Una battaglia fra due transatlantici. Carmania e Cap Trafalgar

Charles Dixon (1872 - 1934), Sinking Cap Trafalgar. National Maritime Museum, Greenwich, London.
Charles Dixon (1872 – 1934), Sinking Cap Trafalgar. National Maritime Museum, Greenwich, London.

Di tutti gli incrociatori ausiliari tedeschi della «prima generazione» (se così possiamo chiamarla), ossia che si trovavano sugli oceani al momento dello scoppio della prima guerra mondiale, il Cap Trafalgar fu quello che ebbe vita più breve, ma anche quello che conobbe la vicenda più drammatica (cfr. il nostro precedente articolo Le due crociere della nave corsara Möwe, dicembre 1915 – marzo 1917).

Non riuscì a catturare nemmeno una preda e concluse la sua crociera dopo soli quaranta giorni dall’inizio delle ostilità fra Gran Bretagna e Germania, iniziate il 4 agosto 1914; e il destino volle che la sua fine cruenta avvenisse ad opera di una nave mercantile dalle caratteristiche molto simili alle sue, eccezion fatta per l’armamento, che, nell’inglese, era nettamente superiore. Proprio quel combattimento fra due transatlantici di notevole stazza, entrambi trasformati frettolosamente in navi da guerra, che ebbe luogo in una zona remota del Sud Atlantico, conferisce alla vicenda dello sfortunato corsaro tedesco un particolare interesse, tanto da aver attirato l’attenzione di diversi studiosi di cose navali.

L’isola di Trindade è una roccia arida e brulla gettata in mezzo all’Oceano, fra il 20° parallelo di latitudine Sud e il Tropico del Capricorno, a 500 miglia dalla costa del Brasile, cui appartiene. (Non va confusa con l’isola più grande e molto più conosciuta di Trinidad, che si trova sempre al largo dell’America Meridionale, ma di fronte alla costa del Venezuela, vicino all’isola di Tobago, con la quale forma lo Stato di Trinidad e Tobago). È davanti a quelle scogliere nude e inospitali che si svolse l’epico duello fra il transatlantico tedesco e quello inglese.

Sia detto fra parentesi, l’isola di Trindade, un semplice puntino sulle carte geografiche che non dice nulla di particolare alla persona comune, e neppure al naturalista, che – nel 1958 – ebbe luogo una vicenda misteriosa, ben nota agli studiosi di ufologia. La nave da guerra della Marina brasiliana Almirante Saldanha, salpata da Rio de Janeiro per installare sull’isola una stazione scientifica per lo studio dei fenomeni meteorologici ed oceanografici, registrò uno dei casi meglio documentati di avvistamento di «oggetti volanti non identificati».

Il 16 gennaio di quell’anno, infatti, tutto l’equipaggio fu richiamato dalle evoluzioni di un oggetto discoidale che viaggiava ad oltre 1.000 chilometri orari, dal diametro di 40-50 metri ed alto circa 8, che volava talmente basso da permettere a un fotografo che si trovava a bordo, Almiro Barauna, di scattare alcune immagini le quali, sviluppate a bordo poco dopo, si rivelarono discretamente nitide. I marinai riferirono che l’oggetto si spostava velocissimo, senza emettere alcun suono, ondeggiando in modo analogo a quello dei pipistrelli; che aveva colore grigio scuro e consistenza, apparentemente, metallica; che era scomparso e riapparso dietro la montagna, si era fermato per un attimo, quindi si era allontanato rapidamente. Inoltre, le apparecchiature di bordo registrarono delle interferenze elettromagnetiche nel corso dell’avvistamento.

Anche il tracciato del radar rivelò che qualche cosa di sconosciuto era comparso nel cielo di Trindade, quel giorno; e l’esame delle fotografie – una delle quali decisamente buona – stabilì che esse erano autentiche, senza ombra di dubbio. La Marina brasiliana, da parte sua, emise un comunicato, nel quale confermò l’avvistamento di un «oggetto volante non identificato» sull’isola di Trindade; e fu la prima volta che delle autorità governative rilasciavano una simile ammissione.

Ma chiudiamo questa pur interessante parentesi e torniamo alle vicende belliche che più di quarant’anni prima, nel settembre del 1914, fecero parlare dell’isola di Trindade – altrimenti sconosciuta ai più – sui giornali di varie nazioni.

