Napoli ’44

Norman Lewis, Napoli ‘44 “Entrato a Napoli nel 1943 con la Quinta Armata, il giovane ufficiale inglese Norman Lewis si trovò stupefatto al centro della città delle signorine e degli sciuscià, scena mobile della prostituzione universale, oltre che di un’arte consumata dell’inventarsi la vita dal nulla. Come non bastasse, fu subito adibito a funzioni di polizia, quindi costretto a constatare ogni giorno le turbolenze, i fantasiosi maneggi e gli imbrogli che si celavano tra vicoli e marina. E capì subito che, di quanto gli accadeva, era il caso di prendere nota. Così, facendo della sua qualità principale, il “saper entrare e uscire da una stanza senza che nessuno se ne accorga”, un fatto di stile, Lewis si aggira in una Napoli trasformata dalla guerra in un immenso, miserabile mercato nero – e registra tutto sui suoi taccuini.

Mentre i colleghi si dedicano alla maldestra realizzazione di piani fantasiosi, come quello di far passare le linee ad un gruppo di prostitute sifilitiche per diffondere l’epidemia nel Nord occupato, lui indaga su figure e avvenimenti che gli paiono, al momento del tutto normali: signore in cappello piumato che mungono capre fra le macerie, statue di santi preposti da una folla in deliquio a fermare l’eruzione del Vesuvio, professionisti in miseria che sopravvivono impersonando ai funerali un aristocratico e imprescindibile “zio di Roma”, ginecologi deformi specializzati nel restauro della verginità, nunzi apostolici che contrabbandano pneumatici rubati, e così via. I taccuini che Lewis tenne in quel periodo finirono poi per costituire questo libro, di cui il minimo che si può dire è che mai un occhio tanto sobrio e preciso si era posato su una realtà così naturalmente folle e sgangherata. E questo ne fa “un’esperienza unica per il lettore così come deve esserle stata un’esperienza unica per chi lo ha scritto”.

Questa la breve nota editoriale che presenta un’opera assolutamente consigliata a quanti hanno creduto o credono alla ormai consunta retorica della “liberazione”. Per anni i mass-media, scuola, università, opinionisti allineati hanno spacciato la sconfitta militare e l’occupazione straniera come un trionfo del popolo sulla dittatura. Con uno zelo degno di miglior causa, in buona o malafede imbonitori d’ogni risma ci hanno propinato lo schema che si ripete infinitamente: gli americani che rappresentano il bene, un nemico sempre demoniaco da distruggere senza pietà o scrupoli, mille scuse e pretesti per giustificare invasioni, bombardamenti etici, embarghi terapeutici, torture orribili, soppressione dei diritti più elementari ma sempre, ovviamente, per il trionfo della giustizia. Ogni tanto alla rigida cappa del controllo mediatico sfugge qualche scheggia. Napoli ’44, presentato come un romanzo ed uscito nel 1978 ci mostra il lato oscuro di un paese occupato ed incapace di difendersi che si vende ai vincitori anima e corpo. Con una forza evocativa pari e forse superiore a quella de La pelle di Curzio Malaparte i taccuini di Lewis sono anche un efficace documento storico. La testimonianza assolutamente oggettiva ed attendibile, visto il ruolo rivestito dall’autore, di quello che può succedere ad una Nazione che perde il bene più prezioso: la propria sovranità.

Norman Lewis, Napoli ‘44, Edizioni Adelphi, Milano 1993.

Harm Wulf

Alcuni passi dal libro:

28 settembre 1943

Ricoverato al 16° Evacutation Hospital americano di Paestum con la malaria – forse una ricaduta, ma più probabilmente una nuova infezione. Il dottore mi ha informato che gli acquitrini della zona sono ancora malarici, e le zanzare, che si ritiene abbiano falcidiato la fiorente colonia greca dell’antichità, attive come sempre. La maggior parte dei pazienti ha ferite da combattimento, e da molti di loro ho avuto conferma della storia che avevo trovato davvero incredibile, e cioè che alle unità combattenti americane gli ufficiali hanno dato ordine di colpire a morte i tedeschi che tentino di arrendersi. Pag. 27.

4 ottobre 1943

Qualche chilometro prima di Napoli città, la strada si allarga in una specie di piazza, dominata da un vasto edificio pubblico semiabbandonato, ricoperto di manifesti e con i vetri delle finestre infranti. Qui si erano fermati molti camion, e anche il nostro conducente si è portato sul bordo della strada e ha tirato il freno. Uno dei camion trasportava approvvigionamenti dell’esercito americano e i soldati, immediatamente raggiunti da molti di quelli che viaggiavano sul nostro camion, gli si affollavano intorno, cercando di arraffare tutto quello su cui riuscivano a mettere le mani. Quindi reggendo ciascuno una scatola con la razione, si riversavano all’interno del municipio, facendo scricchiolare i vetri di cui era cosparso il pavimento. Li ho seguiti, ritrovandomi in uno stanzone in cui si accalcava una soldataglia tumultuante. Quelli che stavano in fondo spintonavano per avanzare, incitando sguaiatamente gli altri; ma se si raggiungeva il fronte della folla, l’atmosfera si faceva più calma e assorta. Le signore sedevano in fila, a intervalli di circa un metro l’una dall’altra, con la schiena appoggiata al muro. Vestite con abiti di tutti i giorni, queste donne avevano facce comuni, pulite e perbene di massaie, di popolane che vedi in giro a spettegolare o a fare la spesa. Di fianco a ognuna era appoggiata una fila di scatolette, ed era evidente subito che aggiungendone un’altra si poteva far l’amore con una qualsiasi di loro, lì, davanti a tutti. Le donne rimanevano assolutamente immobili, in silenzio, e i loro volti erano privi d’espressione, come scolpiti. Potevano star vendendo pesce, non fosse che a quel luogo mancava l’animazione di un mercato del pesce. Non un incoraggiamento, non un ammicco, niente di provocante, neppure la più discreta e casuale esibizione di nudità. I più animosi, con le scatolette in mano, si erano fatti avanti, fino alla prima fila, ma ora, di fronte a quelle madri di famiglia, donne coi piedi per terra spinte fin lì dalle dispense vuote, sembravano esitare. Pag. 32.

