Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona (terza parte)

Questo articolo fa parte di una serie di tre.

Questa è la serie completa degli articoli:

  1. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Prima parte
  2. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Seconda parte
  3. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Terza parte

* * *

(…) Polifonica quanto alla forma, Zodiacale lo è altrettanto nei contenuti. L’abbiamo già detto: l’opera mescola una pluralità di ascendenze, provenienti dalle più svariate tradizioni, in un sincretismo che ricorda da presso quello di certe opere del pittore russo Nikolaj Roerich. Una grandiosa costruzione mitografica, mosaico composto di tessere orientali come occidentali, cristiane come ermetiche, qabbalistiche come greco-romane. Il tutto in una cornice fantastica, simbolista e decadente, addirittura goticheggiante: «I suoi testi ed elaborati artistici mescolano spesso le carte, includendo rosacrocianesimo ed orfismo, massoneria e kabbalah ebraica, misticismo cristiano e dottrine orientali, teosofia ed antroposofia». Senza tralasciare «il mondo del magico e dell’occulto, fonte inesauribile per la sua predisposizione all’arte simbolica, fantastica e surreale, coltivata incessantemente nel passare degli anni e dei decenni» (39). Proveremo ora a indagare la presenza di alcune di esse, lasciando ai lettori la curiosità d’individuarne altre.

simboli-della-scienza-sacraSe la base del fiorentino è certamente cattolica, non deve tuttavia stupirci che egli associ all’immagine ortodossa del Dio cristiano elementi provenienti da altre tradizioni. Sulla scorta delle esperienze maturate negli anni precedenti – e di quelle che ancora dovrà affrontare – egli sa che varie sono le espressioni e una è la Tradizione. Così, in un’orazione (40), il Dio cristiano viene pregato affinché liberi gli uomini da avidya, che nella tradizione induista e buddhista incarna l’ignoranza, figlia della brama, della volontà e dell’attaccamento alle cose del mondo.

Per poi non parlare del Cancro, presentato attraverso una serie di attribuzioni di origine hindu: esso viene identificato alla cosiddetta porta degli uomini, che corrisponde analogicamente al sud e al solstizio d’estate, nella quale ha inizio il pitri-yâna, la via degli antenati, fase discendente dei cicli storici e cosmici (41) – sede che, tradizionalmente, presiede all’incarnazione. Ciò è reso da Ferenzona con questi versi, situati nell’orazione del segno in questione: «Dall’oscura porta di cui sono, per servirti, il fedele guardiano, le anime dal Cielo scendono, o Altissimo, negli Embrioni umani e vi s’incarnano a prova de la Tua bontà» (42).

Se il Cancro designa la porta degli uomini, la vertigine dell’incarnazione, viceversa il Capricorno – corrispondente al nord e al solstizio d’inverno – simboleggia la porta degli dèi, a partire dalla quale inizia la fase ascendente del ciclo e si apre deva-yâna, la via degli dèi (43). Così il Capricorno si rivolge all’Assoluto: «È con aureole luminose che io vedo ascendere a le Sfere Divine gli Spiriti – oltre la porta di Bhava» (44). Attraverso il Capricorno gli spiriti, lasciate le spoglie mortali, si apprestano a prendere congedo dal transeunte, dal diveniente – Bhava, appunto. I due segni vengono descritti attraverso gli epiteti di quelle che, tradizionalmente, sono chiamate porte solstiziali.

planetarioAppartenenti alla medesima tradizione sono i versi che seguono, tratti dall’orazione dei Pesci: «Consci di ciò che il volontario delirio degli uomini chiama Male e Peccato, noi abbiamo oltrepassato i regni di Chit e di Anânda e ci prosterniamo ora su la soglia ultima di Sat» (45). A partire dalla consapevolezza che il peccato è frutto dell’ignoranza e della volontà, si raggiunge un livello ulteriore, superiore finanche alla coscienza desta – Chit – e alla beatitudine – Anânda. Chi abbia compreso ciò attraversa i loro domini per poi superarli: è l’Essere Puro – Sat – a venire conseguito, nella sua semplicità e ineffabilità. È un passaggio di livello intimamente connesso alla questione delle incarnazioni. È l’Acquario ad evocare la rottura del cerchio de la Rinascita, preludio alla liberazione dal divenire. Sempre all’interno di questa breve preghiera, tra l’altro, il nome di Dio, il Tetragramma – JHWH – viene associato ad una ruota cosmica, diviene chakravartin, quasi a voler sintetizzare la tradizione ebraica e quella induista.

