Lugubri pagliacci

Poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi, nei nostri ambienti è girato un breve articoletto di Maurizio “Maufil” La pagliacciata americana.

La pagliacciata di cui si parla è lo scontro mediatico fra il presidente degli Stati Uniti in carica, candidato al prossimo mandato e poi riconfermato, Barack Obama e il suo sfidante, il repubblicano Mitt Romney. Che sia trattato di una pagliacciata, su questo non c’è il minimo dubbio, uno spettacolo organizzato in maniera tale da catturare la massima audience, e di sicuro questo tipo di campagna elettorale non è il mezzo più adatto per scegliere la persona più qualificata a guidare uno stato, tanto meno la maggiore potenza mondiale. Se qualcuno aveva delle perplessità in proposito, a elezioni concluse e il presidente “Bello, alto, abbronzato” riconfermato, si può osservare che – noi saremo sospettosi per natura, ma chi pensa male fa peccato però di solito ci azzecca – la campagna elettorale e poi lo spoglio dei risultati elettorali indeciso fino all’ultimo sul filo di lana, sono sembrati proprio organizzati da un’accorta regia come uno spettacolo teso a ottenere la massima suspense e la massima audience. Non parliamo ora della stranezza di un sistema elettorale che ha permesso la riconferma del presidente uscente nonostante abbia preso meno voti dello sfidante.

Lo scrittore Norman Spinrad aveva osservato, e mi pare una constatazione ineccepibile, che Harry Truman, eletto alla presidenza americana negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, è stato l’ultimo uomo eletto alla presidenza statunitense, e che dopo di allora non si sono avvicendate sul “trono mondiale” altro che immagini televisive (tralasciamo ora il fatto che Harry Truman che ereditò il suo primo mandato durante la guerra per la scomparsa del suo predecessore, l’ineffabile Franklin Delano Roosevelt di cui era vicepresidente, si è guadagnato un solido posto accanto all’uomo di cui è stato il vice nell’empireo dei più grandi criminali che la storia umana abbia mai conosciuto ordinando i bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki quando già il Giappone aveva chiesto la resa).

Rimane comunque il fatto che tutti questi personaggi mediatici sono solo una facciata dietro la quale si nasconde il vero potere che governa gli USA e il mondo da loro dominato e che repubblicani o democratici che siano, comunque si concluda il baraccone elettorale-mediatico, in concreto non cambia assolutamente nulla.

Tuttavia, occorre anche ammettere in tutta onestà che se noi pensiamo che le elezioni e le campagne elettorali che avvengono in casa nostra non siano un’analoga, e per certi versi ancora più grottesca, pagliacciata mediatica, ci sbagliamo di grosso, siamo fuori dalla realtà.

Se c’è qualcosa che va riconosciuto al nostro attuale premier, il signor Monti, se non come un merito, almeno come un non-demerito, è il fatto di avere in più occasioni detto con chiarezza estrema a chi si è dato la pena di prestargli ascolto, che chiunque sarà a capo del governo che si formerà dopo le elezioni dell’aprile 2013, non potrà fare altro che proseguire quello che sta facendo lui, ossia eseguire gli ordini dell’Unione Europea e della BCE. Le elezioni e le campagne elettorali erano una pagliacciata prima, lo sono a maggior ragione adesso, dopo che i nostri politici hanno svenduto senza informarcene minimamente quel poco che rimaneva della nostra sovranità nazionale.

A prescindere dal fatto che le elezioni e le campagne elettorali, da una e dall’altra parte dell’oceano Atlantico sono un circo mediatico che non serve a nulla se non a dare al cittadino comune, all’uomo della strada l’illusione di contare qualcosa, e non hanno alcun peso sul destino deciso per lui nelle stanze del potere, tra il sistema americano e quello italiano esistono delle significative differenze che offrono il destro a interessanti riflessioni.