5 aprile 1944

Nell’ultimo bollettino del Bureau of Psychological Warfare si dice che a Napoli quarantaduemila donne esercitano, occasionalmente o con regolarità, la prostituzione. Questo su una popolazione femminile nubile che si aggira intorno a centoquarantamila. Pare incredibile. Pag 137.

28 maggio 1944

Nuove brutalità delle truppe coloniali francesi. Ogni volta che prendono una città o un paese, ne segue lo stupro indiscriminato della popolazione. Di recente tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino e Morolo sono state violentate. A Lesola, caduta in mano degli Alleati il 21 maggio, hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini, e persino i vecchi. Stando a quanto viene riferito, i marocchini di solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza. In molti casi le vittime hanno subito gravi lesioni ai genitali, al retto e all’utero. A Castro dei Volsci i medici hanno curato trecento vittime di stupro, e a Ceccano gli inglesi, per proteggere le donne italiane, sono stati costretti a creare un campo sorvegliato da guardie armate. Molti di questi nordafricani hanno disertato e stanno attaccando paesi a grande distanza dalle linee. Dagli ultimi rapporti risulta che si sono fatti vivi nelle vicinanze di Afragola, aggiungendo un terrore nuovo a quello già causato dalle innumerevoli scorrerie di saccheggiatori. Oggi sono andato a trovare una ragazza di Santa Maria a Vico che si diceva fosse impazzita dopo la violenza subita da parte di una numerosa banda di nordafricani. Vive sola con la madre (anch’essa ripetutamente violentata), e in totale miseria. Le sue condizioni erano migliorate, e si comportava in modo assennato, con molta grazia, anche se non poteva camminare per via delle lesioni subite. Carabinieri e Polizia dicono che secondo i medici è pazza, e che se ci fosse stato un letto disponibile l’avrebbero ricoverata in manicomio. Sarà molto difficile, a questo punto, che possa mai trovare marito. Ci si trova di fronte alla sanguinosa realtà di quello stesso orrore che spingeva l’intera popolazione femminile dei paesi della Macedonia a gettarsi dai dirupi piuttosto che cadere in mano degli invasori turchi. Un destino peggiore della morte: in effetti era proprio questo. Pag. 172.

13 agosto 1944

Oggi si è presentata in ufficio una ragazzina sudicia e lacera, che ha detto chiamarsi Giuseppina. Questa dodicenne dall’aria molto sveglia non ha voluto dirmi di sé altro che l’età, che i suoi genitori erano stati uccisi nel grande bombardamento e che vive “sotto una casa” lungo il fiume. Ci sono centinaia di maschietti nelle sue condizioni, orfani scalzi, laceri e affamati, che in un modo o nell’altro tirano avanti, e riempiono i vicoli con le loro risate, ma Giuseppina è stata la prima bambina abbandonata che io abbia visto. Mi ha detto di essere venuta per la coperta, come al solito. Non sapevo cosa risponderle. Le coperte, in questa Italia in rovina, sono una forma di valuta, e piuttosto pregiata, se si considera che il prezzo di un buon articolo australiano o canadese equivale alla paga settimanale di un operaio. Le ho detto che non avevo coperte da darle, e ho proposto un pacco di biscotti, che lei ha rifiutato con garbo. “Non è più il posto di Polizia?” mi ha chiesto. Le ho risposto di si, che lo era, e lei mi ha detto che l’uomo di prima – chiaramente il mio predecessore canadese – le dava una coperta una volta alla settimana. Solo allora ho capito il tragico significato delle richiesta, e che quella creaturina ancora acerba, tutta pelle e ossa era una prostituta-bambina. Pag 195.

23 settembre 1943

…Comunque, accantonando ogni questione sui miei errori personali, sono arrivato alla conclusione che, in cuor suo, questa gente non deve poterne proprio più di noi. Un anno fa li abbiamo liberati dal Mostro Fascista, e loro sono ancora lì, a fare del loro meglio per sorriderci educatamente, affamati come sempre, più che mai fiaccati dalle malattie, circondati dalle macerie delle loro meravigliose città, dove l’ordine costituito non esiste più. E alla fine cosa ci guadagneranno? La rinascita della democrazia. La fulgida prospettiva di poter un giorno scegliere i propri governanti in una lista di potenti, la cui corruzione, nella maggior parte dei casi, è notoria, e accettata con stanca rassegnazione. In confronto, i giorni di Benito Mussolini devono sembrare un paradiso perduto. Pag. 222.

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