“Il legionario ubbidisce sempre!”
(Il Legionario, 15 ottobre 1938)
“È il suo sistema!
Piuttosto di lasciare uno nel pericolo,
preferisce rischiare la propria vita.”
(Il deserto bianco, 14 ottobre 1939)
1. Contro i luoghi comuni
Entrati nel XXI secolo, volgendoci a guardare la cultura italiana degli ultimi cinquant’anni del XX, possiamo dire senza possibilità di smentita che è stata caratterizzata da molti difetti, i principali dei quali sono il suo provincialismo ed il suo conformismo: sempre pronta ad accettare acriticamente le mode estere, senza avere il coraggio e la profondità di essere essa stessa esportatrice di mode come era un tempo; di conseguenza, il suo appiattimento su luoghi comuni, opinioni preconcette, giudizi inamovibili, definizioni consolidate, sentenze inappellabili, interpretazioni apodittiche su autori, libri, eventi, il tutto accettato per pigrizia intellettuale e forma mentis ideologica, se non proprio per pre-concetti ideologici, che nessuno contesta, rivede o perlomeno verifica, dandoli per scontati e, quasi quasi, assoluti ed eterni.
Il che non può essere considerato “normale” in una cultura sana, vivace, curiosa, indipendente e anticonformista. Eppure, quando qualcuno cerca di verificare certi giudizi, di analizzare il “perché” di certe affermazioni, di controllare certi riferimenti e citazioni, succede quasi il finimondo: il cosiddetto establishment sussulta, si agita, si adombra, si offende, grida alla “lesa maestà”, al “complotto”, al “revisionismo”…
Ahi! eccola la parola incriminata, che fa pensare chissà a quali orrori, a quali delitti, mentre non vuol dir altro che “revisione di giudizio” in base ad un più approfondito esame dei testi e delle fonti, alla scoperta di altro materiale documentario, alla rilettura degli avvenimenti e delle decisioni alla luce delle eventuali novità. Il termine è sempre stato usato così da un secolo a questa parte sia nella cultura in senso lato, sia nella ricerca storica, ed è anche andato a finire in titoli e sottotitoli di libri. Nessuno se n’è mai adontato, né mai l’ha considerato un insulto o una accusa. È diventato tale solo di recente essendo stato caricato di un significato “ideologico” indebito.
Invece, il “revisionismo”, la revisione di un giudizio o di una opinione in ambito letterario, storico, filosofico, è il sale di una vera cultura, che altrimenti resterebbe fossilizzata, mummificata per saecula saeculorum. Una concezione conservatrice della letteratura, della filosofia, della storia. Come se per sempre valesse un ipse dixit inamovibile. Ovviamente, per modificare un giudizio è necessario portare qualcosa di nuovo e diverso rispetto a quanto ha motivato il giudizio che si contesta. E ciò vale non soltanto, come in genere si crede, per la cultura “alta”, ma anche per la cultura “bassa”, cioè quella popolare, “di genere”, che per la sua importanza nel mondo della comunicazione di massa viene da tempo analizzata e studiata con gli stessi strumenti usati per quella più importante ed elitaria.
Anche qui, infatti, nel corso dei decenni si sono consolidati, quasi stratificati, dei giudizi che nessuno vuole, o ha l’interesse o addirittura il coraggio, di modificare. Anche qui per pigrizia, per conformismo, per pre-concetti. Pensiamo dunque che un sano “revisionismo” debba entrare anche nel mondo dei fumetti per smantellare alcuni luoghi comuni accumulatisi acriticamente nei decenni.
Il volume che qui si presenta può essere una prima occasione.
2. Romano secondo la vulgata fumettistica
Diciamo francamente la verità: Romano (che quasi tutti impropriamente citano e incasellano nei dizionari come Romano il Legionario, che è invece solo il titolo della sua prima avventura), non lo conosce praticamente nessuno: e se questo valeva per ieri, vale tanto più per oggi. Tutti lo citano – o meglio lo citavano negli anni Sessanta e Settanta, all’epoca della scoperta del fumetto come un argomento “serio” e non solo per ragazzi – e pochissimi lo avevano visto. Tutti lo citavano negativamente, o con fortissime riserve, e ci si doveva fidare delle definizioni e dei giudizi che i “grandi esperti” dell’epoca ammannivano ai lettori, a cui si doveva credere fideisticamente. Infatti, a parte qualche vignetta qua e là (peraltro sempre le stesse) a corredo di articoli, le storie di Romano non sono mai state integralmente ristampate nel corso di sessant’anni, eccetto la prima e l’ultima (Il Legionario del 1938 e Romano nel Tibet del 1943) ne “I quaderni del fumetto” dei Fratelli Spada datato “giugno 1973” (sui cui poi si dirà). Quindi, non conoscendo l’argomento del contendere, ci si doveva necessariamente fidare.
Eppure, Romano è non solo il capolavoro di Kurt Caesar, ma anche il personaggio avventuroso più completo del fumetto italiano fra le due guerre. Di più: definito “fascista” (con una connotazione non semplicemente descrittiva, ma valoriale, quindi negativa), si rivela invece il più “americano” di tutti! Ristampata oggi, esattamente a sessanta anni della conclusione della serie, tutta la dozzina di episodi che la compongono consente agli appassionati di fumetti vecchi e nuovi, e non solo ad essi, anche agli studiosi del costume e della “storia minima”, di rendersi finalmente conto de visu di cosa sia stato effettivamente questo personaggio dei nostri comic di cui tanto si è favoleggiato e sparlato, e verificare se tutte le dicerie, vere e proprie leggende metropolitane del fumetto, tutte le colpe che gli sono state addebitate, tutte le definizioni che gli sono state date, siano vere oppure no. Oltre – è ovvio – apprezzare i favolosi disegni di Caesar che escono, completi, alla luce del sole.
Una iniziativa che personalmente ho caldeggiato per trent’anni – dall’uscita del “quaderno” di cui si è detto – insistendo presso diversi editori invano, ma che adesso infine si attua grazie alla passione di Ernesto Zucconi e alla disponibilità della NovAntico/Ritter. Meglio tardi che mai: fosse stata però realizzata prima questa iniziativa avrebbe chiarito da gran tempo tante cose, la prima delle quali è che per troppi anni siamo stati succubi di una critica fumettistica non solo totalmente ideologizzata, ma – quel che è assai peggio – totalmente disinformata e così superficiale e approssimativa da non saper far altro che ripetersi copiando, invece di documentarsi su quello di cui discettava. O forse no: forse proprio per tutti questi motivi, per il clima culturale degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, non sarebbe stato proprio possibile trovare qualche editore coraggioso che decidesse di stampare per intero le avventure del nostro Romano. Ed è quindi stato meglio attendere il XXI secolo, con un ricambio delle generazioni di lettori in un clima diverso. Ma sarà poi vero? Quasi ci scommetterei che qualcuno su certi quotidiani o settimanali – ogni testata ha il suo “specialista” o pseudo tale – se ne uscirà in maniera provocatoria e strumentale, ancora e sempre “buttandola in politica”, come si suol dire, impenetrabile ad ogni spiegazione, ragionamento, prova o dato, ma sempre prontissimo a fare il processo alle intenzioni. Poverini: non facciamoci troppo caso e lasciamoli incapsulati nella loro faziosità catafratta di assolute certezze ideologiche, che li rassicura di essere in eterno dalla parte della ragione e non permette loro non solo di guardare da entrambi i lati, ma nemmeno indietro e in avanti…
Cosa sapevano in fondo del personaggio di Caesar i lettori degli anni Sessanta e Settanta, in genere ragazzi appassionati di fumetti che, in quelle storie disegnate di solito non molto ben viste, cercavano un divertimento evasivo, certo, ma anche qualcosa di più? Nulla, se non qualche raro disegno e i giudizi degli “esperti”. Ecco come descrive Romano, Carlo Della Corte, cui si deve peraltro un primo serio tentativo di storia e di dizionario, nel suo I fumetti (Mondadori, 1961): “Costui aveva tutti i difettacci dello squadrista azzardoso e attaccabrighe; era modellato sull’immagine di un uomo allora assai in voga: Ettore Muti. Ne possedeva il coraggio leonino e la voglia di menar le mani ovunque il fascismo portasse i suoi legionari”.
