDERIGHI, F. CANTINI, a cura di, Capraia e Limite. La villa dei Vetti: nuove e vecchie indagini archeologiche, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 6, 2010, p. 47.

[3] Il Montalbano comprende i territori degli attuali Comuni di Capraia e Limite, Carmignano, Cerreto Guidi, Lamporecchio, Larciano, Monsummano Terme, Poggio a Caiano, Quarrata, Serravalle Pistoiese e Vinci (delle Province di Firenze, Pistoia e Prato).

[4] «La lastra, che giaceva in fondo alla cisterna, collocata sopra un letto di ciottoli bianchi e protetta da pietre – affermava nella circostanza un raggiante Berti [direttore del Sistema Museale di Montelupo] – era stata deposta secondo un rito propiziatorio che avrebbe avuto la funzione di proteggere l’acqua contenuta nella cisterna stessa. Le pietre hanno protetto il manufatto, ed è per questo che lo abbiamo rinvenuto pressoché integro. Un riscontro importantissimo lo abbiamo trovato nel Museo gregoriano etrusco, a Roma, dove è conservata una lastra simile a questa proveniente da un tempio di Cerveteri. Diverse indicazioni poi fanno pensare a un prodotto artistico della Magna Grecia; nel contesto di scavo sono state ritrovate brocche di età ellenistica, e il misterioso Olifante in terracotta. La lastra quadrangolare faceva parte di una decorazione più imponente fissata sull’architrave del tetto di un tempio e il fatto che il volto sia ruotato a sinistra chiarisce che era stata fabbricata per essere posta in posizione frontale». Cfr.: http://www.olmastrello.it/una-perla-etrusca-artemide-a-montereggi/

[5] Da ultimo M. KAHLOS, Vettio Agorio Pretestato: una vita senatoriale nella transizione, Forlì 2010.

[6] SYMMACHUS, Epistulae I 51; M. KAHLOS, Cit., passim.

[7] L. ALDERIGHI, F. CANTINI, a cura di, Capraia e Limite. La villa dei Vetti: nuove e vecchie indagini archeologiche, cit., p. 54. Per l’epigrafe vedi anche: F. BERTI, G. A. CECCONI, Vettio Agorio Pretestato in un’epigrafe inedita dal Valdarno, in Ostraka, 6, 1997, pp. 11-21.

[8] L. ALDERIGHI, F. CANTINI, a cura di, Capraia e Limite. La villa dei Vetti: nuove e vecchie indagini archeologiche, cit., p. 75.

[9] A. PELLIZZARI, Servio. Storia, cultura e istituzioni nell’opera di un grammatico tardoantico, Firenze 2003, pp. 202-203; Cfr. M. E. MIGLIORI, Aruspici ed Etrusca Disciplina nell’Imperium Romanum, Roma 2014, p. 22.

[10] Sottolineatura nostra.

[11] AA. VV. (a cura di M. C. Bettini), Etruschi della valle dell’Arno, Signa 2009.

[12] AA. VV., Artimino. La ricognizione degli anni Ottanta, Carmignano 2006.

[13] AA. VV. (a cura di G. Poggesi), Artimino: Il Guerriero di Prato Rosello, Firenze 1999, [Cfr. la ns. rec. in Arthos, 5 n.s., genn.-giu. 1999, 190-191].

[14] M. C. BETTINI, Monte Pietramarina, in G. POGGESI, P. PERAZZI (a cura di) Carta Archeologica della Provincia di Prato dalla preistoria all’età romana, Firenze 2011, pp. 374-384; da ultimo M. C. BETTINI, Strutture abitative nell’insediamento d’altura di Pietramarina, in Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, XXIII, 2016, pp. 399-411.

[15] F. VOLPI, Il santuario Etrusco di Pietramarina, Trento 2012, p. 17.

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Nato a Prato nel 1953. Collabora alle seguenti riviste di studi storici e tradizionali: Arthos; La Cittadella; Vie della Tradizione; ha collaborato a Convivium ed a Mos Maiorum. Socio della Società Pratese di Storia Patria; dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri e del Centro Camuno di Studi Preistorici. E' stato tra i Fondatori del Gruppo Archeologico Carmignanese.

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