Le due crociere della nave corsara Möwe (dicembre 1915 – marzo 1917)

 

Il Möwe

Prima crociera (dicembre 1915 – marzo 1916).

Nel corso del 1915, dopo che gli improvvisati incrociatori corsari tedeschi operanti nelle acque extra-europee sono stati tutti eliminati dalla marina britannica, l’Ammiragliato di Berlino decide di riprendere le operazioni contro i commerci dell’Intesa, armando e lanciando sulle rotte oceaniche delle nuove unità, adibite espressamente alla guerra di corsa.

Il conte Nikolaus Burggraf und Graf zu Dohna Schlodien, ufficiale di rotta sulla corazzata Posen, all’inizio di settembre riceve l’incarico di equipaggiare all’uopo una nave, da scegliere secondo il criterio della massima capacità operativa, non solo per attaccare il naviglio mercantile nemico, ma anche per la posa di banchi di mine, sull’esempio di quanto ha fatto il Meteor del capitano von Knorr, davanti al Firth of Forth. Queste vicende sono state da lui stesso narrate nel suo libro di memorie «Möwe», l’ultimo corsaro della Grande Guerra (traduzione italiana di Pfützer-Colombi, Omero Marangoni Editore, Milano, 1932), che costituisce una importante fonte storica.

Fino a quel momento la Germania ha adibito ad incrociatori ausiliari prevalentemente dei piroscafi, capaci di sviluppare alte velocità ma troppo visibili e abbisognanti di enormi quantità di combustibile. Dohna decide di scegliere una nave da carico adibita al trasporto delle banane dal Camerun, il Pungo, all’epoca attraccata ad Amburgo, dotata di una velocità di soli 14 nodi, ma che dispone di un buon impianto frigorifero per stiparvi grandi scorte di vettovaglie, dato che dovrà operare per molti mesi senza poter contare su alcun porto amico; di un ampio carbonile e di alloggi per l’equipaggio sufficientemente comodi. Si tratta di un vapore di 9.800 tonnellate, lungo 123 metri, largo 14 e con un pescaggio di 7 metri. Nonostante alcune difficoltà burocratiche, la nave viene trasferita a Wilhelmshaven e messa in cantiere per una serie di lavori di adattamento alle sue nuove funzioni di unità militare. Tra l’altro, vengono installati a prua quattro cannoni a tiro rapido da 150 mm., a poppa un pezzo da 105 mm. anch’esso a tiro rapido; indi la nave, ribattezzata Möwe (= gabbiano), viene portata nel Mar Baltico per compiere una serie di esercitazioni con il suo nuovo equipaggio della marina da guerra, composto da 150 uomini.

Il 26 dicembre il Möwe leva gli ormeggi da Kiel, traversa il Canale ed entra nel Mare del Nord; il giorno dopo si ancora nel Suderpip, presso il delta dell’Elba, dove – sotto le raffiche di pioggia e vento – l’equipaggio la rivernicia di nero, completando così la sua trasformazione per mascherarla agli occhi del nemico. Nel primo mattino del 29 essa toglie l’ancora e discende l’Elba, poi supera il faro di Amrum e prende il largo, iniziando la sua prima crociera.

I corsari del Kaiser
I corsari del Kaiser

Solo allora gli uomini vengono messi al corrente, in linea di massima, della missione loro affidata. Si tratta di deporre circa 500 mine davanti ad obiettivi strategici della costa nemica, indi compiere alcune scorrerie ai danni del traffico mercantile dell’Intesa, godendo della massima libertà d’azione. Il morale è alto, nonostante la consapevolezza dei rischi e la certezza dei disagi non indifferenti di una lunga crociera di guerra senza scalo. La giornata del 31 e la notte di San Silvestro vedono la nave obbligata a bordeggiare in prossimità della costa nemica, per evitare una tempesta in arrivo. Del resto, proprio le pessime condizioni meteorologiche giocano a favore della possibilità di forzare il blocco inglese, consentendo alla nave corsara di passare inosservata.

Nel primo pomeriggio del Capodanno, il Möwe inizia a posare un banco di mine fra la Scozia e le Isole Orcadi, luogo di passaggio abituale della flotta inglese, quando si reca in crociera nel Mare del Nord. Le operazioni sono ostacolate da un forte vento (intensità 10-12) e dai marosi che, al termine della posa, sfondano la coperta anteriore, costringendo la nave a ridurre sensibilmente la velocità per non imbarcare troppa acqua.

