La strada del ritorno. Labyrinth (1986) di Jim Henson

Il tema della ricerca è frequentemente utilizzato nel genere fantasy, sia letterario che cinematografico, con risultati alterni. Non è infatti semplice sviluppare in modo interessante e profondo un viaggio, spesso finalizzato alla ricerca di un particolare oggetto dai poteri speciali, che coincida con il percorso iniziatico del protagonista.

Uno dei modelli del cammino alla scoperta del Sè è quello che accosta il mondo “reale” (inteso come quotidiano) a uno “fantastico” (inteso non come “irreale”, in quanto la realtà può essere soggettiva, ma piuttosto alternativo a essa). In campo letterario, gli esempî più conosciuti di questo modello sono indubbiamente Il Mago di Oz di L. Baum e Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll: in entrambi la protagonista attraversa una serie di riti di passaggio, scoprendo sè stessa e alcune verità del cammino esistenziale tramite il mondo fantastico nel quale viene temporaneamente a trovarsi. È dunque evidente la similitudine fra questi classici della letteratura fantastica e la trama di Labyrinth, a essi chiaramente ispirato, che sviluppa e arricchisce temi analoghi.

Lo scopo di Sarah, ragazza in bilico fra infanzia e adolescenza, è quello di attraversare il Labirinto per ritrovare il fratellino rapito da Jareth, Re dei Goblin; un’ardua impresa, dato che il Labirinto è un regno in continua trasformazione, colmo di sorprese, e la coraggiosa ragazza dovrà superare non poche prove. Raggiungere il centro del Labirinto significherà anche conquistare una nuova consapevolezza di sè stessa.

Il labirinto è un simbolo universale, particolarmente complesso e dai molteplici significati, che ben si presta a questa interpretazione: “il simbolismo del labirinto è variamente interpretato come il ritorno al Centro (…), il conseguimento della comprensione dopo prove di crescente difficoltà (…), il viaggio della vita attraverso le difficoltà e le illusioni del mondo”.

Il complicato percorso del Labirinto, dove “non tutto è come sembra”, è difatti in perenne mutamento, proprio come la vita. All’inizio (nell’infanzia) il cammino è apparentemente diretto, semplice e privo di curve, anche se in realtà pieno di passaggî e aperture visibili soltanto a uno stadio successivo: per scoprirne i segreti è necessario crescere, con occhi (e mente) aperti, evitando di dare alcunché per scontato. Il viaggio di Sarah è dunque all’insegna dell’apprendimento, per essere in grado di vedere.

Il percorso della crescita e della conoscenza non è ovviamente indenne da profondi mutamenti interiori. Nella sala da ballo all’interno della sfera, Sarah si trova faccia a faccia con le proprie nascenti pulsioni sessuali: le inquietanti visioni che la circondano sono il riflesso dei suoi desiderî, di sogni romantici distorti da timori e dubbî.

Davanti a ogni ostacolo Sarah grida sempre “non è giusto!”, ma capirà che talvolta giusto e sbagliato possono essere punti di vista. Imparerà a fare delle scelte e pagarne le conseguenze (cercando di risolvere il quesito delle porte che conducono alla segreta), oppure a perdere una cosa per ottenerne un’altra (cedendo i gioielli a Hoggle in cambio del suo aiuto). Scoprirà l’importanza e il potere delle parole e la capacità di non farsi influenzare dal volere degli altri: sarà infatti in grado di sconfiggere Jareth solo ricordando (e comprendendo) la frase letta in un libro che fino ad allora non era mai riuscita a memorizzare: “Tu non hai alcun potere su di me”.

Come Alice e Dorothy, anche Sarah conosce lungo il viaggio un incredibile gruppo di personaggî, veri e proprî echi del mondo “reale”. Nella sua camera si trovano diversi volumi (fra cui i romanzi citati di Baum e Carroll), peluches, oggetti e immagini sulla cui base si fonda ciò che ella troverà lungo il cammino.