Il Cap Trafalgar era un vapore nuovo di 18.700 tonnellate, che poteva sviluppare una velocità di 17 nodi, adibito alle linee di navigazione fra la Germania e il Sud America. Aveva fatto il viaggio inaugurale a Buenos Aires proprio mentre, in Europa, scoppiavano le ostilità fra l’Intesa e gli Imperi Centrali. Era una nave magnifica, la più grande e la più bella fra quante facevano servizio su quella rotta; il destino volle che il suo primo viaggio sarebbe stato anche l’ultimo.

Dopo aver scaricato a Buenos Aires ed essersi rifornito di carbone, il 23 agosto era ripartito per Montevideo, di dove avrebbe dovuto intraprendere il viaggio di ritorno verso l’Europa. Adesso, però, lo scoppio improvviso delle ostilità gli tagliava la via del rientro in patria, come stava accadendo in quei giorni a decine di navi germaniche ed austro-ungariche. A differenza di quelle, però, il Cap Trafalgar non si sarebbe adattato a divenire una inerme selvaggina delle navi da guerra inglesi e francesi, né si sarebbe rassegnato all’internamento in qualche Paese neutrale. Era stabilito, al contrario, che sarebbe stato trasformato in incrociatore ausiliario, e che avrebbe condotto la guerra di corsa contro il naviglio alleato sulle rotte commerciali dell’Oceano Atlantico.

A Montevideo le autorità portuali, sospettando qualcosa del genere, lo sottoposero a meticolose perquisizioni (senza dubbio su pressione delle autorità consolari britanniche); ma, come era già accaduto nel precedente scalo di Buenos Aires, nulla di sospetto venne trovato a bordo, per cui la nave fu lasciata libera di ripartire. Se fosse stata appurata la sua natura di incrociatore ausiliario, le leggi internazionali gli avrebbero concesso solo ventiquattr’ore di permanenza, pena il disarmo e l’internamento immediato. Si ricordi che proprio a Montevideo, il 17 dicembre del 1939, la corazzata tascabile tedesca Graf von Spee del comandante Hans Langsdorff fu costretta ad autoaffondarsi, dopo essersi venuta a trovare in una situazione senza vie d’uscita: imbottigliata da alcuni incrociatori inglesi nel Rio de la Plata, e seriamente danneggiata dopo un combattimento sostenuto contro di essi.

Ripreso il mare dopo la sosta a Montevideo, il Cap Trafalgar, al comando del capitano di vascello Wirth, si incontrò – al largo – con la cannoniera Eber, che gli cedette i suoi due cannoni da 105 mm. e alcune mitragliatrici. Effettuato il trasbordo, alla piccola cannoniera – rimasta ormai disarmata – non rimase altro da fare che dirigersi verso il porto argentino di Bahia Blanca, a sud di Buenos Aires, andando incontro all’inevitabile internamento.

L’intercettazione dei messaggi radio nemici permise al Cap Trafalgar di tenersi alla larga dalle navi da guerra britanniche, ma ciò ebbe anche la conseguenza di tagliarlo fuori dalle rotte commerciali più battute; per cui, nell’arco di due settimane, non gli riuscì di catturare nemmeno una preda. E ciò nonostante che si fosse abilmente e tempestivamente trasformato in un classico bastimento della Unione Castle Line, ridipingendosi con i colori di pace: i fumaioli di rosso e di nero e lo scafo di un tenue verde chiaro.

A metà settembre era già a corto di carbone e, per rifornirsene, diede appuntamento a due navi ausiliarie davanti alla costa dell’isola di Trindade. Ma, dopo esservi giunto a sua volta e mentre era impegnato nelle operazioni di carbonamento, il mattino del 14 settembre vide una nuvola di vapore levarsi all’orizzonte e, poco dopo, profilarsi lo scafo del Carmania. Allora levò prontamente le ancore e, resosi conto di non potersi allontanare in tempo, mise le macchine a tutta forza e manovrò per andare incontro al suo avversario.

Fino al mese di luglio del 1914 il Carmania era stato un transatlantico della Cunard Line, costruito – come il suo gemello Caronia – nel 1903. Stazzava 19.500 tonnellate, cioè poco più del Cap Trafalgar, e anche la velocità era circa la stessa: 16 nodi orari.

