Sterili polemiche sulla “eredità di Evola”. Nervi scoperti a destra e manca

La pubblicazione di alcuni scritti dei rappresentanti e collaboratori della Fondazione Evola relativi alle polemiche suscitate dal Convegno “L’Eredità di Evola”, svoltosi a Roma il 29 novembre scorso, invece di essere chiarificatori sono stati utilizzati da alcuni per rinfocolare altre polemiche, stranamente soprattutto “a destra”. Questi interventi sono stati a loro volta variamente commentati su alcuni siti in Rete. Si dirà, la critica è sempre positiva! Certo, ma quando essa è motivata o comunque fondata su dati obiettivi, ovvero se è mossa dall’intento di migliorare e non di limitarsi a distruggere, e soprattutto quando si ha la serietà di firmarsi con il proprio nome e cognome, senza trincerarsi dietro l’anonimato. Serietà di cui molti dei commentatori in questione pare siano, invece, del tutto privi.

Dato che non si è, come invece molti pensano, né sprovveduti né incoscienti, si era messo in conto che polemiche sarebbero nate, ma francamente non si sarebbe mai immaginato di così basso livello e così personalistiche. Si vede che le nuove generazioni, sia a sinistra che a destra, non sanno ormai da che parte stia il buon gusto.

Una prima constatazione è necessaria: il Convegno, la sua realizzazione, hanno fatto arricciare il naso, anzi alzare gli scudi dello scandalo, pronunciare dinieghi ideali, tanto a destra quanto a manca. Assai interessante è rilevare la coincidenza delle argomentazioni utilizzate dagli uni e dagli altri, espressione di una omologazione psichica e intellettuale della tarda modernità. In realtà, si tratta della stantia riproposizione dei soliti luoghi comuni sul pensiero di Evola (ritenuti negativi dagli uni, positivi dagli altri) con i quali da decenni si etichetta – da parte di certa sinistra intollerante, ormai incapace di leggere la realtà del presente per potervi agire, e di certa destra che si definisce “militante” – la visione del mondo di Evola, il quale viene “ridotto” a pensatore di volta in volta fascista, razzista, antisemita e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di giudizi gratuiti, afilologici (a proposito della scientificità reclamata dai ricercatori e docenti torinesi che hanno sottoscritto la “chiamata alle armi” del dottor Cassata), affrettati e soprattutto parziali, propri di chi di Evola ha letto, nella migliore delle ipotesi, tre o quattro libri e lì si è fermato, limitandosi a rimuginare su di essi, che non tengono affatto conto della complessità e della contestualizzazione storica che l’esegesi del pensiero evoliano necessita. Giudizi, nella maggior parte dei casi, espressi da meri “cursori” dell’opera di Evola, in alcuni casi vittime del pregiudizio ideologico, non da suoi veri studiosi.

Per l’ala “destra” di tali critici Julius Evola, in prima persona, ormai più di cinquant’anni fa, coniò l’epiteto di “evolomani”, sapendo per esperienza diretta con chi avesse a che fare. Pur se in buona fede, nel corso del tempo hanno prodotto molti danni all’opera del filosofo e alla ricezione del suo pensiero e ne hanno determinato la ghettizzazione culturale. Lui stesso condannò certe ottusità a voce e per iscritto, e non lo si può ignorare se si è, appunto, in buona fede, riconoscendo certi errori metodologici e strategici. Ed è questa la vera e ancora in parte vigente “neutralizzazione”, “sterilizzazione”, “svilimento” della visione del mondo evoliana, non certo determinata dalla pluriennale attività della Fondazione, il cui scopo da sempre è far circolare la Tradizione del pensatore, farla vivere, attraverso il dibattito e il confronto con chi, libero da preconcetti, anche tra gli accademici, ne rilevasse il valore e la potenza.

Sicché, chi scambia il “dito” per la “luna” del messaggio evoliano e, più in generale, tradizionale, deve essere cercato altrove, non certo nella Fondazione, che ha curato direttamente o indirettamente dozzine di volumi di testi evoliani e ha praticamente concluso l’edizione critica delle sue opere, a cui nessun altro in precedenza si era accinto. Sono i fatti che dovrebbero contare e non le illazioni, i risultati concreti e non vere o presunte etichette. Fosse stato per i “militanti” duri e puri, il pensiero di Evola sarebbe rimasto a livello settario, chiuso nel ghetto dei fondamentalisti amanti della lettera e non del senso profondo delle sue opere. E, a costo di ulteriormente scandalizzarli, si aggiungerà che per far superare questi steccati di ottusità la Fondazione è disposta a collaborare con tutti, compresi il diavolo e l’acqua santa, in una prospettiva del tutto “laica”, avversa ai dogmatismi e ai fideismi ideologici e intellettuali, purché ci sia libera espressione e non certo strumentalizzazione. Chi ha paura di “contaminarsi” evidentemente non è sicuro di se stesso, del proprio carattere, del proprio spirito e delle proprie idee.