Dunque: “azzardoso”, “attaccabrighe”, “mena le mani” e si ispira a Ettore Muti. Sergio Trinchero, che ben conosce il libretto di Della Corte, su una rivista e poi in un suo libro lo presenta come un “omaccione dalla personalità mista di Flash Gordon e Ettore Muti” (Avai or not Away, in Sgt. Kirk n. 8 del 1968; e con le stesse parole in I giornaletti 1899-1944, Edizioni Revival, 1971).
L’“omaccione” ritorna, in modo più articolato, in questa scheda che gli dedica Claudio Bertieri: “Eroe nell’accezione più retorica, ha espresso con esemplare ottusità il modello ideale della ‘nuova’ generazione fascista (…) è ingiustificato parlare di lui come di un ‘personaggio’, giacché ogni suo riflesso è automatico (…) ogni sua impresa – grottesca o soltanto avventurosa – è intessuta di un radicato paternalismo, di nazionalismo aggressivo, e di razzismo tanto sciocco quanto ingenuo (…) insomma, è l’altra faccia di Gordon (…) di Gordon possiede tutte le qualità: il coraggio, la lealtà, l’invidiabile addestramento ad ogni tipo d’impresa, aggiungendovi la tipica tracotanza dello squadristico ‘me ne frego’” (AZ Comics, Archivio Internazionale della Stampa a Fumetti, 1969).
Dunque: un non-personaggio ottuso, paternalista, nazionalista, razzista, tracotante. Sintetizzano tutti questi aggettivi Leonardo Becciu per il quale è “un Gordon in camicia nera” (Il fumetto in Italia, Sansoni, 1971), e Claudio Carabba che lo liquida come “un ‘tecnico’ del massacro bellico” (Il fascismo a fumetti, Guaraldi, 1973).
Queste opinioni si consolidano senza che nessuno osi un’analisi più approfondita dell’eroe di Caesar, fino ad arrivare alla summa di tali giudizi vent’anni dopo, in un’ennesima voce (anonima) di dizionario specialistico che val la pena di citare un po’ estesamente, tanto per capire che il punto di vista è sempre lo stesso: “Personaggio allineato alle direttive del regime fascista (…) Il personaggio è un eroe tutto d’un pezzo, mai turbato da dubbi e compie eroiche azioni di guerra con una noncuranza quasi eccessiva (…) S’imbarca in diverse avventure nelle quali si propone sempre come alfiere della superiorità culturale e militare dell’italico Regno (…) Allo scoppio della seconda guerra mondiale, per quanto sposo novello, l’intrepido Romano abbandona la moglie Isa per arruolarsi e combattere l’infame nemico per mare e per terra su tutti i fronti. Proseguita sino al 1941 [sic], la serie risente dei testi ‘di regime’, enfatici e pomposi, anche se il disegno eccezionalmente curato ne fa un documento di tutto rispetto” (La grande avventura dei fumetti. Dizionario dei personaggi, delle riviste e degli autori, De Agostini, 1990).
Veramente sconfortante: si ha la netta impressione che questi critici super-esperti non facciano che scopiazzarsi l’un l’altro, senza sentire il bisogno di un controllo diretto… Quindi merita essere segnalato l’unico che dimostri un minimo di equilibro come Gaetano Strazzulla, secondo il quale Romano è “un aitante legionario costruito in piena era imperiale per dare un volto mitico alla figura ideale del giovane e coraggioso combattente fascista (…) tipico esempio del soldato di ventura” (I fumetti, Sansoni, 1970). Anche se quel “soldato di ventura” è improprio, dato che Romano combatte inquadrato nelle forze armate italiane, è una definizione che si può sottoscrivere perché evoca due aspetti – “volto mitico” e “figura ideale” – propri non tanto del personaggio di Caesar, ma di tutti gli eroi dell’avventura disegnata (e non solo di quella).
3. Un punto di vista più ampio
Un bel ritrattino complessivo, non c’è che dire, tale da stroncare ogni carriera: di peggio forse è stato detto solo di Dick Fulmine di Carlo Cossio. Comunque, per nessun altro personaggio a fumetti è stato usato questo frasario. Un frasario “ideologico” ovviamente, ma quelli erano anni in cui sembrava obbligatorio parlare così. Nessuno considerava il problema nel suo complesso, cioè il problema del fumetto “avventuroso” e la sua quasi automatica trasformazione nel periodo bellico in fumetto “di guerra”: se lo si fosse fatto – come solo in seguito è avvenuto – ci si sarebbe resi conto che il cliché era simile dappertutto, perfettamente sovrapponibile: quel che mutava era la valenza, era il segno, erano le idee per cui tutti questi eroi di carta combattevano, tutti proprio come Romano. Non c’è alcuna differenza, soltanto che, negli anni in cui furono scritte le analisi sopra riportate, era la pura ideologia a far pendere il piatto della bilancia, a seconda dei casi, dal lato del “bene” o del “male”, del “positivo” o del “negativo”. Per Romano doveva pendere quasi obbligatoriamente verso il “male” e il “negativo”, come dimostra esemplarmente la descrizione che ne fa Claudio Bertieri nel brano riportato: le stesse qualità di Gordon, ma condannabili perché “fasciste”.
Sarebbe sufficiente paragonare non tanto le avventure nel loro complesso, quanto l’atteggiamento del personaggio italiano nei confronti della guerra e del nemico con altrettanti fumetti americani impegnati contro giapponesi o tedeschi, da Steve Canyon di Milton Caniff a Johnny Hazard di Frank Robbins (per citare i più continui e famosi), e si vedrebbe che sono praticamente identici, a parte l’enfasi, sicuramente più accentuata, di Romano. Quel che cambia sono i valori di riferimento: e sono quelli che pesano sul giudizio finale.
La prova a contrario è un insuperato saggio semiologico di Umberto Eco che ne I fumetti di Mao (Laterza, 1971) effettua un esame vignetta per vignetta fra le storie disegnate cinesi ed una americana famosissima, Terry and the Pirats di Caniff. La conclusione è in favore delle prime, ma solo per i valori, o se vogliamo l’ideologia, che sostengono, opposta a quella yankee. Ma poiché molti di questi valori esaltati dal fumetto maoista sono parecchio simili a quelli “fascisti”, pur se di segno diametralmente opposto, ecco che il famoso semiologo deve usare tutta la sua consumata dialettica per assolverli e dimostrarne la “differenza” di fondo.
Il fatto è che non si può giudicare in base al “politicamente corretto” (a voler usare una terminologia inesistente negli anni Settanta) per definire il giudizio conclusivo da dare su un comic per di più di guerra, ma si deve pensare in altro modo, ben difficile da far accettare all’epoca ma forse oggi sì. Forse. Il modo ad esempio individuato da Mario Bozzi Sentieri nel suo Tex, Linus, Mickey e gli altri (Sveva, 1992), dove si inserisce il fumetto bellico nel problema più generale della “mobilitazione sociale” necessaria in ogni Paese in armi: in tal modo si spiega perché temi e personaggi, atteggiamenti fisici e mentali, siano identici nei fumetti italiani come in quelli americani fra il 1938 e il 1945, come nei fumetti cinesi degli anni seguenti. In tutti si riscontra la “saldatura fra teoria politica e vita pubblica”, la necessità della “costruzione del consenso” fascista, comunista o democratico che fosse. Lo richiedeva il momento, e ciò valse per i sistemi democratici come per quelli autoritari. Ogni strumento deve essere utilizzato in quel momento cruciale, specie i mass media che all’epoca erano cinema, teatro, radio, giornali, fumetti e cartellonistica. E il fumetto, come ha detto il critico francese Claude Moliterni, “è il mezzo più idoneo per arrivare alle masse, e credo che se ben maneggiato, possa farsi portatore di idee politiche”.
I film di guerra prodotti durante il conflitto dagli Stati Uniti sono notissimi e apprezzati nonostante il tono propagandistico, quasi per nulla – anche se di pregevole fattura – quelli italiani: opere dignitose i primi, paccottiglia retorica i secondi. Ma, per quanto riguarda i comic, basti pensare come vennero “mobilitati” in massa in funzione anti-tedesca e anti-giapponese i character statunitensi: non se ne salvò uno, da Mandrake a Topolino, da l’Uomo Mascherato a Superman, da Joe Palooka a Gordon che rientra appositamente da Mongo sulla Terra, e se ne crearono addirittura dei nuovi come Captain America di Kirby e Simon nel 1941, il cui scopo (lo dice il nome) era difendere gli Stati Uniti e combattere accanto ai G.I. contro i nazisti. Tutti in difesa della patria, tutti schierati contro il nemico: “Non poté sottrarsi al proprio dovere,” scrive il compianto Franco Fossati a proposito dell’eroe raymondiano. Lo stesso avvenne in Italia. E perché mai non sarebbe dovuto avvenire, al di là delle “direttive del regime”? Il problema “fronte interno” valeva per tutti.