In Italia esiste il finanziamento pubblico ai partiti: è una cosa a cui i nostri politici sono davvero affezionati, al punto che verrebbe da supporre (quanto siamo cattivi!) che la loro presenza nell’agone politico ha l’unico scopo di succhiare quanto più possibile le risorse prodotte dal lavoro della nostra gente. Noi tutti ricordiamo che questo finanziamento pubblico anni fa era stato abolito a seguito di un referendum che ne aveva deciso l’abrogazione in maniera plebiscitaria, travolgente, ed è stato surrettiziamente reintrodotto sotto forma di “rimborso elettorale”, rimborso generosissimo che va a coprire almeno il trecento per cento delle spese sostenute da ciascun partito che abbia eletto rappresentanti. A maggior ragione, considerando il fatto che i parlamenti oggi non decidono realmente nulla, ma sono unicamente chiamati a ratificare e rendere esecutive le decisioni di UE e BCE (ed è ridicolo che per ciò, fra deputati e senatori debbano servire quasi mille persone), sono solo un costoso orpello, un lussuoso nido di parassiti.

Negli Stati Uniti il finanziamento pubblico ai partiti non esiste, ma dato che le campagne elettorali sono dei circhi mediatici, dei costosicirchi mediatici, chi vuole essere eletto a una carica qualsiasi, deve farsi finanziare da chi i quattrini glieli può dare e, una volta eletto, farà gli interessi di quest’ultimo, non di coloro che lo hanno votato e che come al solito, una volta messa la crocetta sulla scheda elettorale, smettono automaticamente di contare qualcosa.

Il potere di suggestione dei media può tirare la cosiddetta opinione pubblica in qualsiasi direzione immaginabile, anche la più assurda, folle e autodistruttiva, e ci indigna ma non ci stupisce vedere negli Stati Uniti più che altrove il voto di torme di elettori-zombi votare per candidati che non solo non faranno il loro interesse, ma nemmeno hanno promesso di farlo, che non solo fanno gli interessi del grande capitale e non della massa dei cittadini, ma che hanno potuto tranquillamente dichiarare questa intenzione e questo programma già nella loro campagna elettorale. Esiste uno strumento potentissimo in grado di trasformare un normale essere umano in uno zombi, e non si chiama vudu ma televisione. Altrimenti sarebbe inspiegabile come la prima potenza mondiale non sia in grado di offrire ai propri cittadini un’assistenza sanitaria decente, ma in compenso le armi da fuoco si possono vendere liberamente come pagnotte, perché questo è esattamente ciò che conviene alla potente lobby dei produttori di armi.

Allora è meglio che il finanziamento pubblico ai partiti ci sia o non ci sia? E’ un dilemma senza soluzione. Io sarei tentato di insinuare l’orrido sospetto che qualunque soluzione si adotti, l’errore, il male è rappresentato proprio dalla democrazia, un sistema ipocrita fondato sull’inganno che nella pratica priva in mille modi il cittadino di quel potere di decisione sul proprio destino che gli riconosce in teoria.

Tuttavia, premesso tutto quanto sopra, questo articolo mi ha fatto venire in mente che i termini “pagliacciata” e “americana” si possono associare anche in un altro modo. Non sarà che per caso abbiamo motivo di ritenere che gli Stati Uniti siano in quanto tali un popolo di buffoni, una nazione di clown, o quanto meno una popolazione che mostra i segni di quel rimbecillimento mediatico di cui siamo vittima anche noi da cinquant’anni, ma che loro hanno subito e subiscono con maggiore intensità da un tempo pressappoco doppio?

Negli scorsi decenni, di fronte a comportamenti ridicoli e pagliacceschi con in più l’arrogante strafottenza di coloro che si ritenevano e ancora si ritengono i padroni del mondo, si usava il termine americanate, che oggi pare scomparso dall’uso. Perché di americanate non se ne fanno più, o perché il nostro modo di pensare e comportarci tende a somigliare sempre più a quello dei pagliacci d’oltre Atlantico?