Nei giorni successivi la nave tedesca, portandosi circa a metà strada fra l’estremità settentrionale della Scozia e l’Islanda, passa nell’aperto Oceano Atlantico, indi scende a sud-ovest e penetra nel Golfo di Guascogna, ove depone le 250 mine rimanenti davanti ai porti francesi, fra la foce della Loira e quella della Gironda, il 10 gennaio. Fino a questo momento non ha fatto incontri pericolosi, né ha compiuto alcuna azione contro le navi alleate al largo della Manica, per non destare l’allarme in anticipo e compromettere la posa delle mine sulla rotta di Bordeaux. È in questo momento che l’equipaggio riceve, via radio, la notizia del suo primo successo: la corazzata inglese King Edward, di 15.000 tonnellate, è incappata in una delle mine deposte dalla nave corsara al largo della Scozia, ed è affondata. La crociera in Atlantico inizia, pertanto, sotto i migliori auspici. Adesso il capitano Dohna, liberatosi del suo pericoloso ed ingombrante carico di mine, può dedicarsi liberamente alla seconda parte della sua missione: la guerra di corsa contro il naviglio dell’Intesa. La sua prima cattura, il giorno 11 gennaio, è un colpo particolarmente fortunato, perché consiste in un colpo doppio: il mercantile inglese Farringford, che viene colato a picco dopo il trasbordo del suo equipaggio; e il vapore Corbridge, diretto in Brasile con 4.000 tonnellate di ottimo carbone Cardiff, che riceve un equipaggio da presa e viene aggregato alla crociera della nave tedesca.

Lasciate le acque dell’Europa, il Möwe dirige la prua a sud-ovest, oltrepassa le Canarie e traversa il medio Atlantico, arrivando a fine gennaio davanti alle coste del Brasile, non lontano da Fortaleza. In quelle prime tre settimane di guerra corsara gli si offre l’occasione di affondare numerosi piroscafi alleati: il Dromonby (3.600 tonnellate), l’Author (3.500), il Trader (3.700), l’Ariadne (3.000), l’Appam (7.800). Quest’ultimo, un transatlantico con 148 uomini di equipaggio e 160 passeggeri fra civili e militari, non viene colato a picco, ma utilizzato come nave scorta; i Tedeschi vi scoprono con sorpresa, in un secondo momento, 16 casse d’oro provenienti dalle miniere sudafricane e dirette a Londra.

affondamento-tripoliIl primo combattimento ha luogo con il mercantile armato Clan Mac Tavish (5.800 tonnellate) che, pur disponendo di un solo cannone a tiro rapido da 57 mm., ha cercato di opporsi alla cattura, subendo la perdita di una ventina di uomini. Prima di finire in fondo al mare, la nave inglese ha fatto in tempo a lanciare dei disperati messaggi radio, cosa che induce il capitano Dohna ad allontanarsi in fretta e a distaccare l’Appam, carica degli equipaggi nemici prigionieri (più di 400 persone) verso un porto degli Stati Uniti, in cui farsi internare.

Dopo aver affondato anche il veliero Edinburg (1.400 t.), il Möwe entra silenziosamente nel delta del Rio delle Amazzoni e, ricongiuntosi il 28 gennaio al Corbridge, che aveva adibito a nave carboniera, effettua l’indispensabile rifornimento di combustibile. Ripreso il mare, il 4 febbraio il corsaro fa una nuova preda, il belga Luxemburg (4.300 t.), che trasporta 5.900 tonnellate di carbone e che viene immediatamente affondato. Poi, al largo dell’isola Fernando de Noronha, è la volta del mercantile inglese Flamenco, che tenta di lanciare l’allarme via radio.

Il conte Donha ha così rievocato l’episodio (Op. cit., pp. 89-90):

Da un telegramma non cifrato, emesso dal carico inglese Flamenco, risulta che questi deve passare durante la notte a circa 50 miglia all’Ovest di Fernando di Noronha. All’alba mi trovo anch’io in quei paraggi e lo incrocio senz’altro. Il capitano della nave inglese cerca ancora di lanciare un richiamo di soccorso colla radio, ma noi arriviamo in tempo a turbare la sua comunicazione e a distruggere il suo apparecchio radio con qualche obice da 150 mm. bene aggiustato. Disgraziatamente i nostri proiettili ottengono anche il risultato inatteso di incendiare la nave, che si mette a bruciare come una torcia, e l’equipaggio deve calare subito le scialuppe per salvarsi. Nell’emozione generale, una di queste, assai affollata, si capovolge e una ventina di uomini viene proiettata in acqua. Bisogna stare molto attenti in questa zona infestata da pescicani e ci mettiamo subito al loro salvataggio: alla fine possiamo ritenerci soddisfatti perché riusciamo a riportarli tutti a bordo tranne uno. Le ricerche continuano per vedere di salvare anche quest’ultimo disgraziato ma evidentemente un pescecane più vorace degli altri deve averlo ghermito…

