Turchia in Europa? Rileggiamo la storia – 1

Arrigo Petacco, La croce e la mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l'Islam Con La croce e la mezzaluna (Mondadori) Arrigo Petacco ci ha donato uno splendido affresco storico delle vicende che portarono alla battaglia di Lepanto, vicende che ebbero inizio con il crollo della civiltà bizantina. Il 29 maggio 1453 cadeva Costantinopoli. Da tempo l’Impero d’Oriente era senescente: vi regnavano la corruzione, la discordia tra i due partiti religiosi, una sorta di fatalismo storico che portava a considerare inevitabile la islamizzazione dell’Europa. L’ultimo imperatore, Costantino XI, morì da soldato e il suo corpo subì dai nemici il trattamento consueto: fu svuotato delle interiora, impagliato e mostrato sugli spalti. Il megaduca Luca Notaras dopo aver rifiutato di offrire il figlio giovinetto alle brame del sultano fu trucidato con tutta la sua famiglia.

Partoriti dal grande ventre dell’Asia, i Turchi erano una popolazione nomade di pastori-guerrieri. Ad essi l’Islam era congeniale: Arabi e Turchi furono i due grandi popoli che accolsero il Corano spontaneamente. Il fondatore della potenza ottomana era stato Murad I che morì combattendo contro i Serbi nel Kosovo. Fu lui a proclamare la Jihad contro gli Europei e a stabilire le regole dell’ingaggio: conquista, carneficina, razzia; dopo di ciò ai superstiti veniva offerta l’alternativa della conversione alla vera fede o la possibilità di continuare a vivere – da cristiani – una esistenza sottomessa. Murad fu anche l’ideatore del corpo dei “Giannizzeri”: la fanteria d’élite dell’impero ottomano che era frutto di rastrellamenti delle popolazioni europee. Gli adolescenti più vigorosi venivano strappati alle famiglie, quindi educati alla fede. Questi europei persuasi della superiorità dell’Islam divenivano così i più feroci distruttori della loro civiltà d’origine. Il figlio di Murad, Mehmed II dopo aver conquistato la Grecia puntò sulla “seconda Roma” – Costantinopoli – ma la sua fantasia guerriera vagheggiava la conquista dell’autentica Roma. Non era solo un appetito politico, ma anche un impulso religioso legato all’adempimento della profezia della islamizzazione dell’Urbe. Per questo motivo Roma era perennemente evocata nel grido di guerra delle truppe turche: “Làilahà, Allah! Roma! Roma!”. Alla profezia islamica Mehmed aggiungeva di suo una bislacca teoria in base alla quale i Turchi erano discendenti dei “Teucri” (i Troiani) e pertanto “eredi” legittimi della civiltà romana-occidentale. Il caso volle che all’epoca fosse papa Pio II, il cui nome era appunto “Enea”, come l’antenato troiano dei romani. Enea Silvio Piccolomini ed il “teucro” ottomano ebbero contatti epistolari: il Papa pensò di poter gestire l’afflusso di mussulmani in Europa e offrì al sultano addirittura l’incoronazione a imperatore romano in cambio del battesimo cristiano. Mehmed ovviamente non prese neppure in considerazione quel goffo tentativo di integrazione, forse fu anche disgustato dalla arrendevolezza del prete umanista.