Durante la seconda guerra mondiale, mentre il resto dell’Italia non ancora “liberata” era quotidianamente straziato dai bombardamenti anglosassoni e dagli attentati dei partigiani (che senza i massicci rifornimenti di armi dei “liberatori” non sarebbero stato altro che rubagalline in attesa di potersi trasformare in tagliagole), nelle parti man mano raggiunte dagli invasori, scoppiava come un contagio portato dal nemico la prima delle “mode” che dovevamo importare nostro malgrado da oltre oceano, quel boogie woogie che non era un ballo, ma un frenetico dimenarsi fino allo stordimento così simile a un rito di possessione vudu, più avanti negli anni e nei decenni sono seguiti allo stesso modo il surf, il twist, il rock, eccetera, eccetera. Era un modo per stordirsi dimenticando gli orrori della guerra tuttora in corso o per assopire le coscienze di chi era mancato al primo e fondamentale dovere di difendere la patria e aveva abbracciato l’invasore e le sue droghe di ogni genere, era il senso di colpa che si cercava di rimuovere con quella sorta di possessione vudu?

Un grottesco che faceva da tragicomico contrappunto agli orrori della “liberazione”.

La mia città, Trieste, è stata per nove anni, dal 1945 al 1954, sotto l’occupazione angloamericana, e li ha conosciuti bene, sia gli Inglesi sia gli Americani. Io non posso dire di avere un’esperienza diretta di questo periodo conclusosi quando avevo due anni, ma quando sono cresciuto esso era ancora ben presente e vivo nella memoria dei “più grandi”, a cominciare dai miei genitori. Gli Inglesi, posso dire, erano semplicemente odiati: impettiti, arroganti, strafottenti, convinti della loro innata superiorità rispetto a chiunque, trattavano tutti come pezze da piedi e avevano il dono di farsi malvolere, noi triestini abbiamo sperimentato quanto avesse ragione Mussolini nell’invocare su di loro la stra-maledizione del Cielo.

Noi sappiamo che la seconda guerra mondiale è stata condotta dagli angloamericani in totale violazione dei diritti umani, con il massiccio e indiscriminato uso dei bombardamenti aerei contro le popolazioni civili, ammazzando donne, vecchi e bambini (non solo questo, naturalmente: non si contano gli assassinii e le torture di prigionieri, gli stupri delle donne dei territori occupati e via dicendo), ma i bombardamenti e l’uccisione in massa di civili inermi dal cielo, è forse il capitolo di maggiore atrocità proprio in ragione della sua ampiezza, arrivando solo in Europa a fare fra la popolazione civile qualcosa come quattro milioni di morti, un autentico genocidio. Bene, noi tendiamo forse troppo a dimenticarci la parte che i Britannici hanno avuto in questo atroce crimine. Qualsiasi persona che conosce un po’ la storia dell’aviazione lo può confermare: gli apparecchi da bombardamento statunitensi, i B 17 le fortezze volanti e B 24 Liberator (“liberatore”, nome macabramente ironico per una macchina destinata a seminare morte e distruzione) erano velivoli da bombardamento diurno, che potevano e furono spesso impiegati contro le città e la popolazione, ma il cui principale impiego in teoria sarebbe dovuto essere colpire fabbriche, linee di comunicazione, impianti militari, concentrazioni di truppe. Il Lancaster britannico no, il gioiello del Bomber Commando inglese era un bombardiere notturno che poteva essere impiegato solo contro le città e la popolazione inerme, e lo fu per tutta la durata della guerra.

La mia personale opinione è che se un giorno per miracolo riuscissimo a liberarci dall’oppressione americana, a costruire una vera unione europea al posto dell’UE controllata dai banchieri e dal grande capitale finanziario, la cosa di gran lunga più saggia che potremmo fare, sarebbe di tenere la Gran Bretagna fuori da essa.

Gli Americani erano tipi di tutt’altro genere, pare si siano fatti notare soprattutto come donnaioli, facilitati in questo dalla profusione di sigarette, cioccolato e calze di nylon, e che non badavano troppo al fatto se le donne oggetto delle loro mire erano ragazze perbene o prostitute, nubili o sposate.

Una canzoncina popolare di quel periodo recita:

“E la matina el marì va a lavorar,

L’american xe pronto per entrar”.

(E la mattina il marito va a lavorare/l’americano è pronto per entrare).

Vi risparmio il resto, alquanto osceno.

E un’altra ancora:

“I love you, Johnny, i love you Texas ,

Se tu dai una cosa a me,

Io poi do una cosa a te”.