Dopo aver modificato ancora una volta le sue caratteristiche esteriori in seguito all’incontro con la nave norvegese Estrella – che viene lasciata andare in quanto neutrale, ma che, dotata di un apparecchio radio, costituisce una fonte di pericolo, la nave tedesca cattura ancora la nave carboniera Westburne (3.300 t.) e, subito dopo, il mercantile Horace (anch’esso di 3.300 t.); il primo viene utilizzato per spedire i numerosi prigionieri verso un porto neutrale. Dopo essere risalito a nord-est per riattraversare l’Atlantico, oltrepassate le Azzorre il Möwe cattura la nave francese Maroni (3.000 t.), diretto da Bordeaux a New York, colandola a picco; e, il 25 febbraio, fa la sua ultima preda: il Saxon Prince, che trasporta in Inghilterra 4.000 tonnellate di cotone, grano e acciaio.

Per forzare il blocco inglese, il capitano Dohna aveva pensato inizialmente di entrare nel Canale di Danimarca, girando a nord dell’Islanda; ma il cattivo stato delle due caldaie, molto logorate, lo costringe ad abbreviare la rotta e a ridurre per qualche giorno la velocità a soli 8 nodi. Recuperata, il 29 gennaio, la velocità massima di circa 15 nodi, il corsaro giunge in prossimità della costa norvegese nella notte dal 1° al 2 marzo, passando in mezzo alle maglie della sorveglianza nemica, grazie alla luna nuova e al mare molto agitato. Il 3 marzo penetra nello Skagerrak e il giorno dopo entra nella baia di Helgoland, accolto trionfalmente dalla squadra di incrociatori da battaglia dell’ammiraglio von Hipper.

Seconda crociera (novembre 1916 – marzo 1917).

Per alcuni mesi la nave rimane in Germania, per subire lavori di riparazione e per concedere un periodo di riposo agli ufficiali e all’equipaggio, ciascun membro del quale ha ricevuto la croce di ferro di seconda classe quale riconoscimento della brillante impresa compiuta. In quel periodo il Möwe viene ribattezzato Vineta, per confondere le spie nemiche; e, nel corso di alcune sortite nel Mare del Nord, al largo della Norvegia, cattura il mercantile inglese Escimo, al limite delle acque territoriali. L’equipaggio tedesco venne portato da 150 a 250 uomini e sottoposto a un nuovo periodo di esercitazioni.

primna-guerra-mondialeL’occasione di salpare viene con la luna nuova di novembre, il giorno 22, quando le condizioni sono più favorevoli per eludere il blocco inglese. Questa seconda missione dovrebbe ricalcare, sostanzialmente, l’itinerario della prima; di fatto, sarà più lunga di circa un mese, perché la nave si spingerà più a sud nell’Atlantico meridionale, fino quasi alla latitudine del Capo di Buona Speranza; ma senza passare nell’Oceano Indiano. In compenso, questa volta non deve deporre banchi di mine, ma soltanto dedicarsi alla guerra di corsa. Ribattezzato col suo vecchio nome e affidato sempre al capitano Dohna, il Möwe riattraversa il Kattegat e lo Skagerrak, costeggia la Norvegia; poi, compiendo un ampio giro attorno alle Isole Faer Oer, si porta a sud dell’Islanda e inizia la discesa verso le medie latitudini, puntando sempre a sud-ovest.

Il 2 dicembre, la prima preda: la nave inglese Voltaire (5.500 t.), diretta a Buenos Aires, che viene affondata subito dopo il trasbordo dell’equipaggio. Quindi, giunta sulla rotta fra Londra e New York, la nave tedesca mette a segno una serie di colpi fortunati: cadono in suo potere il Mount Temple (9.800 t.), il 6 dicembre, poi, in rapida successione, il minuscolo tre alberi Duchesse of Cornwall, e altri due mercantili, il King George e il Cambrian Range, l’8 dicembre: tre prede in un solo giorno.