Questa sostanziale incomprensione (non era pensabile effettuare alcun parallelo) della situazione generale appena descritta, accompagnata dal clima di tensione politica che si viveva in Italia negli anni dell’ “antifascismo militante” di base e di vertice e della “contestazione globale” che poi si sarebbero trasformati negli “anni di piombo”, del terrorismo, delle Brigate Rosse, di Prima Linea, dei Nuclei Combattenti Comunisti e così via, indusse non solo gli intellettuali ma anche gli editori a scrivere righe giustificative ed autoassolutorie di fronte a possibili accuse. La casa editrice Spada, ad esempio, si sente in dovere di pubblicare la seguente precisazione nel citato “Quaderno del fumetto” dedicato a Romano: “Le due prime storie, pubblicate nel ‘39 e nel ‘42 sotto il regime fascista, dovevano essere adeguate alle imposizioni del Ministero della Cultura Popolare. Conseguentemente in Romano Legionario, impegnato nella guerra di Spagna a fianco dei falangisti di Franco, gli eroismi e gli ideali sostenuti sono di parte. Basti rilevare che i nemici vengono chiamati “rossi”, mentre la difesa della Spagna Repubblicana era sostenuta da tutti i popoli di ogni credo politico uniti per la difesa della libertà”. Un concentrato di errori di fatto (anche nelle date dello stesso fumetto!), interpretativi (gli “ideali di parte”), politici (come si vedrà, le direttive del Ministero verranno mesi dopo la prima storia di Caesar) e storici (il rapporto Falange-Franco, il volontarismo internazionale non fu solo repubblicano, la “difesa della libertà” appoggiata dagli stalinisti ecc.). Ma è quel “rossi” che disturba proprio, chissà per quale motivo…
4. Romano, da fumetto d’avventura a fumetto di guerra
Romano, peraltro, ha almeno un paio di caratteristiche abbastanza singolari rispetto ad altri fumetti italiani seriali e non occasionali, rara anche presso quelli americani: le sue storie corrono parallelamente alla realtà, e in alcuni aspetti sono addirittura un po’ sfalsate in avanti. Vale a dire, da un lato il nostro eroe non vive in un tempo totalmente acronico, immutabile, ma ha una sua progressione personale (ad esempio, si sposa) e rispetto al contesto generale (segue abbastanza da presso gli avvenimenti a lui contemporanei); da un altro lato, in qualche occasione il suo autore anticipa i tempi per quanto riguarda macchine ed invenzioni, sperimentali nella realtà, di uso comune nei suoi fumetti (in questo si può fare un riferimento al Dick Tracy di Chester Gould).
Già di per sé tutti questi particolari, che nessuno si è mai preoccupato di mettere in rilievo, fanno di Romano qualcosa di molto particolare e specifico. Peraltro, a parte la qualifica generale de il legionario che – lo si è detto inizialmente – è errata, Romano non è nato affatto “fumetto di guerra”, come in genere si ritiene, ma semplicemente “fumetto d’avventura” divenendolo poi con il procedere dei fatti reali, che Caesar faceva seguire ai suoi eroi e che in parte visse lui stesso (fu infatti nell’Afrika Korps con Rommel nel 1941, esperienza cui dedicò un bellissimo libro di disegni e che ha anche una edizione italiana integrale: Afrika Korps, a cura di Ernesto Zucconi, NovAntico/Ritter, 2002). Anzi, si può aggiungere con quasi certezza, che se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale, o se l’Italia se ne fosse tenuta fuori, Caesar avrebbe confermato il suo Romano per quel che era: un personaggio stile quelli di Raymond, coinvolto in storie esotiche, avventurose, anche al limite del fantastico, come quelle subito seguenti all’episodio bellico di esordio sino al 1940.
Vediamo la sequenza: Il Legionario (23 aprile – 12 novembre 1938) è ambientato durante la guerra civile spagnola che si concluse l’anno dopo; Il deserto bianco (25 marzo 1939 – 21 ottobre 1939) si svolge in Groenlandia durante una missione scientifica; Negli abissi del mare (28 ottobre 1939 – 20 gennaio 1940) ed il suo seguito senza soluzione di continuità Il nemico invisibile (27 gennaio 1940 – 29 giugno 1940), sono ambientati prima nell’Oceano Pacifico al largo del Perù e su una nave-recupero realmente esistente, l’Artiglio, e poi a Lima e nella foresta peruviana alla ricerca di una spedizione scomparsa: in questo periodo l’Italia è neutrale, anzi “non belligerante” (se ne parla nel fumetto) e Romano alla conclusione di quest’ultimo episodio chiede a Isa, che ha incontrato a Lima, di sposarlo. L’Italia è entrata in guerra il 10 giugno 1940 (durante le due ultime puntate de Il nemico invisibile) e quindi soltanto nella successiva avventura, dunque la quinta, Per l’Italia (6 luglio 1940 – 19 ottobre 1940), cominceranno le vere storie di guerra con protagonista il nostro eroe, che proseguiranno con altre sei avventure sino al 26 giugno 1943, esattamente un mese prima della caduta del regime: in Per l’Italia parte della trama si svolge in Africa Settentrionale, dove nella realtà l’offensiva italiana era iniziata il 13 settembre e la controffensiva inglese di Wavell il 6 dicembre; Mare nostro (26 ottobre 1940 – 15 febbraio 1941), si svolge nel Mediterraneo dove la nostra flotta era uscita malconcia dagli scontri contro quella inglese nelle battaglie navali di Punta Stilo (8-9 luglio 1940) e Capo Teulada (27 novembre 1940), anzi aveva subito l’attacco al porto di Taranto (11 novembre 1940); Verso: A.O.I. (22 febbraio 1941 – 7 giugno 1941), descrive un viaggio attraverso il Sudan britannico verso l’Africa Orientale Italiana per portare un messaggio al Duca d’Aosta, ma qui il fumetto (preparato tutto insieme) viene superato dagli eventi: infatti il 6 aprile gli inglesi entrano ad Addis Abeba, il 20 maggio il viceré si arrende all’Amba Alagi, e il 28 novembre avviene la resa di Gondar e la fine dell’Impero, sicché l’ultima puntata del 7 giugno viene pubblicata quando Amedeo d’Aosta (raffigurato nell’ultima vignetta del fumetto) è già prigioniero del nemico; Il siluro umano (28 marzo 1942 – 25 aprile 1942) e il suo seguito senza soluzione di continuità Ain El Gazala (2 maggio 1942 – 30 maggio 1942), inizialmente descrive un’azione del “corpo di volontari” contro Malta e poi passa all’Africa Settentrionale: qui Caesar descrive eventi già accaduti in quanto con mezzi simili ma non uguali (li si esaminerà più avanti) a quelli da lui disegnati la Decima Mas del comandante Junio Valerio Borghese aveva effettuato attacchi alle basi di Suda (25-26 marzo 1941), La Valletta (25-26 luglio 1941) ed Alessandria (19 dicembre 1941); Caposaldo “P” (6 giugno 1942 – 18 luglio 1942), le cui premesse sono nell’episodio immediatamente precedente, si svolge nel pieno dell’ultima offensiva italo-tedesca in Libia con la riconquista di Bengasi (21 gennaio 1942) e la presa di Marsa Matruk (29 giugno) cui seguirà dopo alcuni mesi la decisiva battaglia di El Alamein (23 ottobre-5 novembre 1942); Romano nel Tibet (23 gennaio 1943 – 26 giugno 1943) è l’ultima avventura del nostro eroe in terre lontane, mentre i giapponesi, che pur sono stati sconfitti a Guadalcanal (9 febbraio 1943), ad aprile hanno completato l’occupazione della Birmania e sono arrivati ai confini dell’India.
Nelle sue storie si ritrovano così tutti “gli ingredienti per un ‘buon’ fumetto bellico”, secondo quanto scrive Franco Fossati: “suspense e coraggio, evasione dalla banale vita quotidiana e l’immancabile trionfo dei ‘nostri’”.