Che ci dà la misura esatta del rapporto “amoroso” che spesso si stabiliva fra i militari americani e le donne triestine.

La mia prima esperienza diretta con gli yankee l’ho avuta più di quarant’anni fa, quando con degli amici andai ad assistere a una manifestazione aeronautica alla base militare di Aviano.  Gli americani, notai, si distinguevano a colpo d’occhio dai nativi perché vestivano come pagliacci, con accostamenti di colore assurdi e di pessimo gusto, verde e viola e altri accostamenti stridenti; le donne specialmente; c’erano donne anziane incredibilmente obese coi pantaloncini jeans inguinali, le camicette a fiori e truccate in maniera esagerata, con le palpebre bistrate che parevano saracinesche e le labbra pitturate di rosso carico oppure di rosa shocking come ragazzine. Tutto in loro parlava di cattivo gusto e di volgarità.

Devo essere onesto, un’esperienza di vita negli Stati Uniti mi manca ma, per un motivo o l’altro da allora ho conosciuto diversi americani, e suppergiù mi hanno fatto tutti la medesima impressione: persone frivole, superficiali, incapaci di pensare profondamente, dalla cordialità e dall’allegria esagerate e ostentate e nello stesso tempo dannatamente invadenti, del tutto incapaci di capire che in qualche momento qualcuno desidererebbe che si rispettassero le distanze. Mi sono spesso chiesto se questa invadenza caratteriale sia alla base della loro politica estera che in ultima analisi esprime il desiderio che tutto il mondo si uniformi ai loro standard.

Poiché non vorrei essere accusato di alimentare semplicemente uno stereotipo, vediamo di compiere un esercizio molto semplice e interessante: la “cultura” statunitense è una “cultura” soprattutto mediatica. La scuola non vi deve avere di sicuro un gran peso né un livello molto elevato, tranne che per i costosi e prestigiosi college riservati all’élite. La famiglia è a quanto pare negli USA una realtà alquanto evanescente (ma anche da noi stiamo diventando sempre più così), rimangono i “media”, soprattutto la televisione come “agenzia educativa” pressoché esclusiva.

Sulla situazione della scuola negli Stati Uniti fa certamente testo l’articolo di Silvio Waldner L’ignoranza americana che trovate sul sito del Centro Studi La Runa: se la nostra scuola è disastrata, quella statunitense è cadaverica. Il livello d’istruzione negli USA ha subito un brusco tracollo negli anni ’60 del XX secolo, quando gli standard sono stati abbassati per favorire l’integrazione della minoranza di colore, ma ci sono di base anche le conseguenze di una mentalità utilitaristica che tende a disprezzare tutto ciò che non è immediatamente trasformabile in denaro.

Oggi rispetto a pochi decenni fa abbiamo un veicolo in più attraverso il quale l’influenza americana si riversa sulla nostra cultura snaturandola e appiattendola, rappresentato dal gran numero di canali televisivi molto spesso “on demand” che propongono in gran parte sceneggiati, sit-com programmi statunitensi, che però rappresentano un mezzo ulteriore per comprendere e analizzare la mentalità dei presunti padroni di questo pianeta.

Osservando un cartone animato come “I Simpson” (e dovremmo rabbrividire a pensare che questo tipo di programmi è diretto a un pubblico adolescenziale e infantile), noi potremmo pensare che un personaggio come Homer sia semplicemente una caricatura, ma quando vediamo in una sit-com come “La vita secondo Jack” il personaggio interpretato da James Belushi (un attore piuttosto mediocre che sembra aver acquisito il suo ruolo nello Star System hollywoodiano per eredità, dopo la morte per droga del fratello, John Belushi) comportarsi nello stesso modo, mostrare gli stessi tratti caratteriali, la cosa ci persuade di meno. Se poi da due altri cartoon , “I Griffin” e “I Flintstone” (questi ultimi sono palesemente degli yankee malamente mascherati da uomini preistorici) vediamo gli stessi tratti caratteriali, cosa dobbiamo pensare? Uno può non significare nulla, due può essere una coincidenza, e quattro cos’è? Comincia a somigliare a una regola. Sui tratta di una lista che, come vedremo, si può facilmente allungare.

