Nel commentare la quarta edizione del saggio evoliano Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, in uscita per le Edizioni Mediterranee di Roma, non si può non sottolineare come esso rappresenti una delle prove più convincenti di Julius Evola, intellettuale non accademico più o meno come Spengler, eppure adesso studiatissimo nelle Università dello Stivale. In questo libro uscito in prima edizione nel 1932 Evola si muove con agio non all’interno dei circuiti più noti nei quali la spiritualismo accede, con un indirizzo cristiano, ad un proprio sapere ufficiale, bensì all’interno di un circuito alternativo, ove gran parte della cultura rifiutata dalla teologia del mondo cattolico sta rialzando la testa a cavallo della cosiddetta contemporaneità.
Per dirla con un celebre motto Maschera e volto rappresenta la negazione di una negazione. La confutazione di un intero modo di accedere al trascendente (spiritismo, teosofismo, eccetera), a sua volta ribelle e al sistema positivistico-scientista, e a un modo di intendere la cultura sette-ottocentesco. In un gioco che Evola conduce per buona parte con le armi della sociologia o dell’antropologia più che con quelle della filosofia (almeno per come i suoi lettori dei primi anni Trenta erano stati abituati ad accoglierlo), fanno capolino qua e là due ospiti che hanno bussato alla sua porta abbastanza di recente. Renè Guénon che proprio filosofo non è, e la stessa religione nata dalla vita e dalla resurrezione di Gesù Cristo (ovviamente con questo non intendo dire che Evola si cristianizzò, ma semplicemente che tentò di dialogare anche con la religione dei Vangeli). I rapporti fra Evola e Guénon sono certamente noti, un po’ meno forse quelli fra Evola e il cristianesimo secondo le indicazioni di Maschera e volto.
Maschera e volto, nove capitoli nel ’32, dieci nel ’49 e undici nel ’71 rappresenta una storia lunga quarant’anni, se non di più. Ufficialmente il libro nasce in un periodo nel quale il Nostro era preso da talune difficoltà di orientazione politica e culturale. Il tema dello spiritualismo tuttavia interessava Evola sin dagli anni Venti. Alcuni capitoli della prima edizione del saggio infatti erano già stati scritti ed inseriti in pubblicazioni diverse, altri come quello sul cattolicesimo sembravano invece di nuova fattura.
Non so se un libro possa sintetizzarsi in una sola frase ma per Maschera e volto ci si può provare: il sovrasensibile è un pericolo, più che una tentazione esso valga dunque come semplice conoscenza. Mi sembra possa essere questo il commento giusto ricavato ovviamente da espressioni evoliane, per un volume che non ha mai fatto parlare di sé quanto invece avrebbe meritato.
Evola indaga dunque i diversi pericoli dello spiritualismo contemporaneo, ma invero anche le poche qualità delle diverse vie al sovrasensibile. Così psicanalisi, teosofismo, antroposofia, neo-misticismo ed altre vie spiritualistiche vengono setacciati con strumenti di raffinata esegesi (forse ad oggi, per questo settore specifico, ineguagliati), al fine di chiarire la relazione che i primi e le seconde intessono con il sovrannaturale.
Ovviamente nel corso di quarant’anni il libro è stato sottoposto ad alcuni doverosi aggiornamenti; non tanto fra la prima e la seconda delle tre edizioni quanto invece fra la seconda e la terza. Il “balzo in avanti” fatto da Evola fra il ’49 e il ’71 è certamente più significativo di quello fatto fra il ’32 e il ’49. Nella terza edizione del saggio compaiono ad esempio alcuni riferimenti alla contestazione (e dunque ad una nuova ventata di spiritualità, successiva al boom economico), e perfino un nuovo capitolo dedicato al satanismo.
In precedenza Evola aveva anche tentato di estendere le proprie critiche a concetti e opinioni non propriamente spiritualisti, forse nel tentativo di fare del suo libro una sorta di saggio di modi e dottrine della contemporaneità. Ciò grazie ad un capitolo – l’ottavo – inserito con l’edizione del 1949. In esso l’argomento trattato – primitivismo, ossessi e superuomo nietzscheano – era tutt’altro che spiritualista. Anzi ne era l’esatto contrario.