5. Parentesi su Isa
Un personaggio avventuroso, dunque, che si trasforma in eroe di guerra, insieme a Isa, prima fidanzata e poi moglie, che lo segue, insieme o parallelamente, nelle vicende belliche, lui aviatore o marinaio o carrista o mille altre cose, e lei crocerossina. Quindi – per riferirci a Gordon, di cui ora si dirà – una netta differenza con Dale, la famosa “eterna fidanzata”, sempre in pericolo e sempre salvata all’ultimo istante. Isa non è così: da brava ex Giovane Fascita della GIL, si dovrebbe dire, affronta i pericoli in prima persona insieme al suo uomo e per la Patria. È direttamente protagonista e in Mare nostro (8ª puntata), caduto il timoniere del Mas, ne prende il posto. Romano si fida di lei: in Verso: A.O.I. (1ª puntata) le dice. “Se mi accadesse una disgrazia, prosegui tu”, avendo al contempo nei suoi confronti un atteggiamento protettivo: in Mare nostro (6ª puntata) c’è un battibecco fra i due: “Isa non sai che ti sei esposta alla morte? bada che non potrò più assumermi la responsabilità di tenerti vicino a me” “Oh come se cattivo! Volevo esserti vicina in questo istante di grave pericolo… Ma ti prometto di essere più cauta”.
Retorica intollerabile? Apologia del fascismo intersessuale? Chissà? Ricordo, però, quanto le femministe abbiano inveito contro lo stereotipo della donna-oggetto, intesa solo come pin up, fragile e imbelle, magari anche un po’ oca, mai protagonista o co-protagonista, presente nei fumetti e nei film americani degli anni Trenta. Paradosso dei paradossi, doveva essere il fascismo a gettare in campo le donne come soggetti non solo della vita, ma della politica… Donne in prima linea, dunque. E una Isa per niente “abbandonata” da Romano, come si è scritto nel Dizionario del 1990.
6. Romano/Gordon, Caesar/Raymond
Ritorniamo a Gordon. Romano un “Gordon in camicia nera” come dice Becciu? L’affermazione è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È giusta nel senso che Caesar – a differenza di quanto scrive Piercostante Righini nella presentazione del citato “quaderno” Spada, secondo cui Romano “nulla aveva del disegno di Raymond” – di sicuro si ispirò fisicamente all’eroe americano; è sbagliata nel senso che non si ispirò solamente a lui! Infatti, ad un esame più attento e comparato della produzione dei due artisti, si giunge alla sorprendente conclusione che Romano è un po’ una sintesi – come figura e come scenario delle sue avventure – di tutti e tre i personaggi di Alex Raymond noti attraverso le edizioni Nerbini nel periodo 1934-1941, e presenti tutti insieme sul n. 1 dello storico L’Avventuroso. Vale a dire: Flash Gordon in nove episodi pubblicati da L’Avventuroso (14 ottobre 1934 – 18 settembre 1938), i primi sette dei quali ripresi negli Albi Grandi Avventure-Serie Gordon fra il dicembre 1935 e il luglio 1938; Jim della Giungla in sei storie su L’Avventuroso (14 ottobre 1934 – 29 novembre 1936) e altre quattro sul Piccolo Avventuroso (5 maggio 1940 – 8 luglio 1941), nove delle quali riprese negli Albi Grandi Avventure-Serie Jim della Giungla (aprile 1935 – febbraio 1941); e l’Agente Segreto X-9 in sette storie su L’Avventuroso (14 ottobre 1934 – 14 giugno 1936), poi tutte riprese negli Albi Grandi Avventure-Serie Agente Segreto X-9 (marzo 1935 – dicembre 1936).
Sì, perché in fondo Gordon, Jim e X-9 non sono nient’altro che fratellastri, nell’aspetto e nello stile, pur situati in contesti assolutamente diversi (un pianeta extraterrestre, la foresta africana, la metropoli), e ad essi Kurt Caesar si ispira: i confronti de visu non sono difficili a farsi, basta armarsi di pazienza. Il volto e gli atteggiamenti di Romano, proprio nel primo episodio, Il Legionario, quando affronta il carro armato, è sull’idrovolante o sul sottomarino, non sono molto diversi da quelli di Gordon negli episodi del mondo delle caverne e delle foreste; addirittura i colori del suo equipaggiamento, rosso e blu, a cominciare da Il deserto bianco, nonché gli stivali, rimandano all’eroe raymondiano. Jim della Giungla ha la caratteristica di uscire sempre malconcio e con la camicia a brandelli dai suoi corpo a corpo con uomini ed animali, caratteristica ripresa spesso e volentieri da Caesar, nelle medesime forme e posizioni. Sorprendente è il confronto con X-9, personaggio che si potrebbe pensare lontanissimo da Romano: eppure la scena del lancio nel vuoto col paracadute de Il caso Marlowe, rimanda al medesimo episodio de Il Legionario. Più in generale, i volti fini e le figure femminili stilizzate di Isa e Lea in Per l’Italia, Verso: A.O.I. e nell’ultimo episodio Romano nel Tibet, rimandano inevitabilmente a quelle di Raymond: non solo Dale ed Aura, ma anche alle sofisticate fanciulle di X-9 (si veda ad esempio I gioielli del principe Abdullah). Ancora: è stato scritto che il gruppo di amici che spesso accompagna Romano nelle sue avventure è ispirato ai comprimari della saga di Gordon, il che non è molto esatto: intanto, il dottor Negrini (che insieme a Nino e Bino compare a partire dall’episodio Il deserto bianco) non assomiglia affatto a Zarro (Zarkov), bensì al dottor Bono di Mongo (vedi I cavalieri del deserto), poi il “grasso milanese Nino” (Negli abissi del mare, 1ª puntata) è l’evidente trasposizione di Harper Carp, collaboratore di X-9, una vignetta del quale che lo ritrae mentre corre (Il rapimento di Philip Shaw) viene ripresa identica da Caesar in Per l’Italia (12ª puntata), mentre dell’autonomia psicologica di Isa nei confronti di Dale già si è detto.
Dunque, un’ispirazione a tutto campo quella di Caesar nei confronti dei personaggi raymondiani e dello stile del disegnatore americano che, come si è accennato, unificava i tre suoi eroi praticamente in uno solo. Ma questa ispirazione si può definire vera e propria “copia”? Le sue sono “immagini scopertamente copiate da Flash Gordon” secondo quanto scrivono G. Pazienti e R. Traini (Fumetto Alalà, Comic Art, 1986)? Come ho avuto modo di scrivere ormai trent’anni fa affrontando il problema, si devono porre ben precisi paletti. Caesar limitò la sua ispirazione alle figure umane, per le quali – come poi si poté vedere pure nel dopoguerra con Roy Rones ed altri personaggi anche fantascientifici – non ha mai dato il meglio di sé: e infatti la sua ispirazione, lo ha rilevato Giuseppe Festino prove alla mano, era spesso fotografica. Per il resto Romano è completamente autonomo e originale, nel senso che per lui Caesar ha creato uno scenario che altri eroi dei fumetti non avevano, una serie di ambientazioni e trame che ne caratterizzavano la personalità e così via. Anche se, naturalmente, in esse si riverbera quel particolare clima dell’epoca fumettistica che è stato definito “l’era dell’avventura”, tipico della produzione internazionale degli anni Trenta, utilizzato però dal disegnatore italo-tedesco per valorizzare in pieno il suo personaggio che non è meno vivo e “personalizzato” di tanti altri colleghi d’oltre oceano. Tutt’altro, quindi, che un non-personaggio come sosteneva il Bertieri, tanto è vero che, testimonia Righini, Romano fu “un eroe che entusiasmò presto i lettori”: fosse stato sciatto, abborracciato, marionettistico non li avrebbe entusiasmati di sicuro.