Teniamo presente che i media hanno un ruolo insieme speculare e normativo, da un lato rispecchiano la realtà o una certa realtà, dall’altro propongono (ma in realtà impongono) certi modelli di comportamento. Homer Simpson, Jack, Fred Flintstone, papà Griffin, ci mostrano (ci propongono) un tipo d’uomo estremamente infantile, in cerca di gratificazioni momentanee e immediate (l’unica differenza con un bambino, è che sono spesso e volentieri anche di tipo sessuale), incapace di assumersi responsabilità, di pensare a lunga scadenza, di pensare che il mondo verosimilmente esisterà anche la settimana prossima, privi di autorevolezza e noncuranti nei confronti dei figli, uomini i cui orizzonti mentali si limitano alla birra e alla partita di baseball. In questo specchio tutto sommato realistico e comunque “normativo” della società americana, il vero capofamiglia, la persona capace di pianificare e di assumersi responsabilità è sempre e solo la donna.

Prendiamo una sit-com “seria” ed “educativa” come “Giudice Amy”. Le protagoniste sono due donne, madre e figlia, assistente sociale e giudice minorile: professioniste serie, impegnate e fortemente motivate nel loro lavoro, poi c’è un comprimario maschile figlio della prima e fratello della seconda: eterno aspirante scrittore e fallito che si guadagna da vivere facendo il dog sitter. Se questa non è una svalutazione della figura maschile, vorrei sapere cos’è. Ma non si tratta solo di una denigrazione di chi ha avuto la sfortuna di nascere con i testicoli, è l’imposizione di un modello normativo di uomo infantile, futile e irresponsabile.

Tra le mie pessime abitudini, c’è anche quella, quando mi capita di entrare in casa di conoscenti, di dare una sbirciata alla libreria: le letture in genere rivelano molte cose della personalità dei padroni di casa. Mi capitò anni fa a casa di conoscenti, di soffermarmi sul libro di uno psicologo, non mi limitai a guardare il dorso, ma non resistetti alla tentazione di tirarlo giù e di darci una rapida sfogliata. Adesso non posso darvi il nome dell’autore e il titolo, ma vi prego di credere all’autenticità di quel che vi riferisco.

L’autore citava il caso di un uomo che si era rivolto a lui: un giovane professionista affermato sul lavoro e di aspetto non sgradevole, che tuttavia aveva seri problemi con le donne: difficilmente riusciva ad avere un secondo appuntamento con una ragazza, tutte quante gli ripetevano il medesimo ritornello: “Tu hai qualcosa che non va”. Dopo qualche colloquio, lo psicologo si era reso conto che nel giovane non c’era nulla che non andasse, aveva solo il torto di essere una persona seria e riflessiva in una “cultura” nella quale le ragazze sono abituate ad aspettarsi partner frivoli e ridanciani capaci di farle a loro volta ridere con battute cretine. L’autore diede un consiglio al giovane paziente: trasferirsi in Europa dove le donne non sono (ancora!) abituate a partner che siano dei buffoni ridanciani.

Il giovane seguì il suo consiglio e dopo qualche mese gli inviò dall’Europa una calorosa lettera di ringraziamento: aveva trovato una donna adatta a lui e l’aveva sposata.

Questa storia impone una serie di riflessioni: negli Stati Uniti non c’è solo una cultura infantilizzante e deresponsabilizzante che combatte la profondità di pensiero, ma una vera e propria selezione darwiniana alla rovescia che tende a favorire gli individui intellettualmente più limitati sfavorendo i soggetti intelligenti nella riproduzione.

Non parliamo del quadro di desolazione assoluta offertoci dagli sceneggiati “di azione” dove vediamo portato all’eccesso lo stereotipo della donna dominatrice e dell’uomo sottomesso e passivo: “Buffy”, “Xena”, “Relic Hunter”. In questi serial “di azione” la protagonista è sempre un’eroina che compete con gli uomini e li sopravanza sul piano della pura forza fisica. A noi, a quanti hanno ancora un cervello che oppone resistenza all’americanizzazione, sembra strano e assurdo vedere una fanciulla dall’aria esile e delicata come la protagonista di “Buffy, l’ammazza-vampiri” contrastare quelli che non sono solo maschi ma temuti esseri soprannaturali, vampiri o demoni, con calci e pugni sul piano della pura forza fisica.