Così come non è casuale la presenza di Adhi Shankaracharya, riformatore e unificatore dell’Advaita Vedânta. Il maestro viene descritto mentre insegna «agli uomini il sentiero de l’Esperienza» (46). Nella preghiera della Bilancia, inoltre, Ferenzona ringrazia Dio per avere concesso agli uomini «il privilegio de l’Armonia, ne l’analogia dei contrari, e la conoscenza percettiva e sensitiva ne la Virtù di Vedanâ» (47) – facoltà, questa ultima, che presiede alla percezione sensoriale.

Un esempio del suo sincretismo è ravvisabile nelle vicende di Fetonte, figlio di Elio, che, dopo avere percorso il cielo con il carro del padre, rovina sulla terra. È lo Scorpione a raccontarne il tragico epilogo: «E la superbia di Fetonte s’infranse dinanzi al mio aspetto quando tentò di correre le orbite nostre con le false ruote del suo carro, spinto da Trishnâ» (49). Ad una divinità del pantheon classico (che nel mito precipita, piena di sgomento, dopo aver intravisto il pungiglione dello Scorpione pieno di veleno) (49) viene attribuito Trishnâ, termine designante il desiderio, la sete.

Finora abbiamo parlato di componenti orientali. Non mancano, tuttavia, riferimenti precisi a pratiche esoteriche occidentali – aspetto che colloca il Nostro in quel folto bacino di artisti che riempirono di simboli le proprie opere, a dimostrazione del carattere carsico di certi simboli, i quali, messi al bando dall’Illuminismo, spesso riemergono in seno all’estetica (50).

Un esempio? Le tracce ermetiche ed alchemiche presenti ne Il gatto e l’oro – scritto sotto l’ascendenza del celebre lavoro di Edgar Allan Poe, di cui Ferenzona era assiduo lettore. Protagonista del racconto è un alchimista, Basilial, il cui nome ricalca quello di Basilio Valentino. Nel suo laboratorio, egli opera con diverse sostanze, atte a produrre la Pietra dei Filosofi. Tra le componenti alchemiche menzionate troviamo la Coda di Drago, simboleggiante il Mercurio allo stato di putrefazione, nella fase della nigredo, e il Latte della Vergine, altra immagine del Mercurio in una conformazione successiva (51). Anche le fattezze fisiche di Basilial sono descritte facendo ricorso a elementi propri alla tradizione alchemica: il suo naso è una storta, la bocca è simile alla coda di una salamandra (che, come noto, attraversa indenne le fiamme) e il colore della sua barba è paragonato a quello della testa di un morto. È il caput mortuum, il residuo solido della distillazione, la cui forma ricorda quella di un teschio umano, appunto (52) – e Caput-Mortis è anche il titolo di un altro racconto di Zodiacale.

Di ascendenza alchemica è anche il simbolo del Mercurio lunare, posto sul sesso della fanciulla presentataci nell’acquaforte dedicata alla Vergine. Esso simboleggia la forza tellurica, fluttuante e ctonia che deve essere coagulata nel corso delle operazioni in Mercurio filosofico (53).

Nelle tavole, inoltre, troviamo parecchi simboli provenienti dal De Occulta Philosophia di Cornelio Agrippa. Nell’acquaforte dedicata al Leone, ad esempio, vediamo un cartiglio costituito dalla combinazione di tre segni – il carattere, l’intelligenza e il dèmone del Sole, riportati da Agrippa nella sezione dedicata all’influenza terrestre dei pianeti (54). Il tutto è sormontato da una corona la quale – stando alle influenze dell’artista fiorentino – potrebbe simboleggiare kether, apice dell’albero sephirotico della kabbalah, ma anche l’alchemica Corona del saggio, designante la pietra filosofale di terz’ordine di cui parla Fulcanelli. Lo stesso Leone, peraltro, nella sua orazione, dedica a Dio «i Comandamenti intagliati sulla Tavola di Smeraldo» di Ermete Trismegisto (55). Rimanendo su questa puntasecca, il cuore fiammeggiante collocato al centro, oltre a simboleggiare il Cristo, ci riporta ad una tradizione che vede in esso il centro metafisico dell’uomo e non nel cervello, luogo propulsore della psichicità (56). La sua parentela con l’astro solare venne sottolineata, tra gli altri, da Paracelso (57), e qui torniamo a Ferenzona.