Quel che gli si può forse rimproverare sono le trame, spesso così serrate e convulse che paiono sommarie, tale è la concentrazione di tumultuosi avvenimenti in una singola pagina de Il Vittorioso: come quelle domenicali dei giornali americani, doveva essere allo stesso tempo autoconclusiva e prospettare un seguito avvincente. Caesar lo fa, ma alcune volte con una concitazione eccessiva, per cui certi particolari della vicenda sembrano perdersi per la via o altri appaiono all’improvviso. Ma, effettuando un confronto con le sunday pages degli eroi raymondiani non si trova molto di diverso: avventure di mare, di cielo e di terra, foreste e deserti, civiltà aeree e sottomarine, trappole mortali e imprese ai limiti del possibile, situazioni senza apparente via d’uscita. Il giovane lettore doveva essere avvinto, e poco importa (vale proprio per tutti) che spesso la logica e la verosimiglianza ci rimettessero o che l’eroe compisse imprese fisicamente al di là di ogni limite.
7. Idee e valori di Romano
In conclusione Romano per certi aspetti non è molto diverso dai fumetti avventurosi e di guerra prodotti in altre nazioni nel periodo fra la metà degli anni Trenta e la fine della seconda guerra mondiale. Per altri aspetti invece si distingue: come si è segnalato, ha una “sua” vita, il tempo nel fumetto scorre in genere parallelo alla realtà, per alcuni riferimenti tecnologici la sopravanza.
Vediamo, allora, come si comporta il nostro eroe: vediamo se aveva “tutti di difettacci dello squadrista attaccabrighe” (Della Corte), se era quell’ “omaccione” di cui si dice (Trinchero), se si presentava come “un ‘tecnico’ del massacro bellico” (Carabba), se era “un tipico soldato di ventura” (Strazzulla), soprattutto se era il rappresentante della “tipica tracotanza dello squadristico ‘me ne frego’” ed espressione di “un razzismo tanto sciocco quanto ingenuo” (Bertieri). I lettori giudicheranno dai fumetti qui raccolti, ma non possiamo non fornire un florilegio di occasioni tipiche in cui si palesano le idee e il modo di pensare di Romano.
Ne Il Legionario del 1938 (8ª puntata) durante un duello aereo fra Romano e un “conosciutissimo asso” avversario a quest’ultimo si inceppano le mitragliatrici, e il pilota italiano se ne accorge: che fa il nostro “tracotante” e per di più “tecnico del massacro bellico”? Ecco cosa fa: “Romano passa ancora, quasi a volo rovesciato, e quando è vicinissimo, saluta romanamente. Tuffa il suo caccia verso l’Ovest seguito dai suoi camerati… Il superstite rosso vola verso casa come in un sogno. Egli ha compreso di quale spirito cavalleresco sono animati i valorosi legionari che combattono con eroica lealtà per l’ideale”. Quasi la stessa scena tre anni dopo: in Verso: A.O.I. del 1941 (16ª puntata) durante un duello aereo fra il Breda 88 di Romano ed una pattuglia di Skua inglesi, il nostro eroe abbatte “un asso” avversario e dice: “L’ho colto: quasi me ne dispiace. È un valoroso aviatore”. Poi, vedendo, che il pilota scende col paracadute, aggiunge: “Bene, s’è salvato. Sono contento”. Infine, in Romano nel Tibet del 1943 addirittura aggancia con il suo aereo il paracadute in fiamme di un pilota musulmano impedendogli di sfracellarsi al suolo (4ª puntata). Voilà il “nazionalista aggressivo”, il “tecnico del massacro bellico”, l’“attaccabrighe”, eccetera eccetera.
Ne Il deserto bianco del 1939 Romano è costretto ad un atterraggio di fortuna tra i ghiacci dove è soccorso da una tribù di eschimesi. Come si comporta il nostro “esemplarmente ottuso” eroe? Divide il cibo con loro, poi interviene per salvarne uno dall’assalto di un orso bianco. Eschimesi descritti come “coraggiosi”, con le madri che hanno “dolci parole per il loro pupo” (5ª e 8ª puntata). In Verso: A.O.I. del 1941, nonostante sia in missione segreta nel Sudan britannico per raggiungere l’Etiopia, Romano si ferma per salvare “un famiglia di negri” assalita da un leone (12ª puntata). Voilà il “razzismo sciocco e ingenuo” del nostro “Gordon in camicia nera”.
Sempre ne Il deserto bianco una tempesta di ghiaccio appesantisce tanto una “fortezza volante” americana (un B.17 prima serie) da costringerla ad un atterraggio rovinoso. Che fa il nostro “modello ideale della ‘nuova’ generazione fascista”? Con una invenzione alquanto fantascientifica salva l’unico sopravvissuto, nonostante gli americani non fossero poi dei grandi amici dell’Italia fascista, già alleata della Germania nazionalsocialista, e la guerra, all’epoca di quelle puntate (28-30), già iniziata. Voilà il “nazionalista aggressivo”.
Un rispetto per l’antagonista che con la guerra diventa avversario e nemico. In Per l’Italia del 1940 (10ª puntata), il comandante di un fortino inglese in Africa Settentrionale così risponde a Romano che lo tiene sotto tiro: “Avete vinto. Ormai però i miei uomini lasciano il campo ed è troppo tardi. Potete uccidermi, ma non richiamerò i miei soldati”. Romano lo risparmia. E in Mare nostro anch’esso del 1940, dopo aver silurato con il suo Mas una nave inglese, si attarda sul posto “per accertarsi che tutto l’equipaggio fosse sceso nelle scialuppe” (8ª puntata). Voilà come uno “squadrista” per di più “tracotante” tratta “l’infame nemico”.
Che conclusioni trarre? Nessuna di più che queste: Romano si comporta come ogni “eroe” di qualsiasi parte del mondo; le definizioni “ideologiche” che gli sono state affibbiate, con tutto il loro sapore negativo e l’intenzione di maldisporre il lettore, restano appunto queste: definizioni “ideologiche” che, dunque, lasciano il tempo che trovano. Romano è, come ha ben scritto Mario Bozzi Sentieri nel suo libro, “un cavaliere del XX secolo”.
8. La “Legge Vitt” e le direttive del Minculpop
Iniziato nell’aprile 1938, durante il secondo anno di vita de Il Vittorioso, il personaggio di Caesar si può dire che anticipasse autonomamente le famose e spesso citate a sproposito direttive del Ministero della Cultura Popolare sulla stampa giovanile. Il suo atteggiamento s’inquadrava, infatti, nello stile del periodico cattolico che lo ospitava: anche per lui valeva la cosiddetta “Legge Vitt”, valida non solo per i personaggi a fumetti, ma proprio come stile di vita proposto ai lettori, e riassumibile in quattro aggettivi: “Lieti, leali, forti, coraggiosi”. Come si è visto e come si può constatare direttamente, non c’è mai un insulto o del disprezzo o ancor peggio odio nei confronti del nemico, quale esso sia. Lo riconosce per fortuna Leonardo Becciu nel citato Il fumetto in Italia quando, a proposito del settimanale, scrive: “Mai sulle pagine del Vittorioso, sia nella parte scritta che nei fumetti, appaiono parole di odio verso le Nazioni in guerra con l’Asse”.
Le famose direttive si ebbero solo alla fine del 1938, precedute da un Congresso Nazionale per la letteratura giovanile e infantile svoltosi a Bologna il 9-10 novembre cui parteciparono scrittori, critici, giornalisti e pedagogisti fra cui Bino Sanminiatelli, Mario Mazza, Giuseppe Fanciulli, Guido Mancini, Gherardo Casini e Filippo Tommaso Marinetti. Interessanti, rispetto alle caratteristiche del fumetto di Caesar, i canoni indicati dal fondatore del futurismo, che qui sunteggiamo traendoli da Fumetto Alalà: “La Fede in Dio e nel Divino… L’orgoglio italiano… Il patriottismo assoluto… L’attivismo giocondo e festoso… Il coraggio fisico di una forza muscolare agile e pronta e spiritualizzata… L’amore del pericolo della lotta dell’avventura culminante nell’ansia sublime dell’eroismo che non disgiunta dalla dolcezza degli affetti può sempre consolare guarire ringiovanire… L’amore per la vita militare… L’esaltante poesia della guerra… La contentezza di vivere oggi da italiani fascisti imperiali… Una forte e propulsiva ambizione individuale (…) rispettosa davanti ai meriti dei concorrenti… Una generosità umana pronta a trasformarsi in una assistenza attiva… Un’adorazione del nuovo… L’istinto e la velocità del movimento”.