Il 10 dicembre è la volta del vapore Georgic (oltre 10.000 t.), che trasporta, fra l’altro, 1.200 cavalli destinati all’artiglieria inglese sul fronte occidentale, e 36 automobili blindate. Commovente la sorte dei poveri animali, allorché la nave viene colata a picco, così come traspare dalle parole del mastro meccanico Wagner (Op. cit., p.p. 140-141):

Alle 10 la distruzione del vapore è ultimata. La nostre scialuppe non sono ancora giunte a 200 m. dalla nave nemica che le due cariche esplodono quasi simultaneamente. Una era stata posta fra il terzo e il quarto albero, l’altra circa all’altezza delle caldaie. Come già era successo per il Cambrian Range alte colonne d’acqua si elevano lungo i fianchi della nave e precipitano sul ponte. Queste ottengono l’effetto di allagare gli scompartimenti , mentre le onde incominciano ad invadere la coperta, che appare arrossata per il sangue dei cavalli uccisi dall’esplosione. Aspettammo per due ore che la nave sparisse dalla superficie ma alla fine ci convincemmo che, se non l’avessimo aiutata, la sua completa distruzione si sarebbe fatta attendere ancora per molto. Il nostro comandante decise di inviarle un siluro. Quando quest’ordine fu conosciuto a bordo tutti si precipitarono in coperta per poter assistere allo spettacolo che si annunciava interessante. Condotta la nostra nave in una posizione favorevole il siluro venne lanciato, cadde in acqua e si diresse verso il bersaglio, lasciando una tenute traccia di bolle d’aria. Era la prima volta che molti di noi potevano osservare il lancio di un siluro, ed eravamo ansiosi di controllarne il micidiale effetto. Passarono alcuni istanti e poi una formidabile esplosione e un’altissima colonna d’acqua, mista a fumo, si elevò nell’aria, e, giunta al suoi punto massimo, si riversò disordinatamente in tutti i sensi.. Purtroppo ci vollero ancora tre ore prima che la nave si decidesse ad affondare. Alla fine, verso le 15, si coricò completamente sull’acqua e sparve. Fu orribile spettacolo osservare la tragica lotta sostenuta da molti cavalli contro la morte. Questi erano alloggiati nei ponti superiori e quando l’acqua giunse fino a loro ruppero le catene, che li tenevano legati e si precipitarono in acqua. Un cavallo fece per tre volte il giro a nuoto attorno ala nave, che affondava, cercando invano un appiglio, al quale attaccarsi, prima di lasciarsi andare a fondo, senza forze. Un altro venne a nuoto fino da noi per implorare di salvarlo. Io non dimenticherò mai lo sguardi disperato che ci rivolse. Con tre colpi di pistola, bene aggiustati, affrettammo la sua fine.

I prigionieri a bordo del Möwe sono già complessivamente quasi 450; per cui, quando viene catturato il mercantile Yarrowdale, che trasporta materiale bellico, una parte di essi viene trasferita a bordo con un piccolo equipaggio da presa e spedita non verso un porto neutrale, ma verso la Germania, in considerazione della preziosità del carico. Dopo una navigazione avventurosa, la nave – affidata al quartier mastro Badewitz – riuscirà a raggiungere il porto di Swinemünde, beffando il blocco navale inglese. Impresa notevolissima, specie se si considera che un equipaggio di appena 15 tedeschi aveva dovuto tenere a bada 460 prigionieri.

Subito dopo è la volta del Saint Théodore che, con le sue 7.000 tonnellate di eccellente carbone, costituisce una preda particolarmente utile. In pochi giorni di crociera fortunatissima, il corsaro ha catturato o affondato otto vapori e un veliero, per un totale di quasi 50.000 tonnellate di stazza, senza contare i carichi, sequestrati o distrutti.

Il 17 dicembre, dopo una breve pausa, cade in potere del tedesco il mercantile Dumatist, carico di frutta e viveri freschi: un altro colpo fortunato. Dopo di che, sia per le persistenti condizioni di cattivo tempo, sia perché l’allarme, ormai, si è ampiamente diffuso fra i nemici, il Möwe abbandona quel terreno di caccia, ormai sfruttato, e scende verso l’Equatore. Il 23 dicembre si rifornisce di carbone dal Saint Théodore, al quale aveva dato appuntamento in un luogo prefissato; poi, anche questa nave viene trasformata in incrociatore ausiliario. Ribattezzata Geier, le viene dato un piccolo equipaggio di 9 sottufficiali e 37 uomini, al comando del tenente di vascello Wolf; l’armamento, ceduto dal Möwe, consiste in 2 cannoni a tiro rapido da 52 mm.