L’acquaforte dell’Ariete, invece, esibisce il Segno planetario di Marte (58), di cui il segno in questione è domicilio notturno (59). Nell’acquaforte dedicata al Cancro, domicilio della Luna, è invece quest’ultima a dominare: sullo sfondo troviamo il segno del suo carattere, mentre il sigillo posto a sinistra di essa designa il dèmone lunare (60). Nella già citata incisione della Vergine è il Mercurio il motivo fondamentale: se il simbolo alchemico del mercurio lunare è posto al centro dell’acquaforte, a sinistra troviamo il segno dell’intelligenza di Mercurio, che simboleggia il Mercurio filosofico (61). Sull’aureola, inoltre, tra una “I” ed una “S” è incastonato il simbolo del Fiore di Saturno. Altro elemento analogo è riscontrabile, seppur lievemente modificato, nell’acquaforte dedicata ai Gemelli: a sinistra della duplice figura compare il carattere del dèmone di Mercurio, annoverato da Agrippa tra i sigilli planetari (62). Questa corrispondenza non è casuale: Vergine e Gemelli sono, rispettivamente, i domicili diurno e notturno di Mercurio.

Sempre enochiano è il sigillo che affianca la giovane presentataci nell’acquaforte della Bilancia. Si tratta propriamente del sigillo che designa Venere, anch’esso presente nel De Occulta Philosophia (63). Ancora una volta, la Bilancia è il domicilio diurno di Venere. Della stessa ascendenza è il marchio del carattere di Giove, collocato al centro della tavola legata al Sagittario, domicilio diurno del pianeta. Se Ferenzona riempì le sue acqueforti di sigilli planetari, lo fece secondo ben precise concordanze astronomiche e astrologiche.

Il seguente passo, tratto dall’orazione del Sagittario, permette molteplici considerazioni ed esemplifica appieno la polifonia ferenzoniana: «In Tuo Vassallaggio su di una pietra cubica ornata del tetragramma un Re con corpo a triangolo e gambe in croce muto Ti rivolge le sue preghiere. Upâdâna scolpisce in lui la misteriosa immagine de l’Atanòr» (64). La pietra cubica di cui si parla è l’immagine della perfezione, conseguita attraverso la purificazione iniziatica. Cubica è la Pietra Filosofale, ma anche il Santuario del Tempio di Salomone. Inoltre, secondo Oswald Wirth, «è l’immagine dell’individuo che consegue la perfezione della sua specie, in virtù del fatto che in lui regna l’armonia fra lo spirito e la materia» (65).

Il re raffigurato sulla pietra sembra rappresentare a tutti gli effetti il simbolo dello zolfo, composto da una croce sormontata da un triangolo equilatero adagiato su una delle basi. Upâdâna – termine che designa l’apparenza delle cose – vi proietta l’immagine dell’Atanòr, il forno alchemico. È in nome della Trasformazione che qui vengono accostati elementi appartenenti a svariate tradizioni: l’apparenza degli enti cessa di essere la realtà ultima e diviene atanòr, fucina di trasmutazione.

Legata a questo universo simbolico troviamo reiterata (nell’orazione dei Pesci e nell’acquaforte della Bilancia, ad esempio) la presenza di Jakin e Bohaz, le colonne del vestibolo del tempio di Salomone. Secondo il già citato Wirth, corrispondono analogicamente a tutta una serie di polarità, a livello microcosmico come macrocosmico. Non è un caso che compaiano sui piatti della bilancia, che tradizionalmente simboleggia l’equilibrio ermetico, ma anche la reintegrazione, in un piano all’interno del quale gli opposti che caratterizzano il piano della manifestazione cessano di essere tali, per divenire complementari (66). Jakin corrisponde al Sole, all’oro, alla luce diretta, alla ragione, al comando, alla fondazione e alla generazione. Al contrario, a Bohaz sono legati la Luna, l’argento, il chiarore riflesso, l’immaginazione, l’obbedienza, la conservazione e il concepimento (67). Jakin è rossa e corrisponde allo Zolfo e all’iniziativa individuale; Bohaz è bianca ed è legata al Mercurio, alla ricettività e alla sensibilità: «Queste due forze antagoniste – scrisse Alfredo Cattabiani – si equilibrano nel Sale, principio di cristallizzazione, il quale rappresenta la parte stabile dell’essere, quella la cui condensazione si effettua nella zona dove le emanazioni sulfuree cozzano contro la circostante compressione mercuriale» (68). Dove le spinte sulfuree e mercuriali, le une centrifughe e le altre centripete, si incontrano ed equilibrano, nell’ipotetico ago della bilancia, germogliano i cristalli salini. A un simile equilibrio parrebbe accennare la sopracitata orazione dei Pesci, la quale auspica che le due colonne «convertano la rigidità verticale de la loro linea ne la convessità de la compassione» (69). Preludendo così all’Opus ermetico, fissazione dello zolfo, coagulazione del mercurio e purificazione del sale.