Ai primi di agosto, profilandosi lo scoppio della guerra, sia il Carmania che il Caronia vennero trasformati in incrociatori ausiliari nel porto di Bristol. I lavori di riadattamento furono imponenti, poiché richiesero il lavoro assiduo di ben 5.000 operai per i due piroscafi, mentre duemila vagoni vennero riempiti con i materiali asportati.

Il comando del Carmania venne assunto dal capitano Noel Grant, affiancato dal luogotenente E. Lockyer come primo ufficiale; il precedente comandante, capitano Barr, rimase a bordo nel ruolo di addetto alla navigazione e all’avvistamento. Con lui, rimasero a bordo anche una cinquantina di uomini del vecchio equipaggio del tempo di pace, compresi alcuni ufficiali, in ragione della loro lunga esperienza sul transatlantico.

Fu armato con otto pezzi da 120 mm. (portata di 9.000 metri), dotato di un potente cannocchiale e di fari per le missioni notturne; indi fu ridipinto di grigio e una parte delle murate venne segata via per fare spazio ai cannoni; inoltre, delle placche di metallo furono inchiodate ai fianchi della nave nei punti più vulnerabili. Tutti questi lavori durarono appena una settimana, dal 7 al 14 agosto, ma avevano richiesto l’opera di migliaia di operai specializzati.

Ben diversi erano stati i lavori a bordo del suo futuro avversario, il Cap Trafalgar, che aveva dovuto fare tutto da solo, trasbordando i due modesti pezzi della Eber in mare aperto, senza poter effettuare alcuna miglioria e senza disporre né di un bacino, né di personale specializzato e di materiali con cui corazzare le proprie fiancate e rinforzare i ponti.

Lasciata la Mersey, il Carmania ricevette istruzioni di pattugliare l’Atlantico; un secondo dispaccio gli ordinò di dirigersi verso l’isola di Trindade, perché all’Ammiragliato di Londra era giunta notizia che, nei suoi paraggi, sembrava incrociasse il Patagonia, un bastimento da carico che era stato destinato al rifornimento di carbone degli incrociatori tedeschi.

Non si trovò traccia del Patagonia che, in effetti, si era messo al sicuro nel porto di Pernambuco, ma il Carmania ebbe ordine di proseguire ugualmente la missione, perché l’isola di Trindade – che emerge altissima dalle acque del Sud Atlantico – offriva un ottimo nascondiglio alle navi che volessero rifornirsi di carbone senza essere viste, specialmente al riparo delle montagne sul lato sud-occidentale.

Giunto in vista dell’isola nel mattino del 14 settembre, il Carmania avvistò, presso la costa occidentale, l’albero maestro di una grossa nave, dalla quale si levò ben presto una densa nuvola di fumo. Poco dopo, due bastimenti più piccoli furono visti uscire da dietro la sagoma della nave sconosciuta, e allontanarsi ai due lati a tutta velocità: erano le due navi appoggio del Cap Trafalgar, costrette ad interrompere il trasbordo del carbone sull’incrociatore ausiliario.

Gli Inglesi, comunque, ignoravano con quale avversario avessero a che fare: avrebbe anche potuto trattarsi del Dresden o del Karlsruhue, i quali – a quanto se ne sapeva – incrociavano entrambi in quella zona dell’Oceano Atlantico. Il capitano Grant, infine, suppose trattarsi del Berlin, e rimase in tale convinzione ancora per diversi giorni; solo in seguito avrebbe saputo la vera identità della nave con la quale aveva sostenuto un micidiale duello..

Comandati gli uomini ai posti di combattimento, il capitano Grant fece spedire un colpo di avvertimento davanti alla prua del transatlantico sconosciuto che, nel frattempo, aveva innalzato sull’albero maestro la bandiera della Marina da guerra germanica: croce rossa in campo bianco. In risposta, il Cap Trafalgar sparò una bordata sopra il ponte della nave britannica: era l’inizio di uno scontro all’ultimo sangue.

Così sono state riassunte le fasi salienti del combattimento dal comandante inglese John Kerans nel suo libro Le grandi avventure del mare (titolo originale: The world’s greatest sea adsventures, Odhams Books Ldt., London, 1964; traduzione italiana e riduzione di Luigi Brioschi, Caa Editrice Bietti, Milano, 1966, pp. 79-82):

Data la direzione da cui la nave inglese si lanciava sulla tedesca, solo tre dei suoi pezzi potevan servire I cannonieri dunque si affaccendarono intorno ad essi, e dopo aver dato quella prima dimostrazione che aveva soltanto spruzzato d’acqua lo scafo tedesco, aggiustarono la mira proprio sul bersaglio. Si videro sul Cap Trafalgar una serie di esplosioni, seguite da fiammate. Ma fu subito chiaro che avevano a che fare con un nemico piuttosto pericoloso: il Carmania fu colpito a sua volta e tremò da prua a poppa all’impatto con la pesante carica di esplosivo. Una bomba cadde proprio accanto a uno dei cannoni, uccidendo due degli addetti e ferendo gli altri.

