La preistoria d’Europa e il mito di Atlantide

atlantide 15000 anni fa il suolo europeo era un’immensa lastra di ghiaccio. Ma sulle coste atlantiche una civiltà complessa, una magica forma d’arte fiorivano, lasciando inequivocabili tracce di sé nelle grotte di località disseminate tra la Francia e la Spagna. A Lascoux, a Combarelles, in Dordogna ancora oggi si ammirano gli affreschi risalenti alla cosiddetta cultura “magdaleniana”; e lasciano stupiti per le intuizioni di prospettiva, per la essenzialità del tratto con la quale le figure animali furono fissate per l’eternità. Mandrie di bisonti, sulle pareti di quelle grotte, ancora corrono, ancora fissano con uno sguardo arcano. Tra di loro ogni tanto appare la silhouette di un cervo o di un cavallo. Dovevano essere cacciatori, uomini inossidabili, gli artisti che diedero colore a quelle forme. Alla cultura magdaleniana corrisponde antropologicamente l’Uomo di Cro-Magnon: alto, muscoloso. Cacciatore primordiale, abituato a combattere tra i ghiacci della preistoria europea. Infatti, quando il clima divenne più mite paradossalmente anche la sua cultura si estinse. La civiltà dell’uomo dei ghiacci, apparsa sulle coste atlantiche nord-occidentali, sembrò sciogliersi insieme alla glaciazione. Ma forse furono i suoi eredi, quelli che a distanza di cinquemila anni, innalzarono sempre nell’Europa Nord-Occidentale poderosi blocchi megalitici. Imprimendo adesso il proprio genio nella pietra squadrata, così come gli antenati l’avevano impressa nel colore e nelle forme tratteggiate.

Paolo Marini, ricercatore dell’Istituto di Fisica Nucleare di Frascati, ed anche appassionato cultore dell’alta antichità ricostruisce questo affascinante scenario, in un libro edito da Mursia e intitolato Atlantide. Ma perché mescolare i fantasmi della classica isola-che-non-c’è, con le ricerche di una disciplina che necessariamente deve aggrapparsi a prove tangibili, resti materiali analizzabili?

Marini anticipa l’obiezione, seguendo nel suo libro un doppio percorso. Uno è quello strettamente legato ai dati archeologici. L’altro vola invece nel regno astrale della immaginazione dei popoli, della leggenda imperitura. L’autore mostra come i due sentieri, così diversi, procedano in parallelo, talora con una “sincronia” sconcertante. Resta al lettore concludere – in base alla propria forma mentis e agli altri dati di cui è a conoscenza – se le due rette alla fine si intreccino in un nodo stringente.

thuleMa partiamo dai dati positivi: sul finire della preistoria sulle sponde occidentali dell’Europa si manifesta una cultura che conosce l’agricoltura, la pulitura della pietra, le tecniche della ceramica. Una cultura che è capace di smuovere enormi blocchi e di organizzarli in complessi sistemi megalitici. L’area geografica della civiltà megalitica va dall’Irlanda alla Britannia, dalla Francia alla penisola iberica, lambisce anche la Sardegna e Malta. Geograficamente questa civiltà Europea-Occidentale è anteriore a quella degli egizi e a quella dei sumeri. L’ipotesi dell’Ex Oriente Lux, della trasmissione degli elementi fondamentali della civiltà da Oriente verso Occidente perde pregnanza alla luce delle applicazioni del metodo del carbonio-14. Nel 4500, quando le civiltà del Nilo e dell’Eufrate albeggiano, la civiltà megalitica dell’area intorno a Dresda è in piena fioritura. Tipiche di questa civiltà sono i Dolmen – celle sepolcrali, talora orientate in direzione della luce sorgente al solstizio d’inverno – e i Menhir, grandi blocchi verticali, che col passare del tempo tendono ad assumere elementi antropomorfi. Mentre queste forme architettoniche appaiono il livello del mare continua a salire e le terre costiere continuano ad inabissarsi per effetto dell’aumento della temperatura: per questo oggi troviamo menhir conficcati sotto il fondale oceanico e file di menhir che malinconicamente “si tuffano” nell’oceano.

Gli effetti fondamentali della fine della glaciazione sono infatti tre: i ghiacci si ritirano verso Nord, a Sud il Sahara da luogo verdeggiante diventa arido e desertico, e sulla costa atlantica le terre gradualmente, inesorabilmente sprofondano sotto il livello del mare. È un destino questo che caratterizza anche la storia geologica del continente americano: le coste orientali dell’America arretrano dopo la glaciazione di oltre un centinaio di chilometri.

Terre sommerse agli albori della storia mondiale. Popoli civilizzati che dalla regione atlantica si spostano più a Est. Qui davvero il passato archeologico sfiora il passato leggendario. Platone parlò di un’isola sacra a Poseidon posta al centro dell’oceano che fu sommersa dai mari, la cui capitale aveva sei cerchi concentrici (è lo stesso modello del complesso megalitico di Stonehenge). La leggenda di Atlantide è condivisa dai Celti, dai Vikinghi, dai Berberi del Nord Africa, che ricordavano il bellicoso regno oceanico di “Attala”. Ed enigmaticamente si ritrova tra gli Aztechi, che ricordavano di provenire dall’Aztlan, posto al centro dell’oceano atlantico. Di questa Atlantide non si è mai trovata traccia tangibile, al di fuori dei ricordi del Mito. Ma l’archeologia ci restituisce oggi un destino preistorico di terre sommerse e di migrazioni di popoli.

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