pellicanoLegata a questa idea di perfezione è anche l’Androgine evocato nell’orazione dei Gemelli: «Per la virtù di Vijnâna su la fronte degli Ermafroditi e degli Androgini è incastonata, o Maestro, l’Agata – e negli occhi della fenice brilla il topazio» (70). Se l’Androgine – Rebis, res-bina – incarna l’unione di principio maschile e femminile, risolvendo le opposizioni e superandole (71), la fenice è legata all’Opus in quanto rinascente, di volta in volta, dalle proprie ceneri, in una ininterrotta catena di resurrezioni. Sovente raffigurata nel triangolo che costituisce il simbolo dello Zolfo, «rappresenta la stabilità dell’essere vivente nella sua morte continua, fonte di simultanee rinascite» (72). Assimilabile a questo volatile è l’Iniziato, il quale «aspira ad una stabilità spirituale d’ordine più elevato, facendo coincidere la sua volontà particolare con quella che regge ogni cosa. Se realizza questo ideale, coagula il Mercurio sposando il Fuoco celeste con quello del suo focolare infernale di azione individuale» (73). È dunque un simbolo della trasformazione: chi pratica questa via, di volta in volta, si dissolve per cristallizzarsi in una forma più alta. Via simboleggiata anche da quella coda di pavone – la quale racchiude e raccoglie tutti i colori (74) – che fa da sfondo ai gemelli. Sempre legato alla trasmissione della conoscenza è il pellicano, raffigurato dietro alla fanciulla che regge i piatti della bilancia. Spesso rappresentato nell’atto di lacerarsi il petto per offrire il proprio sangue in offerta, designa la clemenza e la carità che caratterizza la trasmissione del sapere iniziatico (75).

Elementi ermetici, cui sono accostati simboli di origine cabalistica. Mario Quesada sottolinea come l’acquaforte dedicata al Toro esibisca una Rota Cabalistica, presente tra l’altro anche nei lavori di Savinio, dei futuristi e dei surrealisti (76). Se l’Acquario prega gli Elohim, la testa dell’Ariete (prima incisione di Zodiacale) è invece sormontata da Namasch, “anima” in ebraico. Nell’orazione relativa, così l’Ariete si rivolge all’Assoluto: «Ministro della Tua Volontà, segno per idolatrarti nel mio spazio la mia parola “Haïn”» (77). Ain-Soph, la regione che sormonta il livello più alto dell’albero sephirotico. Nella preghiera dei Pesci viene invece evocato l’arcangelo Zadkiel, associato nell’ebraismo mistico al pianeta Giove. Di ascendenza ebraica è anche l’utilizzo di Amin. L’invocazione compare nella chiusura delle orazioni di Vergine, Capricorno e Sagittario. In questa ultima emerge parimenti la presenza di Agiel Saturnale, l’Intelligenza di Saturno così descritta all’interno della Clavicula Salomonis. Il suo nome compare parimenti nell’incisione dedicata all’Acquario, accanto a quello del dèmone Azazel, che nel Libro di Enoch sedusse Eva e iniziò gli uomini dell’arte delle armi (78).

La straordinaria cultura dell’artista fiorentino lo condusse ad attingere anche a culture arcaiche. Valga come esempio il re babilonese Merodach (Amil-Marduk, figlio di Nabucodonosor II) citato nell’orazione dei Pesci, all’interno della quale si evoca anche «Ea, triplice deità di Babilonia» (79), divinità del pantheon mesopotamico le cui sorti sono narrate nell’Enuma Elis, il celebre poema cosmogonico babilonese.

nozze-chimiche-di-christian-rosenkreutzNumerosi anche i riferimenti alla tradizione mistica medioevale, che nell’opera di Ferenzona acquisiranno centralità assoluta in Vita di Maria, del 1921. Così, i tre principi che dialogano sotto un cielo stellato, nel racconto I tre dei e le tre stelle, parlano di «un Italiano di Viterbo», che «ha ancora de l’antichissimo Est Est Est autenticamente papale» (80). Trattasi probabilmente dell’agostiniano Egidio da Viterbo (1469-1532), studioso del neoplatonismo e della kabbalah, amico di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino (81), che ricoprì mansioni ufficiali sotto il papato di Giulio II. Così come nel già citato Il gatto e l’oro è menzionato uno dei testi fondamentali della mistica medioevale, il Liber Specialis Gratiae, composto da Matelda di Hackeborn nella seconda metà del XII secolo.