Molte delle creature che Sarah incontra sono rappresentazioni metaforiche di modelli comportamentali: i Fireys, le eccentriche creature capaci di staccarsi gli arti a piacere, sono coloro che prendono la vita alla leggera, spassandosela senza accettarne i lati serî e impegnativi, a volte gravi, e illudendosi così di evitarli; Hoggle è uno di quelli che ingannano gli altri e se stessi, finendo per conformarsi e perdere il coraggio individuale; le Porte sono coloro che vogliono far credere una cosa per un’altra. Jareth, fatuo e fondamentalmente privo di carattere, domina grazie all’uso di menzogne e raggiri, conservando la sua posizione solo con la forza di altri inganni e illusioni.

Talvolta dalle illusioni ci si lascia irretire: l’incontro con la vecchia curva sotto il peso degli oggetti accumulati nel passato, la quale tenta di fare della ragazza una sua simile, porta Sarah a rigettare tutto ciò che fino a poco prima aveva amato (giocattoli, ricordi, sogni…). Ella arriva a pensare che crescere significhi rompere ogni legame con il proprio passato, ma scoprirà che si diventa vittime del rimpianto solo perdendosi in esso, senza guardare contemporaneamente avanti e indietro. “A volte la strada dell’’andata è la strada del ritorno”: una rivelazione fondamentale, offerta in modo un po’ confuso dal saggio con l’uccello copricapo. Eppure non sempre le verità della vita vengono rivelate con chiarezza da persone apparentemente affidabili: è un motivo classico, “l’incontro con personaggî simbolicamente detti pazzi, le cui assurdità apparenti celano, aldilà delle ristrettezze empiriche della razionalità, un’autentica saggezza”.

Jareth è inoltre un simbolo del Male e, per essere efficace, il Male non usa la coercizione ma la tentazione. Egli dunque seduce Sarah, le offre ciò che desidera e obbedisce ai suoi comandi, cercando contemporanemente di raggiungere il proprio scopo: farla sua diventando parte di lei. Soltanto così potrà possederla. L’offerta del Re dei Goblin è volutamente ambigua: “Dovrai solo fare ciò che ti chiedo e sarò il tuo schiavo”. Infatti non si può sfruttare e utilizzare il Male a proprio piacimento senza pagarne prima o poi le conseguenze.

Sarah rinuncia all’offerta corruttrice, rifiutando di abbandonare il fratellino (simbolo d’innocenza) e le creature che le sono diventate amiche (l’innocenza da conservare in sè). È questo il messaggio del film, semplice ma potente: confrontarsi con le amarezze e le ambiguità della crescita è inevitabile, ma per riuscirvi non si è costretti ad abbandonare il passato. Bisogna piuttosto imparare ad accettare e sviluppare la crescita interiore senza rinnegare l’innocenza originaria, altrimenti si rischia la degenerazione dell’anima. Dopotutto, Labyrinth è una fiaba moderna e “le favole insegnano che le difficoltà della vita esistono, non possiamo negarcele, e vince solo chi le affronta e non le fugge. Esse ci suggeriscono che molto spesso queste difficoltà provengono da noi stessi, dalle nostre idee preconcette e dal non saperne riconoscere il limite”.

Tornare indietro per andar avanti, dunque, accettando la presenza (negli angoli dello specchio e di se stessi) dei vecchî amici (fantasia, sogni, speranze) pronti a “tornare nel momento del bisogno”. Spesso, al momento di compiere una scelta, Sarah guarda in uno specchio: quando evoca inizialmente i folletti, quando rigetta il proprio passato, quando si risveglia dalla confusione emotiva e distrugge la sala da ballo e, infine, quando raggiunge la comprensione al termine del viaggio, in camera sua.

Guardare nello specchio (in sè stessi) è in certi momenti l’unico modo per trovare le risposte. E quindi attraversare lo specchio e proseguire alla scoperta del fantastico mondo alternativo, verso altre rivelazioni. Proprio come Alice.

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Da Algiza 11 (1998), pp. 17-19.

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