Peraltro, se i critici di destra e di sinistra avessero personalmente assistito al Convegno del 29 novembre (ma è forse pretendere troppo da certi ambienti settari, che non sembrano aver capito neppure, nei loro proclami, che l’autoreferenzialità “gruppettara” è voluta dalle logiche del sistema ed è inscritta nel codice genetico della modernità divisiva), avrebbero appreso dai relatori come Evola non possa esser ridotto allo stereotipo di pensatore sic et simpliciter “fascista”. La cosa, lo ricordiamo per inciso, la si evince anche da una recente pubblicazione della vituperata Fondazione (J. Evola, Mito e realtà del fascismo, Pagine, Roma 2014), da cui emerge una figura presente e attenta al proprio tempo, aperta alle correnti culturali più stimolanti della filosofia europea.

Inoltre, chi tra i commentatori della Rete ha avvicinato Evola a posizioni di razzismo biologico, citando articoli a supporto della sua tesi, dovrebbe chiedersi per quale motivi Evola abbia scritto decine e decine di saggi e articoli negli anni Trenta e Quaranta in cui prendeva nettamente le distanze dal razzismo nazista. E per quale motivo sia stato guardato con diffidenza da molti degli ambienti vicini al nazionalsocialismo. Per poi non parlare della sua profonda eterodossia rispetto agli ambienti razzisti italiani, ben documentata da Marco Rossi nel suo Esoterismo e razzismo spirituale (Name, Genova 2009), testo che potrebbe serbare numerose sorprese a chi vive di luoghi comuni. Costoro dovrebbero sinceramente chiedersi se la loro interpretazione sia più giusta di quella di Evola stesso. Tra i molti scritti citabili, ricordiamo almeno quelli raccolti in Rassegna Italiana (1933-1952) (Fondazione Evola-Pagine editrice, Roma 2012) in cui Gian Franco Lami, curatore del volume, chiarisce magistralmente per quali ragioni il razzismo spiritualista di Evola, in linea con l’antropologia classica, sia una realtà teorica che si diversifica in modo chiaro dal razzismo biologista. Ed è anche il caso di notare che l’articolo cui l’anonimo commentatore rinvia, a sostegno della sua tesi, è stato ospitato sulla rivista on-line fondata dallo stesso Lami! Il che dovrebbe provare una volta per tutte da quale parte stiano i settari.

Altra, e non ultima, ragione di scandalo, a destra come a manca, è stata vista nel fatto che la Fondazione abbia organizzato il Convegno assieme all’Accademia dei Filaleti, espressione di ambienti massonici. Secondo alcuni ciò di fatto comporterebbe l’aver lasciato l’eredità di Evola ai “fratelli”. Pura allucinazione. Durante il Convegno (se i critici all’amatriciana si fossero anche qui degnati di essere presenti, invece di parlare per preconcetti o per sentito dire) nessuno dei relatori ha “interpretato” Evola in chiave massonica, non c’è stata alcuna “appropriazione” o “strumentalizzazione” massonica del suo pensiero: l’unica “eredità” alla quale gli organizzatori pensavano (non difficile capirlo), era quella culturale propria del pensatore tradizionalista. Quell’eredità – la quale, ancora negata da taluni rappresentanti della cultura ufficiale, continua, almeno in certi ambienti residuali, a fare scandalo – è stata, come la pubblicazione degli atti dimostrerà, difesa e sostenuta da tutti gli intervenuti che hanno approfondito singoli aspetti della vastissima produzione intellettuale del filosofo e la sua influenza oggi. Non è casuale che quasi tutti i relatori siano i firmatari dei saggi introduttivi dei libri di Evola pubblicati dalle Edizioni Mediterranee, il cui valore esegetico è internazionalmente riconosciuto. E’, inoltre, davvero curioso che chi si lamenta della contaminazione “massonica” della Fondazione, ospiti per conferenze un editore che ha pubblicato un libro su Evola scritto da un “Gran Maestro”. Si lancia l’allarme (immotivato) in casa d’altri e non si bada a quanto succede a casa propria.