Il capitano fece portare il piroscafo sul lato sinistro, per mettere in azione un quarto pezzo. Con stupefacente precisione, lavorando freddamente e tranquillamente come se si trattasse di un’esercitazione, i cannonieri fecero partire un’altra salva, e tutte quante le bombe raggiunsero il bersaglio. Circa quattro chilometri separavano in questo momento le due navi, e si udiva ormai non solo il rimbombo dei cannoni ma lo stesso rumore che essi provocavano nel venir caricati. I tedeschi avevan puntato dritto sul ponte del Carmania, e una, due, tre bombe vi caddero proprio sopra e intorno. Delle esplosioni mandarono in pezzi argani, scialuppe, ventilatori e danneggiarono l’albero stesso della nave. Era ovvio che il nemico mirava non allo scafo, ma sulla coperta, in modo da far fuori il maggior numero possibile di ufficiali e marinai, e possibilmente impadronirsi della nave e portarsela via come bottino di guerra. Gli inglesi invece puntavano i loro cannoni proprio sullo scafo avversario, nel tentativo di affondarlo. Caricavano e sparavano con tale rapidità e frequenza che il metallo dei pezzi era diventato incandescente, e la vernice prendeva fuoco. Una bomba dietro l’altra piombava sul vascello tedesco, all’altezza della linea di galleggiamento. Si cominciò a veder fumo salire dalla sua tolda.

Le due navi si erano avvicinate ancora; erano ormai a due chilometri di distanza; e si accostavano ancora. A distanza ravvicinata i tedeschi sarebbero stati in grado di spazzare letteralmente la coperta del Carmania, uccidendo gli artiglieri e tutti quanti appunto si trovassero fuori, sulla tolda. Per aumentare il fuoco il capitano Grant portò la nave sull’altro fianco; ora toccava ai cannonieri del lato destro, coi loro cinque pezzi, fare la propria parte. Il Cap Trafalgar tremò di nuovo, sotto una serie di colpi precisi diretti proprio in mezzo al suo scafo. Era evidente che era stata colpita molto duramente.

Anche sul Carmania seguitavano a cascar bombe, provocando incendi continui: se ne udiva il rumore caratteristico, come se ne udiva il crepitio in mezzo al fumo che l’avvolgeva. Un marinaio avanzò barcollando verso il ponte mezzo fracassato, per annunziare che le condutture della nave eran saltate, e le pompe non davano acqua. Subito venne organizzata una squadra che formasse una catena di secchi in mezzo a quel caos di fumo, fuoco, spezzoni di bombe incendiati e frantumi di metallo incandescente. La squadra si mise al lavoro, con la stessa freddezza e calma di cui avevan dato prova gli artiglieri, e miracolosamente ebbe presto ragione del fuoco. Ma le fiamme seguitavano ad avvolgere il ponte di comando; il capitano Grant decise di spostarsi con i suoi aiutanti a poppa, da dove avrebbe seguitato a governare la nave. Come per prodigio, nessuno di quelli che stavan sul ponte era stato ucciso; così tutti quanti poteron saltare giù e portarsi al nuovo luogo di comando.

Il Carmania somigliava poco ormai alla bella lussuosa nave che era salpata da Liverpool solo cinque settimane prima! Il suo ponte era distrutto e in fiamme; l’incendio si propagava dappertutto; le cabine di comando erano un inferno sconvolto; il sartiame pendeva in stracci infiammati; tutti gli arnesi in metallo non erano ormai che rottami contorti; ciò che era stato scialuppe, alberi e altri aggeggi in legno era stato scagliato dovunque in schegge e brandelli. Gli uomini invece no: pochi ne erano morti, pochi ne eran stati seriamente feriti.