Se si considera l’atteggiamento di Romano nei confronti della guerra, degli avversari, delle macchine; il suo rapporto con la moglie; il modo in cui fa uso di aerei, motoscafi, sottomarini, automobili, carri armati; la frenesia dell’azione: beh, sembrerebbe che Caesar abbia fatto propri i quindici punti marinettiani, più che le direttive del ministro della Cultura Dino Alfieri agli editori e direttori di giornali per ragazzi convocati il 17 novembre 1938. In esse, tra l’altro, genericamente si chiedeva: “La stampa per i ragazzi dovrà essenzialmente assolvere una funzione educativa, esaltando l’eroismo italiano, soprattutto militare, la razza italiana, la storia presente e passata dell’Italia. L’avventura avrà la sua parte, purché sia audace e sana, ripudiando tutto ciò che vi è nelle storie criminali, paradossali, tenebrose e moralmente equivoche che inquinavano tanta parte della stampa per ragazzi. I caratteri somatici dei personaggi dovranno essere spiccatamente italiani”. Le direttive avrebbero dovute essere “attuate entro il mese di dicembre”, anche perché dal 1° gennaio 1939 sarebbe scattata “l’abolizione completa di tutto il materiale d’importazione straniera, facendo eccezione per le creazioni di Walt Disney, che si distaccano dalle altre per il loro valore artistico e per la sostanziale moralità”…
Ma, lette con attenzione tutte le storie del nostro eroe, oltre che “lieto, leale, forte, coraggioso” secondo la “Legge Vitt”, possiamo dire che Romano è anche stoico e impassibile di fronte ai pericoli, magnanimo, generoso, altruista, nobile di cuore e sentimenti, con un profondo senso dell’onore, temerario. Gli esempi non mancano: ne Il serto bianco (18ª puntata), mentre tutti fuggono terrorizzati di fronte al bimotore che sta slittando via, Romano considera: “Strano! Come perdono subito la calma!” e, al momento giusto, riesce a salire a bordo del velivolo; e sempre “calmo e con i nervi a posto” continua a puntare i riflettori nel cielo notturno alla ricerca di aerei nemici mentre tutti scappano sotto un mitragliamento (Romano nel Tibet, 12ª puntata); in Negli abissi del mare (5ª puntata) sceso sul fondo con il suo scafandro speciale, Romano, “arrivato in vicinanza del relitto, incontra i miseri resti di un palombaro che sprovvisto dei mezzi adatti pagava la sua audacia con la vita. Commosso Romano si ferma un minuto in raccoglimento per onorare l’infelice”; ne Il nemico invisibile (23ª puntata) un idrovolante sta per bombardare gli indigeni che circondano il nostro eroe e i suoi amici: “Romano intuisce l’attacco e credendo ormai inutile un ulteriore spargimento di sangue, segnala con due razzi di cessare il bombardamento”; in Per l’Italia (9ª puntata) prigioniero in un fortino inglese sotto attacco italiano, “stoicamente attende la sua fine” e pensa: “Morirò in una tana, ma col mio sacrificio ho salvato i miei compagni”; in Ain El Gazala (4ª puntata) durante un duello fra il suo Macchi 202 ed uno Spitfire vedendosi colpito dirige il suo aereo contro il nemico stile kamikaze lanciandosi con il paracadute all’ultimo istante; in Caposaldo “P” (2ª puntata) catturato nel deserto da due neozelandesi per fuggire non li uccide, ma “si libera dei suoi avversari colpendoli ad un piede”; in Romano nel Tibet (10ª puntata), dopo uno scontro fra mongoli e tungani, il nostro eroe “osserva che prima di tornare al campo è doveroso provvedere ai feriti anche nemici”, quindi, dopo la caduta di un aereo avversario (13ª puntata), “seguendo il suo impulso generoso, Romano corre sul luogo del sinistro per prestare eventuale soccorso al caduto aviatore”.
Di più. Volendo si può considerare il nostro eroe un ecologista ante litteram! Ne Il deserto bianco, prima (11ª puntata) viene descritta la caccia alle foche degli eschimesi in questo modo: “Con incredibile abilità e velocità essi sanno colpire a morte le foche senza farle soffrire inutilmente. Vengono cacciate solo le foche grandi; le altre sono lasciate in libertà”; poi (24ª puntata) Caesar descrive la “pesca elettrica” che al pesce “fa perdere i sensi e salire alla superficie come morto. È quindi facile ai pescatori raccogliere con reti a mano i pesci utili al commercio e lasciare gli altri che dopo poco riprendono vita senza alcun danno alla loro salute”…
Questo particolare ci permette di aggiungere che nelle storie di Romano c’è pure un intento didattico tecnico-scientifico, caratteristico sia di Caesar sia de Il Vittorioso. Le avventure del nostro eroe danno lo spunto a varie tavole esplicative come questa sulla “pesca elettrica”, e altre sulla colorazione di nero della neve per facilitarne lo scioglimento, sul funzionamento di macchine e l’illustrazione di esperimenti, “spaccati” di aerei, il metodo in cui vengono effettuate le triangolazioni, la descrizione dei recuperi sottomarini, notizie sulle tecniche di volo e la potenza dei motori e così via.
9. Il nazionalismo di Romano
Insomma, Romano è un concentrato di tutte le migliori caratteristiche dell’“eroe” classico, una quintessenza come si conviene ad un simbolo, ad un esempio da additare. Ovviamente però, nei fumetti avventurosi italiani dell’epoca c’era una sovradose di “nazionalismo”, già presente in passato ma dal 1940 accentuato. “Nazionalismo” non certo assente nella produzione di questo stesso genere e periodo in altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti, ma con evidenza inferiore e soprattutto indiretta, con meno palesi intenti pedagogici, che comunque man mano emersero ed aumentarono con l’avvicinarsi degli eventi bellici ed il coinvolgimento in prima persona dei vari comic, come si è accennato in precedenza: i valori potevano mutare, ma la sostanza era identica. Il riferimento alla nazione, alla patria, alla bandiera, alla dedizione e al sacrificio per esse, ma anche al cameratismo militare, sono costanti.
Il clima di quegli anni tumultuosi e convulsi era così, e ognuno lo interpretava secondo le proprie convinzioni e coordinate culturali, secondo – si potrebbe dire esagerando un po’ trattandosi di fumetti – la propria “visione del mondo”. Nulla di assurdo o grottesco, allora, che Romano alla fine de Il Legionario (30ª puntata), “in un mattino di sole giunge alla città eterna e sorvola i simboli della Fede e della Patria”, cioè il Vittoriano e San Pietro, con il suo S.79; o che ne Il deserto bianco (27ª puntata), prima di salvare il pilota americano, piantata al Polo Nord “la bandiera della Patria imperiale e dell’Albania, si mette sull’attenti salutando romanamente”; o se in Per l’Italia (1ª puntata), mentre è in viaggio di nozze, apprendendo la dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Inghilterra, “decide di raggiungere la Patria lontana e di combattere per la sua vittoria”; lo accompagna Isa che non resterà a casa in lagrimosa attesa, ma diventerà crocerossina, e dice: “Addio Romano! Voglio che anche tu sia fiero della tua Isa, come essa lo è di te” (4ª puntata), e poi ripete ad un comandante che invita Romano alla prudenza: “Condivido le idee di mio marito” (11ª puntata); concetto che la ragazza riprende nell’ultimo episodio della serie, Romano nel Tibet (1ª puntata): “Non è solo sul fronte di guerra che si serve la Patria, Lina!”. I toni possono apparire esagerati, ed oggi ci possono fare una singolare impressione, soprattutto in bocca ad una donna, specie in rapporto alla Dale raymondiana, ma senza dubbio erano quelli che al tempo si usavano nella stessa sostanza anche se con altre parole per le donne “patriottiche” del comic bellico americano.
Un “nazionalismo” che si esplicita anche con riferimento ai materiali, alle macchine e alle invenzioni, che sono – proprio con tipica espressione marinettiana – “italianissimi”: un superlativo che, anche questo, potrà suonarci strano, ma assai meno se pensiamo che ancora oggi ci sentiamo orgogliosi quando apprendiamo che, ad esempio, industrie italiane hanno contribuito a realizzare interi satelliti artificiali o una parte dello stazione orbitale europea, per non parlare di altre scoperte o invenzioni, come il tubo-scanner per l’individuazione dei tumori. Il fatto è che, lo si ripete, quell’“italianissimi” si riferiva a mezzi (reali o immaginari) creati dall’“Italia fascista” e ciò non è certo “politicamente corretto” ed a qualcuno potrà sembrare ridicolo o addirittura oltraggioso una tale esaltazione “nazionalistica”.
