Mazzini, il patriota scomodo

Mazzini è sempre stato per l’Italia un padre della patria scomodo: imbarazzante era il ricordo della sua dottrina repubblicana durante il Regno, un po’ sbiadito il suo ritratto nel tempo successivo al referendum istituzionale che in teoria avrebbe dovuto realizzarne il disegno politico. I mani mazziniani venivano tutto al più evocati dal senatore Spadolini, che peraltro si guardava bene dal dichiarare dove avesse imparato a conoscere e ad amare Mazzini: nella R.S.I., nel corso della esperienza del fascismo repubblicano che lo aveva visto precoce e fervido collaboratore del settimanale “Italia e Civiltà”.

In verità, mai Mazzini ebbe tanti onori e celebrazioni a carattere nazional-popolare quanto nel breve tempo della Repubblica di Mussolini. Il volto del profeta del risorgimento campeggiava sui francobolli. I manifesti che invitavano ad arruolarsi nella X MAS facevano appello al volontarismo da lui suscitato nel 1848-49. I teorici della socializzazione delle industrie e i redattori della Costituzione della RSI facevano esplicito riferimento alla Costituzione della Repubblica Romana del 1849.

Già durante il Ventennio, autori fascisti come Berto Ricci avevano notato come in Mazzini si anticipasse la visione di una “grande politica” italiana e come in lui vi fosse una netta reazione alla fabula materialistica messa in piedi da Marx. Vi erano delle esagerazioni e delle semplificazioni in queste riletture, e tuttavia fu lo stesso Bertrand Russel, algido lord del libertarismo inglese, a constatare il piano inclinato della cultura che aveva fatto scivolare gli Italiani dalla predicazione mazziniana risorgimentale alla “ammirazione dei grandi battaglioni mussoliniani”.

Giuseppe Mazzini, Doveri dell'uomo Che Mazzini fosse un patriota più che un operaista, un riformatore morale più che un sovvertitore di Stati è tutta la bibliografia dell’autore a sottolinearlo. Nell’opera del 1860 dedicata agli operai italiani, il celebre Dei doveri dell’uomo (recentemente pubblicato dalle edizioni Polistampa con una prefazione di Carlo Azelio Ciampi) Mazzini scrisse “Senza Patria, voi non avete né segno, né voto, né diritti. Siete i bastardi dell’Umanità… Non otterrete fede né protezione. Dove non è patria non è patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l’egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba”. Il linguaggio è indubbiamente quello dell’oratoria politica ottocentesca, ma il contenuto niente affatto retorico prefigura i rischi dei tempi post-moderni. Mazzini esprime ribrezzo per le “moltitudini” amorfe care a Toni Negri, e individua chiaramente come l’unica possibilità di esistenza di diritti sociali si dia all’interno di sistemi integrati di civiltà e di nazionalità.

Gli Hindu indipendentisti ebbero un vero culto nei confronti di Mazzini e Garibaldi, ravvisando in queste figure non un carisma semplicemente politico – da agitatori delle masse – ma un’aura spirituale. Geminello Alvi nel suo splendido volume di ritratti Uomini del Novecento ha ricordato la devozione del più grande yogi indiano del XX secolo, Sri Aurobindo, nei confronti di Mazzini. Nel sesto numero di Politica Romana (edito nel 2004) Sandro Consolato ha colto le insospettabili analogie e simpatie che legavano gli Hindu in lotta contro il colonialismo inglese ai “profeti” del risorgimento italiano.

Mazzini non fu ateo, non ebbe indulgenza per l’anticlericalismo a volte schiamazzante della metà del XIX secolo. E rifiutò di aderire alla “Società dei Liberi Pensatori” a causa del materialismo ideologico che aleggiava in esso. Non disprezzò mai il cristianesimo, anche se ovviamente inserì il rispetto per tale religione all’interno di una più generale considerazione delle grandi tradizioni religiose d’Oriente e di Occidente.

