Come tutti ben sanno, eccetto forse il ministro Franceschini, la cultura in Italia non se la passa per niente bene, e mi riferisco a quella letteraria, a quella de libri, delle riviste, delle biblioteche, delle case editrici, a tutto quanto si diffonde su un – ahimè – “supporto cartaceo”.
Si dice che i grandi festival letterari, filosofici, storici et similia attraggano moltissime persone, soprattutto giovani, ma non se ne vedono poi le positive ricadute nelle librerie e nelle edicole. Intanto però la neo sindachessa pentastellata di Torino sembra abbia manifestato l’intenzione di chiudere il Salone Internazionale del Libro perché costa troppo… Non sarà invece che il motivo profondo di questa endemica crisi non siano affatto i prezzi dei libri troppo alti, non sia tanto la concorrenza della Rete e del libro elettronico, non sia la disaffezione alla lettura delle generazioni nate a cavallo dei due secoli, ma si debba invece rintracciare in uno del tutto inconfessabile? E cioè che la cultura italiana – festival e premi, pagine culturali dei quotidiani e le rare trasmissioni tv – non sia ormai altro che una vera e propria “partita di giro” dove parlano e ascoltano soltanto gli amici degli amici? I compagnucci della parrocchietta riciclatisi negli anni, che hanno dato spazio a nipoti e sodali, che affrontano sempre gli stessi argomenti, temi, idee, personaggi da mezzo secolo a questa parte? Sicché letto o sentito uno si sono letti e sentiti tutti?
Sta di fatto che la nostra cultura sta agonizzando, pur se non vuole ammetterlo, perché ha la terribile paura di imboccare strade, nuove o vecchie che siano, ma anticonformiste, controcorrente, indagando territori inesplorati spesso per astratti motivi ideologici o per la sindrome del politicamente corretto…
Ora cinque anni fa un giovane e incosciente editore, Tommaso Piccone della Bietti, rilevò o meglio adottò la pubblicazione amatoriale di alcuni universitari e laureandi guidati da Andrea Scarabelli che gravavano intorno alla cattedra di Storia della Filosofia del professor Davide Bigalli presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Milano. Il periodico che circolava nell’ateneo si chiamava Antarès (con l’accento chissà perché) ed aveva come sottotitolo Prospettive antimoderne.
Ah, i soliti giovani reazionari fuori dal tempo, dirà qualche vecchio intellettuale rimbambito. Anzi, i soliti giovani fascisti dirà qualche praticante di “centri sociali” spalleggiato dai soluti giornalisti falliti autonominatisi “progressisti”. Nessuno di costoro ha capito un accidente di quanto succede loro intorno, fossilizzati come sono in schemi sorpassati. Il progresso tecnologico ci galoppa sotto il naso, ma non tutti pensano che sia il Bene Assoluto, per fortuna. Ora il bello della questione è che il giovane editore, ancor più giovane di cinque anni nel 2011, ebbe l’idea di portare la testata dall’ambito solo universitario verso più ampi orizzonti e ambizioni trasformandola in una vera e propria rivista: sicché fece stampare Antarès a 60/80 pagine illustrata in bianco e nero (da Alessandro Colombo e Marzia Parini) e la copertina a colori e la distribuì nelle maggiori librerie non in vendita ma offrendola gratis al pubblico… Non un foglio pubblicitario, ma una vera, corposa, densa rivista letteraria a tema.
Una lucida follia che però alla lunga ha pagato in termini di cultura ma anche di… collezionismo. Infatti i primi fascicoli di Antares, specie il “numero zero”, sono ricercati dagli amatori e pagati a carissimo prezzo, anche se, è bene ricordarlo, la rivista può essere scaricata sempre gratuitamente da antares@edizionibietti.com. Pur essendo un paese di assatanati nativi digitali, c’è ancora chi ama la carta, il libro e la rivista sul terribile “supporto cartaceo”.
E proprio per questo motivo la Bietti, giunta al traguardo dei cinque anni, ha avuto l’ottima pensata di riunire tutti i fascicoli usciti dal 2011 al 2016 e riunirli con adeguata copertina “esoterica” (riproduce l’Archeomètre di Saint-Yves d’Alveydre…) in un volume-mammouth di 730 pagine e metterlo in vendita in una tiratura numerata da amatori al prezzo, decisamente modico, di 29 euri, ordinabile all’indirizzo in precedenza ricordato.
Dieci fascicoli, dunque, dal n.0 al n.9: oltre 250 articoli e racconti, di più di 150 autori che si occupano di personaggi e argomenti decisamente controcorrente, il che non vuol dire stravaganti o per pochi eletti ma semplicemente che sono non conformi al Pensiero Unico dominante e presentati da un punto di vista altrettanto non conforme, cioè il sottile filo rosso della antimodernità.
Basti pensare che i fascicoli di maggior successo sono stati quelli dedicati ad argomenti di letteratura fantastica: dai due grandi demiurghi del genere, H.P.Lovecraft (il numero zero esauritissimo e il n.8) e J.R.R.Tolkien, i padri della Mitologia di Cthulhu e della Terra di Mezzo che hanno uno stuolo di seguaci ma che erano… antimoderni, nonostante il gioco delle tre carte di qualche intelligentone che vorrebbe convincerci del contrario. Non sono mancati numeri monografici ampi e approfonditi sulla Modernità occulta, sui Miti della fantascienza, su Walt Disney, i suoi fumetti, cartoni animati, idee e progetti, sul Paradosso romeno dedicato a Eliade, Ciioran ed altri scrittori meno noti ma non per questo meno significativi. Ma non ci si è limitati soltanto alla cultura dal punto di vista “letterario” ma anche ad un esame politico, economico, sociale ed esistenziale affrontando il caso dell’impero USA (America! America?), gli economisti eretici e la sovranità monetaria (L’altra faccia della moneta), la filosofia del camminare contrapposto al correre (Il pensiero in cammino) e la critica metafisica del nostro tempo (Un’altra modernità).
Un lavoro vario, complesso, originale e intelligente che ha gettato una pietra nella morta gora della nostra cultura ed editoria che continua a guardarsi l’ombelico e ad essere dilaniata dal conflitto fascismo/antfascismo che blocca ogni ricerca di novità. Un risultato, quello di Antarès, che ha anche dato un certo fastidio a chi riteneva che questo fosse il tempo del Pensiero Unico. Importante è che sulle pagine della rivista, 730, abbiano trovato spazio autori noti ed esordienti, di diverse generazioni e orientamenti, da Giulio Giorello a Franco Cardini, da Giorgio Galli a Quirino Principe, da Marcello Veneziani a Costanzo Preve, da Liviu Bordas a Andrj Plesu, ma anche Luca Gallesi, Giuseppe Lippi, Stenio Solinas e altri ancora. Senza dimenticare che oltre a importanti inediti (Eliade, Lovecraft, Cioran) Antarès ha dato anche spazio alla narrativa inedita ospitando in ogni fascicolo tre o quattro racconti, appositamente scritti, che si ispirano al tema di quel numero.
In attesa ora di leggere gli Antarès dedicati a Charles Bukowski e a Jorge Luis Borges. Tutti antimoderni? Certo, amici miei che ancora vi torcete le budella sul fatto che essere antimoderni e parlare di mito vuol dire essere… “fascisti”!… Ma sì, proprio così.
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