Ma tant’è. Tali sono, e spesso Romano specifica ben bene chi li ha costruiti o prodotti, ad esempio gli strumenti che servono a misurare le radiazioni della Terra e della luce utilizzati dalla spedizione scientifica in Groelandia di cui fa parte il nostro eroe divenuto “ingegnere”, il cui bimotore Breda riesce là dove non riesce il quadrimotore americano (Il deserto bianco); lo è anche lo “scafandro speciale” realmente esistente ed effettivamente utilizzato dalla nave-recupero Artiglio protagonista di Negli abissi del mare; è invece una invenzione fantascientifica quella “specie di scafandro per proteggere dalle radiazioni dell’Elemento 85 B” costruito dall’Ansaldo di Genova usato in Il nemico invisibile. In più, tutte quelle innovazioni sperimentali italiane che Caesar dà come scontate ed acquisite, come si vedrà più avanti.
10. La tecnologia
Condannato senza appello per il suo aspetto “ideologico”, il fumetto viene però unanimemente ricordato per “l’insuperabile maestria nel riprodurre aerei, carri armati ed ogni altro mezzo meccanizzato” (Strazzulla). Inutile soffermarsi su questo aspetto in generale, quanto piuttosto conviene farlo nello specifico perché da un lato ci offre il sapore ineguagliabile di quel periodo, dall’altro ci fa capire come Caesar lavorasse e si documentasse. Di conseguenza, alcune considerazioni si possono fare sul primo e più famoso episodio della serie: Il Legionario. Dal pennello del disegnatore italo-tedesco escono le esatte raffigurazioni di alcuni notissimi velivoli che parteciparono al conflitto spagnolo: i nostri caccia CR.32, i bombardieri S.79, gli idrovolanti Cant Z.501 e Cant Z.506B, così come quelle degli aerei avversari che, particolare estremamente interessante, vengono chiamati (a parte gli Hawkers Hart) con il nome convenzionale dato loro dai nazionalisti i quali non ne conoscevano ancora la vera origine e denominazione (lo stesso fecero più tardi gli americani nei confronti degli aerei giapponesi): ecco allora i fantomatici caccia Curtiss che altri non erano se non i Polikarpov I.15, ed i misteriosi Martin Bomber ovverosia i bimotori da bombardamento Tupolev SB2, nomi americani per aerei russi che l’URSS aveva inviato per sostenere la causa della Spagna repubblicana.
Caesar eseguiva le sue tavole in base evidentemente non solo alle informazioni che possedeva, a quel che leggeva sui giornali, ma soprattutto in base alle riproduzioni fotografiche che vedeva sui giornali, soprattutto sulle riviste del Ministero dell’Aeronautica cui spesso collaborava: sicché egli dà come operante nell’Aviazione legionaria il bimotore da bombardamento Caproni Ca 135, che lo stesso Romano pilota (17ª puntata). Viceversa, di questo poco fortunato velivolo vennero inviati in Spagna solo due esemplari che non parteciparono ad alcuna operazione bellica (cfr. Spagna 1936-1939: l’Aviazione Legionaria, Interdigest, 1973). Un altro esempio: ad un certo punto (21ª puntata) il nostro eroe parte con “un grosso e velocissimo apparecchio da bombardamento”, definito “un nuovissimo Breda”, la cui raffigurazione fa venire in mente il Breda Ba 88, un caccia pesante ed assaltatore che deluse le aspettative e che non venne affatto impiegato in Spagna. Poiché il prototipo volò nel 1936, mentre i modelli di serie apparvero nel maggio 1939, se ne può dedurre che Caesar, conoscendo l’apparecchio che aveva conquistato alcuni primati di velocità nel 1937, abbia considerato cosa logica il suo impiego nella guerra civile spagnola: infatti il Breda da lui disegnato ha una coda mono-deriva come il prototipo, e non bi-deriva come nella versione di serie (tra parentesi, è un refuso/errore il calibro dei “nuovissimi cannoncini a tiro rapido” disegnati nella 9ª puntata: non 320 mm, calibro dei cannoni delle corazzate, bensì solo 32 mm).
La “tecnologia” di Caesar è dunque ispirata alle fonti cui attingeva, molte delle quali (i periodici Ali, L’Ala d’Italia, L’Aquilone e Avventure del Cielo della editoriale Aeronautica) spesso presentavano dei semplici prototipi che l’artista nei suoi fumetti dava come ormai di uso comune. Oppure si trattava di personali elaborazioni, qualche volta mescolando elementi di un paio di velivoli, che fanno semplicemente assomigliare un aereo alla sua fonte ispirativa. Facciamo un rapido elenco dei mezzi presenti nelle avventure di Romano:
Il deserto bianco: oltre all’idro M.F.6 e alla “fortezza volante” B.17, elaborazioni sono il bimotore con i pattini da neve su cui Romano vola ispirato al Breda Ba.88, e l’idro a scafo elaborazione di un equivalente americano (14ª puntata).
Negli abissi del mare: l’idro che salva Romano (10ª puntata) è il famoso Catalina, statunitense.
Il nemico invisibile: numerosi gli adattamenti da parte di Caesar. Il caccia e il bimotore della 6ª puntata sono ispirati rispettivamente all’americano P.40 e all’inglese Hampten; il monomotore su cui vola il nostro eroe à uno Stuka prima versione ma non esattamente identico, precisi sono invece i Gloster Gladiator biplani e il grande idro transatlantico Sunderland dell’ultima puntata.
Per l’Italia: molte le riproduzioni precise. il trimotore della LATI su cui sono Romano e Isa è l’S.83, seguono il caccia Spitfire, il Wellesley, l’aerosilurante S.79, il bombardiere leggero BR.20, il Texan americano (ma presentato come ricognitore inglese nella 9ª puntata), il Gladiator, il famoso bombardiere Blenheim, il nostro caccia Macchi 200. C’è anche il caccia italiano Re 2000, erroneamente definito Ro 2000, ed un aerosilurante italiano monomotore con scarponi che assomiglia al Re 2000, ma che in realtà non esiste (3ª puntata). Da segnalare il curioso aereo della CRI (15ª puntata): si tratta di un Breda 44. Il carro armato della 3ª puntata è uno Stuart modificato.
Mare nostro: oltre all’S.79 e al Cant. Z 506B, l’idro imbarcato sull’incrociatore e lanciato con la catapulte è un Ro 43.
Verso: A.O.I.: oltre agli Skua (scritto Skva), qui il Breda 88 (un aereo che a Caesar evidentemente riusciva molto simpatico) è bi-deriva, quindi della produzione di serie. I carri armati sono invece il leggero italiano L.3 e il medio tedesco PKW II.
Il siluro umano: il quadrimotore italiano è un Piaggio P.108 non molto preciso: era in sperimentazione e collaudandone un esemplare nell’agosto 1941 aveva trovato la morte Bruno Mussolini. Il caccia bimotore è una strana scelta di Caesar: si tratta infatti di un prototipo americano, il Grumman XF5F-1 (2ª e 3ª puntata).
Quanto allo “speciale siluro” che Romano guida contro il porto maltese di La Valletta, lo inseriamo qui giacché erroneamente molti commentatori del fumetto hanno scritto che Caesar anticipò o addirittura rivelò un segreto militare quello dei cosiddetti “maiali” (“anteprima mondiale dei mezzi d’assalto”, scrive il caporedattore del Vittorioso, Righini): a parte che la cosa sembra un po’ difficile, si tratta di uno errore, anche perché come si è detto in precedenza, le operazioni che lo avevano visto in azione risalivano ad un anno prima. Peraltro, è improbabile che si conoscessero immagini ufficiali di armamenti segreti. Sicché l’ordigno, così come lo ha disegnato Caesar, non è mai esistito in Italia e sembra piuttosto la fusione (voluta o fortuita non si può sapere) di vari mezzi sperimentati dai Paesi del Tripartito verso la fine del conflitto: infatti, costruirono qualcosa di simile sia giapponesi (il Kaiten), sia i tedeschi (l’Hecht), una via di mezzo fra minisommergibili forniti di un unico siluro esterno, e “siluri pilotati”, trasportabili da navi come da sommergibili più grandi. Circa i mezzi italiani, il “siluro” guidato da Romano potrebbe considerasi un incrocio fra un SLC (siluro a lenta corsa, ideato da Toschi e Tesei, soprannominato “maiale”) che navigava sott’acqua e la cui testata esplosiva veniva agganciata alla chiglia sommersa del naviglio nemico; un MTM (motoscafo turismo modificato, detto “barchino esplosivo”) che veniva lanciato in emersione contro le navi avversarie ed il cui pilota si salvava, nel modo in cui si salva il nostro eroe: catapultandosi in mare con un salvagente o un battellino di salvataggio, dopo averlo puntato sul nemico; ed un sommergibile tascabile d’assalto CA pilotato da un solo uomo. I “maiali” vennero utilizzati dalla Decima Flottiglia Mas negli attacchi ai porti di Malta, Gibilterra ed Alessandria, i “barchini” contro Suda e ancora Malta, i CA avrebbero dovuto attaccare New York e Freetown, ma l’armistizio dell’8 settembre bloccò le operazioni già programmate.