Ma dopo le vie che si dischiudono dinanzi ad un deficit di trascendenza, con l’edizione del 1971 Evola torna ad esplorare l’argomento principale del volume. E lo fa riallacciandosi a quanto aveva scritto in precedenza a proposito delle cosiddette forze «infere». All’alba dei Settanta, anni celebri per certo scatenamento in ambito giovanile, Evola parla di Satana, satanismo e gruppi satanici (che, unici fra i milieux spiritualisti, pretendono di praticare la magia nera), introducendoli però ovviamente come un fenomeno alla moda. Nella seconda parte del medesimo capitolo, invece, Evola dedica alcune pagine anche ad Aleister Crowley. Il filosofo ha una buona opinione del “mago” britannico (buona quasi quanto quella che egli stesso nutre per il “maestro” Guénon), ed interpreta in modo positivo l’uso, sacro e magico, che Crowley fa del sesso e delle droghe, contrapponendolo a quello scevro da significati “alti” (e per nulla a carattere iniziatico) dei giovani contemporanei.
Ovvio è d’altra parte che le pratiche del “mago” britannico (dati anche certi esisti disperati), non potessero essere genericamente rivolte a tutti, senza distinzione alcuna.
Credo che il capitolo che Evola dedichi al cristianesimo, insieme a quello sulla psicanalisi (peraltro l’opinione di Evola su Freud e gli altri psicanalisti non è per nulla scontata), sia il più interessante di tutti. Ed immagino pure che il primo dei due continuerà a far discutere a lungo.
Oltretutto per chi non ha mai letto Maschera e volto certe espressioni non proprio di condanna rivolte dal Nostro alla confessione cristiana saranno una vera sorpresa. Chi si aspetterebbe mai da Evola frasi del tipo: una sincera conversione al cattolicesimo, per i molti, significherebbe un progresso? Per i pochi invece le cose potrebbero andare in modo molto diverso, soprattutto perché essi dovrebbero essere in grado di capire che la religione, in sé e per sé presa, basata cioè su una cosa chiamata fede, è tutt’altro che una forma originale di spiritualità. La questione è molto complessa, ed ovviamente rimando alla lettura attenta del saggio e di tutte le appendici.
Qui però mi sento di affermare in modo chiaro quanto segue: rispetto all’Evola giovane, l’Evola oramai anziano del 1971 ha assottigliato qua e là, non parlo specificamente del capitolo sul cattolicesimo, le molte citazioni “cristiane” all’interno di Maschera e volto, forse rendendosi conto di aver esagerato nelle prime due edizioni (si potrebbero citare anche alcuni dati storici per corroborare la tesi di un Evola più sfiduciato verso la religione dei Vangeli, come ad esempio gli esiti del Concilio Vaticano Secondo), tuttavia l’insieme ben ordinato e delle opinioni espresse da Evola e delle sue particolari convinzioni che il cattolicesimo contenesse potenzialità positive in merito alla sua idea – anzi realtà – di tradizione, lascia davvero pochi dubbi: il problema cristiano riguarda e la forma (quella specificamente religiosa) e il contenuto (sul quale rimando ovviamente alla lettura del libro), ma parlare di un Evola anticristiano proprio non si può.
È ovvio poi che nel suo classico stile iper-critico il filosofo intendesse separare il cattolicesimo prima dai cattolici e poi da… se stesso.
Evola dedica l’ultimo vero capitolo di Maschera e volto, prima della parte destinata alle conclusioni, alla “magia superiore”. Nulla a che vedere né con le palle di vetro né coi superpoteri degli eroi dei fumetti però. E nulla a che vedere anche in questo caso col vero spiritualismo ma stavolta in una direzione affatto positiva. Insomma le pratiche magiche (o meglio le scuole migliori che in vario modo fanno uso di esse: quella di Crowley e quelle di Gurdjieff, Kremmerz, E. Lévi e Meyrink), rappresentano per il filosofo della tradizione la vera terza via. Dopo lo scientismo e lo spiritualismo sembra questa la via verso il sovrannaturale nel mondo moderno. Una strada difficile da percorrere, un sentiero colmo di pericoli del quale Evola offre al lettore varie ma caute indicazioni.
All’interno della nuova edizione di Maschera e volto anche saggi di Gianfranco de Turris, Hans Thomas Hakl, Marco Iacona e Stefano Arcella.
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Tratto dal Secolo d’Italia del 25 ottobre 2008.
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