Noi siamo ovviamente consapevoli della differenza fra “fiction” e realtà, ma non dobbiamo sottovalutare il potere persuasivo delle immagini soprattutto sulle personalità meno strutturate: quel che “si vede” è per definizione vero. Tempo addietro mi è capitato di sentire una ragazza durante un talk show televisivo affermare con convinzione: “Oggi noi donne siamo più forti degli uomini”. E’ evidente che almeno sul piano fisico della forza muscolare le cose non stanno affatto così.

Quando una ragazza convinta di potersela comunque cavare, si mette in situazioni che una sua antenata avrebbe attentamente evitato, e ne subisce le conseguenze, chi la risarcisce, Buffy, Xena, Relic Hunter?

Fra i personaggi maschili che compaiono in queste serie, forse quello che si presta all’analisi più interessante, è Nigel, comprimario maschile di Relic Hunter: non è solo psicologicamente assoggettato alla cacciatrice di reliquie, ci si presenta come un bambino che si lascia manipolare e guidare passo passo, al punto che in un episodio lei arriva a ordinargli di fare finta di essere l’uomo che evidentemente non è, di presentarsi come il leader di questa anomala coppia.

L’unica figura di “maschio alfa” che incontriamo nelle serie dei cartoon americani è quella di “American Dad”: questo “papà americano” è un agente della CIA, fanatico conservatore, militarista, convinto assertore della superiorità americana sul resto del mondo, e soprattutto un paranoico ossessivo e assillante che non va a letto senza accertarsi che sotto lo stesso non sia nascosto un agente di Al Qaeda (o l’uomo nero): non è un modello se non in senso negativo, additato alla derisione dei giovani spettatori. Non è esagerato dire che nei serial americani, disegnati o recitati, le uniche figure di maschi positive sono gli omosessuali, come avviene ad esempio in “Will and Grace”.

Pagliacci, questi yankee, che non hanno proprio nulla di divertente, soprattutto se pensiamo che l’esportazione del loro “modello culturale” sta poco per volta spingendo anche noi lungo la stessa china. Uno dei vantaggi della TV satellitare è anche quello di poter ricevere in lingua originale quei programmi che finora conoscevamo in forma tradotta, traduzioni che, ora siamo in grado di capirlo, edulcorano di molto, perché quello che ora possiamo finalmente intendere è un linguaggio fatto di violenza e oscenità, soprattutto nelle trasmissioni dirette ai bambini e agli adolescenti.

La violenza sembra il linguaggio naturale dell’infanzia e il modo “giusto” di rivolgersi all’infanzia. Pensiamo a un cartone animato estremamente violento come “South Park” o ne “I Griffin” il bambino piccolo che è l’unico personaggio “adulto” della serie, e che ha verso i genitori e gli altri membri della famiglia un odio, un disprezzo di cui questi non si rendono conto. Il messaggio è chiaro: “Non perdere tempo a occuparti di tuo figlio, non sforzarti di dargli un’educazione, non ripagherà mai quello che fai per lui, neppure con la gratitudine”. Per i minori, ovviamente, il messaggio è ancora più esplicito: “Odia i tuoi genitori”.

Al confronto, Homer Simpson con le mani perennemente attorno al collo del figlio Bart nel tentativo di strozzarlo, è ancora un quadretto di affetto familiare.

Volgarità e violenza non mancano di certo nei programmi “per adulti”. Noi abbiamo assistito nel corso degli anni alla trasformazione dei talk show in spettacoli sempre più volgari dove i partecipanti danno ogni esempio possibile di maleducazione urlandosi addosso ogni genere d’insulti. Sappiamo che più offese si urlano addosso i partecipanti, più aumenta l’audience. Quelli americani sono da un pezzo oltre questo stadio e siamo passati a quello delle aggressioni, della pura violenza fisica.