Ain El Gazala: esatte riproduzioni dei Macchi 202 e degli Spitfire, con un bimotore Caproni 313 nell’ultima puntata.
Caposaldo “P”: sono i mezzi, come quelli precedenti, che il disegnatore vide con i suoi occhi quando era nell’Afrika Korps di Rommel: i carri inglesi Matilda e Valentine, il bombardiere Stirling, gli Stukas tedeschi ma con le insegne italiane.
Romano nel Tibet: in questa avventura bellico-esotica i mezzi non sono facili di decrittare, anche perché risultano singolari discrasie fra il testo e il disegno: ad esempio, nella 1ª puntata si parla di un trimotore giapponese, ma in realtà si vedono un monomotore che sembra un’opera di fantasia, ed un successivo bimotore che è invece un Mitsubishi KI 21, mentre il grande idro quadrimotore successivo è un Kawanishi. Di non facile identificazione il bimotore (4ª-6ª puntata) che potrebbe essere o un Rikugun KI 93 o un Mitsubishi KI 83, mentre il caccia (8ª puntata) potrebbe essere un Kawanishi P1Y2. Il caccia con lo stemma della Cina (10ª puntata) sembra essere un P.40 americano adattato, mentre l’“aereo da bombardamento” di Romano (13ª puntata) è un Lysander, ricognitore inglese usato spesso per missioni speciali (un po’ come lo Storch tedesco). Infine, nelle ultime due puntate sono presenti un bimotore Mitsubishi ed un famoso caccia giapponese, il Raiden.
11. Il futuribile
Più che fantascientifico, come pure si è detto inizialmente, forse l’aggettivo migliore per certe macchine presenti nelle storie di Romano è futuribile, che è meglio di avveniristico. Infatti, esse non sono totali invenzioni di Caesar, quanto prototipi sperimentali dati dal disegnatore come ormai di uso comune. Il che rende la sua scelta quanto mai interessante.
A parte quelli cui già si è rapidamente accennato, di certo i più curiosi sono il buffo aeroplanino usato da Isa tra l’ultima puntata di Negli abissi del mare e la prima puntata de Il nemico invisibile, che è un ricognitore sperimentale della Boeing, poi mai costruito in serie, e il curiosissimo “moto veleggiatore” smontabile e trasportato su un autocarro che utilizzano Romano e Isa in Verso: A.O.I.: un Magni Vittorino, anch’esso rimasto a livello sperimentale, in pratica un aliante a motore. Fantascientifico è invece l’elicottero dorsale di cui fa uso il nostro eroe per salvare il pilota americano ne Il deserto bianco: sperimentato sin dagli anni Dieci dai francesi, in pratica non si concretizzò mai in qualcosa di veramente utilizzabile e solo nella seconda metà del Novecento negli Stati Uniti si realizzò un modello individuale di razzo dorsale. Caesar si rendeva benissimo conto della questione, tanto è vero che commenta lui stesso in una didascalia (29ª puntata intitolata “Il volo umano”): “Aspettando con segni di evidente gioia l’arrivo di Romano che col suo nuovo apparecchio pare più una visione di romanzo futurista che una realtà dei nostri giorni”. “Romanzo futurista” o “straordinario” o “avveniristico” che, come ho ampiamente dimostrato altrove (l’antologia Le aeronavi dei Savoia, Nord, Milano, 2001) all’epoca in Italia non era affatto sconosciuto, anzi ben noto e praticato con originalità anche dai nostri autori.
Il disegnatore italo-tedesco non si è limitato alle macchina volanti, ma si è sbizzarrito anche in altri settori: sempre ne Il deserto bianco la moto-slitta Breda è un prototipo rimasto tale, mentre è una bella intuizione quella dei “motoscafi del futuro” che si innalzano su pinne per evitare l’attrito con l’acqua: l’idea è dell’ingegner Crocco, venne applicata ad un idro da corsa, il Piaggio PC.7 Pinocchio, ed oggi la troviamo regolarmente applicata sugli aliscafi che collegano ad esempio Napoli alle sue isole.
Ovviamente pura fantascienza sono ne Il nemico invisibile – una avventura che potrebbe essere messa sul piano di una di Cino e Franco o de L’Uomo Mascherato – l’Elemento 85B, la tuta della Ansaldo e le radiazioni del Tempio dei Raggi che mummificano le persone e ne bruciano gli occhi.
12. Alla scoperta del tempo perduto
Una lunga analisi (forse anche un po’ divagante) per un lungo fumetto, il maggior serial disegnato che abbia avuto l’Italia fra le due guerre: ben 179 tavole, alle quali in questa edizione se ne sono aggiunte anche due documentarie che Caesar realizzò nel suo tipico stile, dato che rientrano perfettamente nell’atmosfera delle avventure di Romano: Un radiocronista al fronte (7 marzo 1942) e Lotta aerea nippo-cinese (14 marzo 1942).
L’ambigua fama che accompagnava il fumetto, la mancanza di un suo esame veramente approfondito, l’unilateralità delle critiche, le sue molteplici sfaccettature e i diversi punti di approccio, la personalità dell’autore, ma anche alcuni problemi collaterali che si sono presentati durante questo lavoro, con la conseguenza di approfondire riscontri tecnici e documentazione storica per offrire un quadro veramente completo del contesto in cui il lavoro di Caesar si colloca, hanno prodotto una introduzione d’inusuale estensione per una “banale storia a fumetti”, come si suol ancora dire (l’importante è che non sia risultata noiosa). Ma l’occasione della sua ripubblicazione integrale dopo sessant’anni era una occasione più unica che rara da non lasciarsi sfuggire per affrontare temi rimossi e problemi mal posti.
Il lettore, sia esso il semplice amatore del buon fumetto, il nostalgico delle storie degli anni Trenta, la celebrata “età d’oro”, il fan di Caesar e/o de Il Vittorioso, oppure anche l’appassionato di storia o di aviazione, potrà apprezzare e giudicare finalmente in modo diretto – come non si finirà mai di sottolineare abbastanza – qualcosa che sino ad oggi era esclusivo appannaggio di pochi e fortunati super-collezionisti: un personaggio e delle storie affatto monocordi e, nelle pieghe della trama e dei disegni, ricchi di aspetti inusitati. Valutare i pareri del passato e quanto scritto in questa occasione.
Posso dire che per me, che mi ero già occupato di Romano giusto trent’anni fa, è stata una doppia emozione, una duplice scoperta del tempo perduto: il mio, personale, di allora, di quegli anni, di quel clima politico e culturale, di quelle polemiche; e l’altro descritto e fatto rivivere nelle spericolate avventure di Romano…
Ma sì, diciamolo pure adesso che lo abbiamo ampiamente smentito, ricordandoci quel che si legge nella sua ultima avventura (“In Romano si risveglia il legionario di una volta”, Romano nel Tibet, 11ª puntata): le spericolate avventure di Romano il Legionario!
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Roma, settembre 2003
Desidero ringraziare Gianni Brunoro per il materiale documentario messo a disposizione da cui ho attinto molti dati e notizie importanti; Cesare Falessi per la sua incomparabile competenza aeronautica che mi ha aiutato dal punto di vista tecnico; e Carlo De Risio per le informazioni sui mezzi della marina militare.
ivana conti
Gentile Signor De Tullis ,sto cercando l’articolo da lei firmato sul numero di Urania 1595 del giugno 2013 dedicato a Giuseppe Pederiali. Dove posso consultarlo? Grazie. Ivana Conti