A differenza di Cavour – assai indulgente verso i tavolini danzanti dei Medium – fu severo verso la moda spiritista. “Tutto questo guazzabuglio di tavolini in convulsione, di medium che fan traffico di anime, di spiriti balbettanti non so quali sciocche risposte m’irrita come una profanazione della santità della morte”. Al di là della soglia della morte Mazzini era incline a cogliere la trasmigrazione delle anime. L’antica verità religiosa dell’India – ma anche della tradizione orfica e pitagorica – influiva in maniera non marginale sulle teorie dell’autore: se egli parla spesso di missione, di doveri specifici di un dato individuo o di un dato popolo è perché risente dell’influsso dei concetti spirituali di “reincarnazione” e karma (per usare un termine hinduista).

In tale cornice quasi teosofica, Mazzini concepisce la missione della nazionalità italiana in forma strettamente legata al mito della “Terza Roma”, alla esigenza cioè di fondare una nuova civiltà umanistica, che nasca dal superamento (e dalla integrazione) dei valori della Roma dei Cesari e della Roma Cristiana.

Ovviamente la romanità mazziniana non è una ostentazione di muscoli, non si compiace delle sfilate dei quadrati in marcia, non è fondata sulla ragion pratica mussoliniana per cui “chi non sa portare le armi è costretto a portare le armi degli altri”. È qualcosa di più etereo, legato ai valori della educazione umanistica e del rispetto delle libertà di tutti i popoli, grandi o piccoli. E tuttavia, sta di fatto che la biografia politica di Mazzini raggiunge il suo apice nelle convulse vicende di insurrezione e guerra che segnarono la Repubblica Romana, quando le discettazioni sui principi umanistici cedettero il passo alla chiamata alle armi, alla petizione di coraggio militare. Agli occhi dei cattolici osservanti si trattò di una profanazione immensa: i discepoli di Mazzini reiteravano il crimine dell’ “anticristo” Napoleone nel deportare il Papa lontano dal sepolcro di Pietro. L’entusiasmo popolare, la determinazione dei volontari dimostravano al contrario che i tempi erano ormai maturi per superare definitivamente l’assetto medievale dello Stato della Chiesa.

Caso paradossale, la repubblica romana fu stroncata dall’intervento di un napoleonide: per diventare “Napoleone III”, il nipote pensò bene di pareggiare l’audacia blasfema dello zio. Riportando i Papi alla testa di uno stato immobilista al centro della penisola pensò inoltre di ostacolare ogni programma di unificazione italiana, ponendo i presupposti per la creazione nella penisola di una serie di Stati satelliti della Francia. Le cose non andarono nel senso sperato dall’Imperatore dei Francesi, né ovviamente assecondarono le orazioni di Pio IX e dei cattolici devoti.

Nelle polemiche suscitate qualche anno fa da ambienti cattolici antimodernisti vi è la lontana eco di quella drammatica spaccatura nella coscienza italiana, o forse l’effetto della più recente crisi del sentimento nazionale. Fatto sta che su Mazzini si è riversata a distanza di tempo tutta una serie di accuse e di ingiuriosi accostamenti. “Mazzini come Bin Laden” è stato detto da parte di chi evidentemente non ha gli strumenti concettuali per distinguere la tecnica insurrezionale ottocentesca dal terrorismo stragista di oggi.

Forse però l’immagine di Giuseppe Mazzini riceve più danni dalle celebrazioni stereotipate che dalle accuse faziose. Per rimediare tanto all’une quanto alle altre consigliamo la lettura di Interessi e principi più altri scritti mazziniani, riediti insieme recentemente da Settimo Sigillo; la pubblicazione si apre con una interessante introduzione di Giano Accame e Carlo Gambescia. I due autori dopo aver citato con un certo compiacimento una riflessione di… Palmiro Togliatti (“la tradizione del Risorgimento vive nel fascismo, ed è stata da esso sviluppata all’estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini su “la funzione dell’Italia nel mondo”), sviluppano un’analisi della dottrina mazziniana dalla quale emergono notevoli anticipazioni di quelle che nel XX secolo saranno le tesi della corrente antiutilitarista nelle scienze sociali.

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Tratto da L’Indipendente del 29 gennaio 2006.

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  1. mauro volpi
    | Rispondi

    ottimo!

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