Infine, vale qui ripetere quel che è stato già sostenuto nei precedenti scritti, a quanti ribadiscono, tra gli anonimi commentatori, che gli allarmistici rilievi mossi dal Cassata alla “riabilitazione” accademica di Evola si riferiscono alla mancanza di “scientificità” dei suoi studi in ambito storico-religioso. Non solo la “scientificità” delle opere in questione è stata colta dagli specialisti che hanno partecipato al Convegno (la cui eterogeneità, tanto metodologica quanto ideologica, dovrebbe far riflettere), ma anche da altri insigni studiosi della disciplina, tra gli altri Jean Varenne, Pio Filippani-Ronconi, Seyyed Hossein Nasr, Marcello De Martino e Silvio Vita. La “riabilitazione di Evola” è avvenuta da tempo, ma chi guarda il dito invece che la luna pare non essersene accorto, dimenticando anche che il filosofo fu il primo in Italia a parlare di Tantrismo e a diffondere il pensiero di Arthur Avalon sin dagli anni Venti del Novecento e che opere come La tradizione ermetica anticiparono di gran lunga le intuizioni rivoluzionarie di un Eliade o uno Jung! Sono solo esempi, ovviamente, cui potrebbero aggiungersene molti altri, non difficilmente individuabili nelle opere evoliane, a patto, ovviamente, che sia la buona fede e non la miopia ideologica a orientare i ricercatori.

Un’ultima postilla all’anonimo difensore del dottor Cassata: il dibattito sul Convegno, come egli ricorda, nasce all’interno della mailing list dell’Associazione Europea di Studi di Storia delle Religioni, nella quale l’Università italiana è ben rappresentata. Gli strali polemici dei dotti docenti europei e dei loro colleghi italiani (firmatari dell’intervento in Rete del Cassata) sono chiaramente indirizzati al relatore italiano (non citato) che ha avuto la coraggiosa impudenza di parlare al Convegno incriminato. Quindi, lungi dall’avere un respiro internazionale, come taluni hanno ventilato, la polemica è tutta italiana e interna alla nostra “Accademia”. A questo punto, che senso ha sostenere, come ricorda il commentatore anonimo, che Cassata non appartiene alla “casta”, ma è un giovane ricercatore, paragonando la sua età a quella del segretario della Fondazione, de Turris? De Turris non è stato mai docente di alcunché e, peraltro, nella sua attività di saggista e giornalista ha ben conosciuto sulla sua pelle, pagando di persona, l’ostracismo di certi potentati accademico-editoriali-mediatici, proprio per essersi occupato di Evola e di altri argomenti controcorrente. Il “baronato” lo conferisce l’età o il potere di cui si dispone in un certo ambito? Suvvia! Quindi, è totalmente estraneo a simili giochi, e il paragone non regge. Per questo, nei precedenti scritti, è stato usato il termine collettivo di “casta” universitaria (si sottintende cattocomunista e marxista tout court) della quale indubbiamente il dottor Cassata fa parte e della quale, nonostante non sia un docente di storia delle religioni, si è prestato a fare da longa manus in nome di una comune ideologia e in difesa di un comune fronte ideologico-accademico. La quale casta, come sta emergendo da altre testimonianze, si dimostra viepiù come barriera e filtro per tutti quegli aspiranti alla docenza che, pur preparati scientificamente, sono respinti con motivazioni extra-scientifiche, per le idee o le propensioni non di sinistra che essi professano. In tal modi si difendono ad oltranza rendite di posizione… Le motivazioni delle varie commissioni di esami sono così impudenti da scriverlo esplicitamente! Si vuol far passare il Cassata per un povero martire, mentre in realtà non è altro che il bardo di una crociata degli accademici storicisti contro gli accademici non-storicisti. Peccato, perché dopo il precedente Convegno dell’11 giugno scorso organizzato a Palazzo Ferrajoli dalla Fondazione, cui aveva partecipato, tra gli altri, anche Diego Fusaro, non certo etichettabile come studioso tradizionalista o di “destra”, qualche timido commento significativo, in merito alla necessità di discutere, anche a “sinistra”, di Evola, lo si era pur registrato, sia pure accompagnato dai soliti luoghi comuni cui si è fatto sin qui riferimento (www.qelsiquotidiano.it, ilconfrontodelleidee.blogspot.com). L’ennesima occasione perduta!

Al di là delle polemiche, come si vede sterili e strumentali, il Convegno ha gettato una pietra nelle acque stagnanti della cultura italiana e dei settari di ogni colore, sia accademici che militanti. Ha mostrato la vitalità intellettuale della proposta evoliana, le cui idee, nonostante i detrattori “bipartisan”, continueranno a circolare in ambienti sempre più vasti, e le cui opere troveranno, d’ora in avanti, ci auguriamo, lettori più attenti e capaci provenienti da ogni formazione ideale e culturale, mossi dal comune anelito a una ricerca libera da censure, conformismi e iper-ideologizzazioni.

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