Il giorno di Natale viene catturato e affondato un magnifico veliero francese, il Nantes, che trasporta dal Cile 3.300 tonnellate di salnitro: è un vero peccato mandarlo a picco, perché la nave – una delle ultime del suo genere – è veramente un gioiello, con tutte le vele spiegate e un equipaggio che le manovra con estrema perizia.

la-prima-guerra-mondialeGiunto di nuovo al largo del Brasile, come nel corso della prima crociera, il Möwe cattura un veliero carico di grano argentino e diretto a Bordeaux, l’Asnières; poi un vapore giapponese, l’Hudson Maru, trattenuto come nave scorta; indi il Radnoschire (4.300 t.), e, l’8 gennaio, la nave carbonifera inglese Minieh e il mercantile Netherby Hall. Subito dopo l’Hudson Maru viene spedito a Pernambuco con gli equipaggi delle navi affondate.

Dopo un rendez-vous con il Geier e un nuovo rifornimento di carbone, la nave tedesca si porta sulla rotta del Capo di Buona Speranza, dove si trattiene per un mese esatto, dal 2 gennaio al 2 febbraio 1917, ma senza rinnovare gli spettacolari successi del Nord Atlantico. Risalito fino a Trinidad, il Möwe si incontra nuovamente con il Geier, le cui macchine avariate consigliano di non sfruttarlo oltre, per cui viene autoaffondato. Nella sua breve carriera di corsaro indipendente, non ha catturato che due prede assai modeste, due velieri.

Poi, un nuovo periodo di catture numerose: la carboniera inglese Brecknockshire (8.000 t.), con un carico di 7.000 tonnellate di carbone; e, lo stesso giorno, il mercantile French Prince; poi, ancora, il piccolo vapore Eddie. Sfuggito a un incrociatore inglese, il corsaro si porta in una nuova «riserva di caccia» all’altezza delle isole di Capo Verde, dove cattura e affonda i vapori Catherine (2.900 t.) e Rhodante (3.600 t.).

Ormai la rotta è a nord, per il ritorno in patria. Dopo aver colato a picco la nave inglese Esmeraldes (4.700 t.), con nebbia e pioggia, per la prima volta la nave corsara si trova a dover sostenere un combattimento in pieno regola, al largo di Terranova. Il suo avversario è l’incrociatore ausiliario britannico Otaki, con il quale si svolge un aspro duello di artiglieria. Il Möwe incassa alcuni colpi e a bordo scoppia un incendio; ma la nave inglese, meno armata, ha la peggio e, a sera, cola a picco. Il suo comandante rimane ucciso insieme a 13 uomini dell’equipaggio; altri 73 vengono presi a bordo dai Tedeschi, fra i quali una ventina di feriti, in massima parte gravi.

Il capitano Dohna e i suoi uomini hanno dovuto lottare a lungo contro l’incendio, e un sottufficiale e cinque fuochisti muoiono in seguito alle ustioni riportate; parecchi sono i feriti. Finalmente le fiamme vengono spente e, dopo alcuni giorni di lavoro, la nave è rimessa in efficienza. Le ultime due prede sono il vapore Demerteton (6.000 t.) e il Governor (5.500 t.), entrambi armati; il primo si arrende senza lottare, il secondo tenta di resistere e ne nasce un breve ma sanguinoso combattimento, che termina con la sua distruzione. Drammatiche le fasi dello scontro, che avrebbe potuto terminare in altro modo se gli artiglieri inglesi avessero avuto il tempo di far fuoco con il cannone mascherato da 120 mm., che avevano già puntato contro la nave corsara.

Così rievoca l’episodio il già citato Wagner (Op. cit., pp. 213-214):