Fra le cose più disgustose che “l’intrattenimento” americano è in grado di “offrire”, va menzionato un programma come “Little Miss America”, dove si vedono bambine da otto a dieci anni vestite da donne adulte, in parrucche platinate, trucco, ciglia e unghie finte concorrere esibendosi in pose maliziose da donne adulte. L’effetto diseducativo è duplice, e non consiste o consiste solo marginalmente nel mettere minori in contatto precoce e abusante con la sessualità. È a mio parere molto più deleterio il fatto che queste bambine siano precocemente inserite in un modo di viversi i cui elementi costanti sono la competizione sfrenata e la mercificazione della propria immagine e del proprio corpo, con gli effetti psicologici a lungo termine che si possono immaginare, e che sono l’equivalente di quelli di uno stupro. Inoltre, diciamolo pure, è un incoraggiamento alla pedofilia.

E’ forse meno biasimevole moralmente dato che non coinvolge minori ma adulti, ma all’atto pratico fa veramente schifo “American Next Drag Queen” dove giovanotti in parrucca platinata e minigonna inguinale ostentano seni e natiche prosperose frutto di trattamenti ormonali e interventi di chirurgia plastica, laddove la natura li avrebbe dotati di attributi del tutto diversi. Che l’omosessualità non vada demonizzata e perseguitata, su questo potremmo essere d’accordo, ma che sia addirittura esaltata e propagandata!

Quella americana è una cultura dell’immagine in cui l’apparire conta assai più dell’essere, l’apparire è l’essere. Anche noi ci stiamo avviando sulla stessa strada anche se tuttora in grado minore, ma questo avviene precisamente come effetto che l’americanizzazione ha su di noi, e certo non saremmo lontani dalla realtà pensandola come un acido corrosivo che – neppure troppo lentamente – distrugge la cultura e il modo di essere europei.

“Se non appari, non esisti”, da qui l’ossessione tipicamente americana per entrare a far parte a qualsiasi costo e sia pure per un attimo del sistema mediatico, vista come condizione che convalida a posteriori l’esistenza stessa della persona. Da ciò una serie di comportamenti assurdi e autolesivi come quelli (ed è successo più volte) di criminali che si filmano mentre compiono un delitto e poi mettono il filmato su internet facilitando considerevolmente la loro cattura da parte della polizia.

Alla stessa ossessione si ricollega la mania dei record più strani per entrare nel Guinness dei Primati, con persone che cercano di rimanere indefinitamente in piedi su una gamba sola, di battere il record di spaccatura di angurie col sedere o di noci col naso. Una notizia recente è quella di un giovane che è morto cercando di battere il record di ingestione di scorpioni vivi. Diciamo pure che è andato a cercarsela.

Un modo tragico eppure relativamente facile di acquistare il tanto agognato quarto d’ora di celebrità in un Paese in cui le armi circolano con facilità e si vendono come pagnotte, è quello di imbracciare un fucile e mettersi a sparare sulla gente che passa per strada, o meglio ancora all’interno di un cinema o di un campo sportivo. Raramente gli individui che hanno compiuto gesti del genere si sono poi rivelati vittime di episodi traumatici che abbiano provocato loro gravi frustrazioni; il più delle volte si trattava di soggetti annoiati e in cerca di notorietà, che non davano alla vita umana alcun valore.

L’altra faccia della ridancianità, della falsa allegria dei pagliacci americani è infatti la violenza, che è diffusa a ogni livello dei rapporti sociali e delle relazioni umane. Nel suo oggi datato ma sempre ottimo saggio L’incolmabile fossato (il fossato incolmabile, ma che però oggi l’americanizzazione e l’agonia della cultura europea stanno rapidamente colmando, è quello che separa gli Stati Uniti dall’Europa), pubblicato sul n. 19 del 1.10.1984 de “L’uomo libero”, Sergio Gozzoli scriveva:

Dai banchi di scuola agli uffici di collocamento, dalle relazioni sessuali alle carriere pubbliche, dai contatti interpersonali alle stratificazioni sociali, tutto subisce la pesante influenza dell’appartenenza all’uno o all’altro gruppo [etnico]; e i rapporti son difficili e tesi, carichi di una incontenibile potenzialità di ricorrente violenza.