Giorgio Ravegnani, Bisanzio e Venezia Conquistando Costantinopoli, i Turchi Ottomani si affacciavano sul Mediterraneo. Da quel momento in poi e fino alla battaglia di Lepanto le scorribande dei pirati barbareschi protetti da Instanbul rappresentarono il terrore delle coste euro-mediterranee. Nei mesi invernali la situazione era relativamente tranquilla, ma non appena la primavera inoltrava, le leggerissime imbarcazioni dei maghrebini sbarcavano ogni notte sulle coste spagnole e italiane. La tattica di questi sbarchi era rodata: rapida incursione nella notte, violenze sessuali, predazione: di uomini e di roba. La merce arrivava nei magazzini di Algeri o Tunisi, ma dal momento che il mercato nordafricano era inesistente, finiva con l’essere venduta sottocosto a mercanti cristiani ed ebrei che la reimmettevano in Europa a prezzi stracciati! In pratica, una parte del ceto imprenditoriale europeo faceva affari in nero con i predatori islamici, e per interesse economico tendeva a gettare un velo sulla gravità del pericolo turco. Insieme ai mercanti altre potenze tendevano a nascondere la gravità della minaccia: Venezia e Genova, che pure subivano il peso dell’espansione ottomana, consideravano la Turchia un partner economico; la Francia invece, stretta tra Spagna e Impero, perseguiva una politica di alleanza di fatto col Sultano. Così proseguivano gli sbarchi e le razzie. La predazione più grave era quella di uomini, donne, adolescenti. Uomini venduti come schiavi, donne che finivano negli harem, ragazzini europei bramati per la carnagione morbida e i colori chiari dai turchi tendenzialmente bisessuali. La bisessualità e la poligamia erano pratiche accettate, come accettata era l’usanza dei sultani di strangolare i fratellastri una volta ascesi al trono.

Richard Fletcher, Cristianesimo e Islam a confronto. Mille anni di storia fra Maometto e l'età moderna Agli schiavi europei rastrellati sulle coste era tuttavia concessa la chance della conversione. La società turca tendeva a diventare una società multirazziale in cui – entro certi limiti – non contava l’origine di sangue, ma la sottomissione ad Allah. Molti furono i prigionieri che accettarono di convertirsi all’Islam: questi rinnegati riuscivano talvolta a scalare i gradini del potere e della ricchezza pur rimanendo giuridicamente “schiavi”. Va detto che in Oriente, mancando il sentimento tipicamente europeo della libertà individuale, la condizione giuridica di schiavo era qualcosa di meno umiliante. Inutile dire che tra i rinnegati, il numero degli Italiani era legione.

Stretta la cristianità in una morsa che andava dai Balcani al Maghreb, l’Impero turco aveva due opzioni per entrare in Europa: la via di terra e la via di mare. Seguendo la via di terra i turchi giunsero nel 1529 a Ratisbona e furono sul punto di sottomettere l’Austria. Ma Carlo V li sbaragliò. Rimaneva aperta la via del mare: il piano prevedeva la conquista di Malta e l’appoggio alla ribellione dei Moriscos, la quinta colonna di islamici presenti in terra di Spagna. Ma a Malta i cavalieri resistettero eroicamente, e in inferiorità numerica respinsero l’invasione. Dopo poco tempo i Turchi puntarono su Cipro, altra isola strategica nel Mediterraneo. Lala Mustafà ottenne la resa di Nicosia, promettendo al comandante Dandolo un trattamento onorevole, poi lo fece uccidere e mandò la sua testa putrefatta a Marcantonio Bragadin, comandante della piazza di Famagosta. Bragadin resistette eroicamente, poi stremato credette a sua volta alle garanzie che i turchi gli offrivano per la resa. La fine che fece Bragadin, orrendamente mutilato e scorticato vivo, fu più raccapricciante di un film dell’orrore. Ma la caduta di Cipro fu anche la molla che fece scattare la reazione: papa Pio V bandì la crociata contro i Turchi, Spagnoli e Veneziani trovarono un’incredibile intesa tra avversari, l’Europa sospese per un attimo le dispute tra cattolici e protestanti. L’armata di mare che si dirigeva verso Lepanto ebbe il suo romantico condottieri in don Giovanni d’Austria: figlio naturale di Carlo V, era vissuto inconsapevole del suo sangue reale, leggendo i romanzi cavallereschi di Orlando e del Cid. Nel suo testamento Carlo V volle che fosse onorato come un principe. Fu lui a guidare la Lega Santa a Lepanto e a sbaragliare i Turchi. Aveva solo 26 anni. 7 anni dopo sul letto di morte gli si squadernò la visione della battaglia che salvò l’Occidente. Ed egli morì gridando ordini di battaglia alle ciurme.

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2 Responses

  1. giulio cannella
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    ottimo lavoro

  2. Michele Fabbri
    | Rispondi

    Sulla delicata questione della Turchia in Europa ho scritto sul mio blog una recensione di SULLA TURCHIA E L'EUROPA di Alberto Rosselli

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