Sembra che il nemico non sia armato di cannone perché ha la poppa molto rialzata e proprio nel mezzo di dietro ha un albero per la bandiera. Quando l’avversario si accorge del nostro mutamento di rotta, per avvicinarlo, aumenta rapidamente di velocità, ma ora è troppo tardi perché gli siamo vicini. Il Conte dà l’ordine di fermarsi e tira il consueto colpo di avvertimento. La nave però sembra non se ne dia per inteso e allora noi apriamo immediatamente il fuoco che viene a colpire la nave nemica. Il secondo colpo portato a segno ha un effetto straordinario, che ci sorprende moltissimo. Infatti un obice da 150 millimetri colpisce la soprastruttura di poppa, ne strappa le pareti e fa apparire ai nostri occhi un grazioso cannone da 120 mm. che vi era dissimulato. Due uomini lo avevano già caricato e puntato: senza dubbio questi non si aspettavano che l’ordine di lasciar cadere le mascherature e di aprire il fuoco. Per nostra fortuna siamo riusciti a sventare l’inganno. Uno dei due serventi è buttato in mare mentre l’altro ha una mano completamente asportata. Lo stesso proiettile passa poi attraverso il ponte, butta a mare una scialuppa, perfora una ciminiera e finalmente strappa la parte sinistra della passerella, ferendo gravemente l’ufficiale in seconda e il primo luogotenente, che si trovano in quel luogo. Un altro proiettile penetrato di poppa proprio al di sotto della linea di immersione, attraversa obliquamente la nave ed esce a sinistra, provocando una grossa falla nella chiglia. Altri due proiettili colpiscono al centro, l’uno all’altezza della macchina, l’altro a poppa, ma non ne possiamo scorgere l’effetto.

Con la bellezza di circa 700 prigionieri stipati nella stiva, il Möwe si spinge molto a nord, fin nei pressi della costa meridionale dell’Islanda, indi scende a sud-est e, il 19 marzo, è in vista delle acque territoriali norvegesi, dopo aver forzato il blocco inglese per la quarta volta in soli quindici mesi. Riattraversati gli Stretti danesi, il 21 marzo rientra a Kiel e getta l’ancora, trionfante, dopo una crociera ancor più fruttuosa di quella precedente.

Sono stati catturati o affondati 21 vapori e 5 velieri dell’Intesa, per un totale di quasi 120.000 tonnellate di stazza lorda. Non meno gravi sono stati i danni causati al nemico in termini di perdita di materiali strategici, ritardo nei rifornimenti marittimi e aumento delle tariffe assicurative; senza contare la diminuzione di prestigio per l’insufficiente controllo delle rotte oceaniche, a dispetto del ferreo blocco navale inglese nel Mare del Nord.

sangue-sul-mareLe due crociere del Möwe costituiscono senza dubbio un brillante successo militare, anche se ci sarebbe voluto ben altro per mettere in crisi le comunicazioni fra l’Intesa e i Paesi neutrali d’oltre oceano, soprattutto gli Stati Uniti. A ciò si stavano impegnando gli U-boote i quali, come è noto, giunsero a un passo dal recidere i rifornimenti verso la Gran Bretagna e la Francia, ma diedero occasione all’entrata in guerra degli Stati Uniti poco dopo il rientro della nave corsara, il 6 aprile 1917 (la dichiarazione di guerra fu estesa all’Austria-Ungheria solo il 7 dicembre per le mene degli esuli cechi, Masaryk e Beneš, e di quelli croati, molto ascoltati dal presidente Wilson).

La condotta del capitano Dohna durante le sue due crociere in Atlantico fu umana, per quanto possibile; e, in ogni caso, conforme al diritto di guerra. Le navi neutrali vennero rispettate e gli equipaggi di quelle catturate o affondate vennero trattati secondo le norme internazionali. Nessuno venne abbandonato in mare con le scialuppe: furono tutti presi a bordo e, ove possibile, rimandati in qualche porto neutrale. Quando il Möwe incontrò una resistenza, la sua reazione fu dura, ma proporzionata. Data la barbarie della guerra in se stessa, e paragonata alle carneficine dei fronti terrestri, la condotta della nave corsara fu, se non proprio cavalleresca, quanto meno civile, come gli stessi nemici dovettero riconoscere.

Dal punto di vista strettamente militare, peraltro, fu evidente che l’azione delle navi corsare di superficie avrebbe potuto far sentire il suo peso sulla bilancia della guerra soltanto se fossero state organizzate numerose unità di quel genere, altrimenti si sarebbe trattato – come fu – di exploit isolati e scarsamente significativi. Ad ogni modo, si era trattato di un utile banco di prova per la marina tedesca, che ne trasse numerosi insegnamenti per il futuro. Lo si sarebbe visto nella seconda guerra mondiale, quando una seconda ondata di navi corsare di superficie venne sguinzagliata su tutti e tre gli oceani per attaccare e distruggere – in concomitanza con i «branchi di lupi» sottomarini – il traffico marittimo dell’Impero britannico e, poi, degli Stati Uniti d’America.

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Tratto, col gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

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