Un morto tra noi. L’ultima notte di Muammar Gheddafi

gheddafiMentre l’Isis mette in scena, nel cuore d’Europa, le sue mattanze e lancia proclami inneggianti alla Guerra Santa contro gli infedeli occidentali, la classe dirigente del Vecchio Continente, politici, intellettuali, uomini di comunicazione, non paiono in grado di fornire risposte efficaci per superare questa contingenza drammatica. Per ora abbiamo ascoltato solo sterili esaltazioni della religione dei diritti dell’uomo, la medesima messa in campo per affrontare (sic!) l’invasione dei migranti provenienti dai paesi delle “primavere arabe”. Tra esse, un ruolo di rilievo, è stato attribuito a quella libica. Complice l’Occidente, alla cui avanguardia allora si pose proprio la Francia di Sarkozy, che oggi si lecca le ferite e piange i propri morti, i “ribelli” locali eliminarono il Rais, Muammar Gheddafi. Le sue ultime ore di vita sono raccontate in un libro avvincente da Yasmina Khadra, L’ultima notte del Rais, nelle librerie per i tipi di Sellerio (euro 15,00).

Yasmina Khadra è uno scrittore algerino tradotto in molte lingue, che conosce in modo diretto la situazione politico-sociale dei paesi del mondo arabo. Ufficiale dell’esercito algerino per molti anni, con la pubblicazione dei primi racconti suscitò la disapprovazione dei suoi superiori. Ciò lo costrinse a pubblicare con uno pseudonimo, il nome della moglie, che ancora oggi utilizza, e rivelò la sua vera identità, quella di Mohamed Moulessehoul, solo quando decise di lasciare l’esercito del proprio paese per trasferirsi in Francia.

Il libro che presentiamo non è soltanto un invito stimolante a riflettere sulle conseguenze catastrofiche che l’Occidente si è andato a cercare eliminando Gheddafi dallo scenario geo-politico internazionale, ma anche un ritratto della complessa e controversa personalità del Rais.

Le ultime ore tormentate del dittatore sono ricostruite con cura meticolosa per i particolari dall’autore e rese con efficacia stilistica. Egli ci proietta in una scena teatrale tragica in cui gli avvenimenti, fino al dramma conclusivo, si susseguono in modo dinamico ed incalzano sovrastandolo, sotto il profilo psicologico, lo stesso protagonista del racconto. Ecco, il Gheddafi delle pagine di Khadra, è davvero un eroe tragico, del quale emergono le ambiguità di fondo, le evidenti negatività, ma anche gli aspetti propriamente umani che, sia pure paradossalmente, ci fanno apprezzare alcuni suoi tratti.

Solo, abbandonato da tutti, ad eccezione che da qualche gruppetto di sparuti fedelissimi, colto dai dubbi sulle scelte compiute, prende coscienza in ritardo della devastazione in cui versa il suo paese. La solitudine lo assale e lo costringe ad un’operazione di autoanalisi condotta in profondità. Ripercorre, così, nella memoria, la propria vita. Egli è stato, per usare una sua stessa definizione, un “figlio dell’ingiustizia” che in prima persona, fin dall’infanzia sulla pelle di beduino ed uomo del deserto, conobbe il disprezzo dei potenti e degli abbienti. Sognò e lottò per un riscatto personale e nazionale, giungendo a credersi, dopo il colpo di Stato del 1969, il volto della storia dell’intera nazione. Indubbiamente, i dati familiari incisero sulla sua personalità: in particolare la scoperta dell’inesistenza del padre che egli, da bambino, aveva mitizzato, pensandolo deceduto in un duello d’onore. Così, nelle ore fatali che precedono la fine torna all’infanzia e alla giovinezza, ai primi amori, alla passione politica, a quello spirito ribelle e irrequieto che da sempre ha caratterizzato i suoi giorni.

lultima-notte-del-raisRicorda la straordinaria fede in se stesso che lo accompagnò fin dagli anni dell’Accademia, la sua determinata volontà di risollevare il paese, ma anche il desiderio costante di ritorno ai silenzi e ai tramonti del deserto. Il sogno della sua vita, in fondo, fu quello di dare dignità al popolo libico, almeno fin quando l’immensità di quel desiderio visionario non si trasformò in terrore per molti e autoritarismo spietato. Rivede, nei ricordi che riempiono le sue ultime ore, i volti terrorizzati dei suoi avversari e nemici prima che, dopo l’ultimo colloquio con loro, ordinasse ai suoi di eliminarli, magari in modo efferato. Oppure, nei suoi vaneggiamenti finali, si materializzano i profumi delle donne che in lui amavano il potere e, per questo, gli si concedevano senza riserve. Nelle riottose, pensava lui a placare la loro ritrosia con gli stessi mezzi che metteva in atto contro i suoi nemici.

Nell’attesa della fine, solo l’eroina riesce ormai a placare l’angoscia che lo assale fino a stremarlo. Uno dei suoi innumerevoli vizi. Uomo desiderativo, come ogni tiranno descritto da Platone, Gheddafi pensa a cosa avrebbe potuto essere la sua vita, se la sorte non gli avesse girato le spalle. Vive in ambascia per la sorte dei figli, tragica quanto la sua, esprime giudizi lusinghieri o sferzanti sui suoi fedelissimi, verso i quali nutre una sorta di rispettosa e paterna pietas. Per i traditori, i presunti ribelli, i francesi e gli occidentali in genere, solo odio, disprezzo, malcelato fastidio e volontà di rivalsa.

La figura che ha attraversato la sua esistenza, comparendogli in sogno o in vaneggiamenti ad occhi aperti, quella di Van Gogh, icona della sofferenza, gli si para innanzi, per l’ultima volta, a poche ore dal dramma conclusivo. Da un rifugio all’altro, nella speranza interiore di un riscatto militare e politico, della cui inanità la ragione era però cosciente, fino al cunicolo dove fu individuato dai nemici. Catturato, sbeffeggiato, sputacchiato, deriso e martoriato nel corpo, il Rais del romanzo di Khadra si congeda dalla vita con dignità : “Non mi dibatto, mi lascio sbranare senza gemere e senza implorare nessuno, stoico e dignitoso, mi abbandono alla sorte come un vecchio leone consegnato alle iene” (p.156). E ancora: “Muoio, ma la mia impronta rimane. Avendo segnato le coscienze, sono destinato a risiedere nella memoria dei popoli…Mi rimpiangeranno” (p. 158).

La vita e la morte di  Gheddafi sono state quelle di un moderno Nerone, tiranno ed eroe che ha sognato la libertà di un popolo. La sorte del Rais è stata assai simile a quella di altre personalità del ventesimo secolo, primo tra tutti a quella di Mussolini.

Figli del popolo entrambi, osannati e venerati nella loro ascesa al potere, seguiti fino alla fine da un manipolo di fedeli e traditi indecorosamente da molti altri, che avevano beneficiato della loro amicizia, nel momento del dramma finale. Morti con onore, nonostante i loro corpi siano stati sottoposti alla violenza bestiale di plebi scatenate ed urlanti. Sul lascito di Mussolini, Leo Longanesi scrisse un testo dal titolo assai esplicito, Un morto tra noi. E’ probabile che qualche libico, ma non solo, presto sarà costretto a scrivere qualcosa di simile.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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