Nel frattempo, la situazione sul Cap Trafalgar sembrava davvero disperata. Da prua a poppa la nave tedesca erra ingolfata di fumo, e dal fumo si vedevan spuntare qua e là le lingue di fiamme, che tendevano ad alzarsi dove l’equipaggio non riusciva a controllarle, e qui si quietavano dove disperatamente si riusciva a bloccarle. In mezzo a quel pandemonio, si vedevano ancora i lampi secchi e repentini delle cannonate; ma i colpi, se non avevan perso in rapidità, mancavano però in precisione. Si aveva la sensazione che là, sulla nave tedesca, si tentasse un ultimo, disperato e quasi sfiduciato sforzo per capovolgere le sorti del combattimento. Ma, all’improvviso, annunciò un urlo: «Affonda! Sta affondando! Abbandonano la nave!».

Era vero. Il Cap Trafalgar si stava inclinando; e si calavan già in mare le scialuppe di salvataggio. Poi tacquero anche i cannoni. Inclinandosi sempre più, la nave scomparve dietro l’isola.

Ufficiali ed uomini del Carmania potevano ora dedicarsi del tutto alla propria nave, avvolta ormai dal fuoco. Vennero lasciati per prudenza ai pezzi solo gli artiglieri; tutti gli altri si portarono ai bordi dell’incendio. Lentamente riuscirono a domarlo. Per l’intervento eroico degli ingegneri si poté a un certo punto far uso anche delle pompe, e il Carmania fu salvo.

Ora i due piccoli bastimenti che all’inizio dello scontro si erano allontanati, ritornavano; e i superstiti del Cap Trafalgar si accostavano ad essi a bordo delle loro scialuppe. Si vide il grosso piroscafo piombare tutto su un lato, fino a che i comignoli stessi toccaron la superficie del mare; vi fu come un’esitazione, lo scafo s’impennò un istante, poi s’inabissò in un caos di schiuma ribollente e fischi di vapore nel risucchio improvviso. Un urlo di gioia di levò dal Carmania.

Il Cap Trafalgar aveva avuto ben 51 marinai uccisi, tra i quali il valoroso capitano Wirth (contro solo 9 caduti sul Carmania); gli altri erano stati tratti in salvo dalle due navi ausiliarie prima che i voraci squali, che infestavano quelle acque, potessero assalire i naufraghi.

Subito dopo che il corsaro tedesco era stato visto scomparire tra i flutti, fu avvistato del fumo e, puntati i cannocchiali, apparve agli Inglesi una grossa nave a quattro fumaioli. Pensando che si trattasse del Karlsruhe o del Kronprinz Wilhelm, il capitano Grant ordinò di allontanarsi quanto più velocemente possibile in direzione sud-est. Fatto degno di nota, gli Inglesi dovettero trovare la rotta servendosi della posizione del sole, perché tutti gli strumenti di navigazione erano andati distrutti nel corso dell’asperrima battaglia.

La nave avvistata era effettivamente il Kronprinz Wilhelm, informato per dispaccio della sorte toccata al Cap Trafalgar. Se fosse giunto solo un’ora prima, il combattimento avrebbe preso una piega ben diversa; ma adesso, visto come erano andate le cose, il comandante della nave tedesca rinunciò a tentare la sorte e si allontanò a sua volta, per non mettere a repentaglio le sue possibilità di proseguire la guerra di corsa al naviglio mercantile.

Non inseguito, ma alquanto malridotto, il Carmania, che aveva evitato di misura di fare la stessa fine del suo avversario, si ritrovò all’appuntamento stabilito con l’incrociatore Bristol; indi venne scortato da un altro incrociatore britannico, il Cornwall, fino a un luogo d’ancoraggio. Solo dopo che gli ingegneri di quest’ultima nave furono saliti a bordo ed ebbero provveduto a tappare le falle più gravi e a rimettere in funzione gli strumenti di navigazione, il Carmania poté rimettersi lentamente in viaggio per Gibilterra, ove avrebbe ricevuto delle riparazioni più accurate e sarebbe stato messo in grado di riprendere la sua attività di incrociatore ausiliario.

I corsari del Kaiser

Per commemorare il fatto d’armi dell’isola Trindade, il Carmania ricevette un piatto d’argento dell’ammiraglio Nelson, che si trovava a bordo della sua nave Victory durante la battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805. L’ironia della sorte aveva voluto che gli Inglesi riportassero la vittoria su di una nave tedesca che, centonove anni dopo, portava il nome del promontorio che aveva visto la più brillante vittoria dell’ammiraglio Nelson sulla flotta franco-spagnola di Napoleone Bonaparte.