Soprattutto se consideriamo che questi pagliacci sono la prima potenza di questo pianeta, se teniamo presente ad esempio che nei loro arsenali nucleari hanno i mezzi per distruggerlo completamente cinque o sei volte di fila, non incutono alcuna allegria, ma appaiono spaventosamente minacciosi e lugubri: il loro riso clownesco è identico al ghigno di It, il mostruoso alieno-ragno inventato da Stephen King che si cela, appunto, sotto le sembianze di un clown.

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4 Responses

  1. claudio
    | Rispondi

    Purtroppo i “pagliacci” hanno vinto e i “seri” hanno perso e spesso con ignominia.Pertanto occorre tenere la testa bassa e fare “mea culpa”.Dispiace ma è così!Cordialità.

  2. Hns
    | Rispondi

    Quando calabrese non delira sul cristianesimo
    è veramente piacevole da leggere
    ( a parte uscite tipo
    “che l’omosessualità non vada demonizzata e perseguitata,
    su questo potremmo essere d’accordo”……
    uscite causate dall’influenza pagana).

    P.s.
    finalmente posso commentare un articolo
    del calabrese senza che arrivi la censura
    ad eliminare il commento “in nome di ipazia”…….

    Saluti
    Hns

  3. Fabio Calabrese
    | Rispondi

    Devo dire che mi fa molto piacere l’apprezzamento da parte di qualcuno che di solito è molto critico nei miei confronti. Quanto alla questione dell’omosessualità, penso che se avessi avuto la disgrazia di avere un figlio gay, non l’avrei certo potuto accoppare, ma di sicuro non sarei riuscito ad accettare una cosa del genere senza problemi e senza un fortissimo senso di disagio. Non credo sia questione di cristianesimo o paganesimo ma di ovvia percezione di ciò che è normale e di ciò che non lo è, e credo che la maggior parte della gente la pensi così, anche se la “political correctness”, altra bella invenzione democratico-americana, impedisce di dirlo e vorrebbe imporci una visione delle cose del tutto diversa.

  4. Dod
    | Rispondi

    Quello che è inquietante è che chi ha la consapevolezza della natura intossicante del modello culturale americano, è condannato a vedere la sua gente cadere giorno dopo giorno all’interno di quel modello. I nuovi media si uniscono a quelli tradizionali nel diffondere l’infezione, e la velocità tipica dei tempi moltiplica esponenzialmente la quantità di stimoli che passano per la retina dei nostri figli. Guardate l’aura mortifera che fa da sottofondo a tutti i telefilm e americani, voyeurismo budellare, necrofilia, perversioni; i cerebrolesi dei reality e di mtv; la violenza dei videogiochi (violenza satanica-titanica, mai eroica), ecc. Ma l’elemento che a mio avviso va sottolineato è la natura invertita delle parti. In genere la morale è che non esistono buoni e cattivi, ma i cattivi e gli spostati in fondo hanno la loro dignità. Ma anche quando sembra che vi siano dei buoni, essi nascondono sempre un insegnamento invertito, sovversivo: quando il male lo insegnano subdolamente i buoni, l’arma intossicatoria è più potente. Ogni traccia di eroismo in senso tradizionale è stata cancellata. Si pensi al millenario motivo del combattimento contro il drago/mostro, da sempre allegoria privilegiata del processo di costruzione interiore. Si noterà che le produzioni in cui il drago viene ucciso sono ormai quasi inesistenti, a parte alcuni esempi di fantasy sulle orme dell”outsider’ Tolkien. In genere, il 99,9% dei draghi è un ‘good guy’, un amicone. Tutta la favolistica lavora da almeno centanni per far diventare il drago un teddy bear un po’ verde, un angelo custode. I nostri figli non trovano più favole in cui imparano ad ‘uccidere’ le debolezze interiori, la propria umanità inferiore (perché questo è il ‘drago’, in sostanza). Parallelamente, si pensi a quanto la psicanalisi ha lavorato per sdoganare gli ‘acheronti’. E così via.
    Tutto questo è fortemente sintomatico.

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