Il combattimento fra i due transatlantici presso l’isola di Trindade fu un episodio unico nella storia della prima guerra mondiale.

Gli Inglesi se ne gloriarono, ma è evidente che avevano goduto di una schiacciante superiorità sia in fatto di armamento, sia in fatto di protezione della nave; e, più in generale, della posizione di vantaggio offerta loro dal dominio dei mari, con la possibilità di rifornirsi di carbone in porti amici, di eseguire tutti i lavori necessari in bacino, e così via.

Anche la segnalazione del Patagonia presso l’isola di Trindade, che condusse il Carmania in quel luogo e gli permise di sorprendere il Cap Trafalgar mentre stava effettuando il carbonamento, dimostra una superiorità del servizio d’informazioni britannico, dovuta anche al fatto che i Tedeschi, per non tradirsi, erano costretti a fare il minor uso possibile del radiotelegrafo.

Questa superiorità si sarebbe rivelata decisiva nelle vicende che condussero la squadra di incrociatori da battaglia dell’ammiraglio Sturdee a distruggere le navi di von Spee presso le Isole Falkland, alcuni mesi più tardi (cfr. F. Lamendola, L’ultima crociera dell’Ammiraglio Spee. Battaglie navali di Coronel e Falkland). Il servizio di informazioni tedesco, appoggiato da una rete di spie e ancoraggi segreti, specialmente sulla costa occidentale del Sud America, faceva quel che poteva; ma non giocava alla pari con quello avversario.

Ad ogni modo, una valutazione serena del combattimento fra il Carmania e il Cap Trafalgar porta indiscutibilmente alla conclusione che la nave tedesca, di molto inferiore a quella britannica per il numero e il calibro dei suoi cannoni, si batté con indomito valore e avrebbe riportato la vittoria, se lo scontro fosse stato ad armi pari. Non vi sono dubbi su questo, e nessuna versione di parte potrebbe modificare un simile giudizio.

Un autore australiano discretamente obiettivo, Roy Alexander, che fu per diversi mesi prigioniero a bordo del corsaro Wolf, lo riconobbe molto lealmente nel formulare un giudizio conclusivo sul fatto d’armi navale dell’isola Trindade.

Nel suo libro La crociera del corsaro Wolf (titolo originale dell’opera, The Cruise of the Raider «Wolf», Yale University Press, 1939, traduzione italiana di Tito Diambra, Casa Editrice E. Corticelli, Milano, 1940, pp. 331-32), scrive:

Le due navi seguirono tattiche differenti: l’inglese mirava al bagnasciuga, il tedesco al ponte di comando, e cercava di far tacere i cannoni del nemico spazzandogli i ponti con le mitragliatrici.

Dopo un’ora e mezzo di fuoco la nave tedesca sbandò a dritta e affondò con la prora; a poppa sventolava sempre la bandiera. Il Carmania, gravemente avariato, aveva a bordo un incendio così violento che pareva necessario abbandonarlo. Era stato colpito settantanove volte. Una persona dell’equipaggio, che aveva la passione dei numeri, contò 304 fori. L’incendio era al centro, il ponte di comando in fiamme era stato abbandonato; la radio distrutta dai colpi nemici; la nave governava con la ruota del timone poppiera; le sovrastrutture demolite; per combattere l’incendio non c’eran più che le catene di buglioli (secchie), perché le tubature dell’acqua erano pure distrutte. (…)

Fatto curioso, il Carmania, tartassato a quel modo, non ebbe che nove morti. Riparato, riprese servizio come incrociatore ausiliario. In seguito riuscì molto utile come trasporto, e dopo la guerra ritornò nave da passeggeri in Atlantico. Fu demolito in tempi abbastanza vicini.

E così conclude (Idem, p. 329):

Il Cap Trafalgar affondò; ma giustizia vuole si riconosca che come armamento era in condizioni d’inferiorità rispetto al rivale britannico, e – per la verità – dei due fu quello che combatté più valorosamente; coi suoi due cannoni di calibro più piccolo il Cap Trafalgar per poco non riuscì ad affondare il Carmania che era armato assai più potentemente. Si è fatta molta retorica e si sono scritte risme di carta su quel combattimento; ma da un esame coscienzioso dei documenti risulta che il Cap Trafalgar come armamento principale aveva due cannoni da 103 mm., mentre il Carmania ne aveva otto da 120.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

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