Tra le correnti occidentali presenti in Zodiacale (che doveva far parte di un ciclo di scritti intitolato Misteri Rosacrociani) rimane da evidenziare la presenza di elementi rosacrociani. Uno su tutti: nella sua orazione, il Leone parla di nozze spirituali con la Vergine, quelle de Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz di Valentin Andreae. Influenze che da Corazzini e Péladan giunsero a Ferenzona, il quale affermò in più occasioni di essere stato iniziato ai misteri rosacrociani.

la-tradizione-ermeticaAttraversate le dodici tappe dell’iniziazione zodiacale, ecco giungere l’Uomo Nuovo, in un epilogo che sembra essere il trait d’union di tutte le varie linee esegetiche qui sviluppate. Egli è la materia trasmutata dalla Grande Opera. È Homo novus, colui che ha realizzato l’Opus in sé, che ha risolto l’opposizione di Zolfo e Mercurio nel Rebis. Potrebbe a tutti gli effetti far parte della stirpe degli uomini nuovi di cui parla Evola ne La tradizione ermetica, una schiatta «autonoma, superiore al destino, priva di re (perché essa stessa regale) (…). Più nobile, più grande, più possente dei suoi cosmici genitori, Cielo e Terra, è detto ricorrentemente nei testi il Fanciullo generato dall’Arte Regia. Magnipotens lo si chiama. Recante nelle sue mani le insegne del regno spirituale e di quello temporale, egli ha espugnato la gloria del mondo e ha ridotto sé a proprio suddito» (82).

Egli è, allo stesso tempo, l’Integrato, l’Uomo trascendentale guénoniano, che ha realizzato la totalità delle proprie possibilità terrestri, divenendo cosmico e universale (83), il mozzo della ruota, immobile al centro del divenire. Transitato attraverso l’avvicendarsi dei segni zodiacali, vittorioso su di essi, si svincola definitivamente dai loro domini: «I dodici segni dello Zodiaco – scrive Evola – corrispondono a dodici archetipi dominanti le forze di vita: essersene emancipati, significa dunque esser superiori alla stessa forza che ha agito nell’Opera al bianco» (84). Evola parla dell’albedo, la seconda fase dell’Opus, preceduta dalla nigredo, l’Opera al Nero, e succeduta dalla rubedo, l’Opera a Rosso, in un continuo processo ascensionale che è il messaggio più autentico dell’opera ferenzoniana, che ancora merita la dovuta attenzione accanto a quegli altri artisti che non concepirono l’arte come un mero gioco individualistico ma come un modo per raggiungere i domini dello Spirito.

Note

  1. Raoul dal Molin Ferenzona. Secretum Meum, cit., p. 21.
  2. Cfr. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 8.
  3. Cfr. René Guénon, Le porte solstiziali, in Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 2008.
  4. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 31.
  5. Alfredo Cattabiani ha dimostrato come gli stessi elementi si trovino nel cristianesimo. Si veda Gv 10, 6-10: «Io solo la porta delle pecore… Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo». Così non è un caso che il Natale cada sotto il segno del Capricorno. Cfr. Alfredo Cattabiani, Planetario, Mondadori, Milano 2010, p. 218.
  6. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 87.
  7. Ivi, p. 107.
  8. Ivi, p. 16.
  9. Ivi, p. 61.
  10. Ivi, p. 69.
  11. Cfr. Alfredo Cattabiani, Planetario, cit., pp. 181-182.
  12. Cfr., in merito a questi aspetti, Antarès, n. 5, Modernità occulta. Le radici simboliche delle arti contemporanee, Edizioni Bietti, Milano 2013.
  13. Cfr. Gino Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma 1980, p. 108. Cfr. anche Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 94.
  14. Gino Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, cit., p. 59.
  15. Cfr. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., pp. 64-66. Lo stesso simbolo verrà utilizzato anche da Evola nei suoi nudi femminili, dipinti negli anni Sessanta. Cfr. Elisabetta Valento, Homo Faber, Fondazione J. Evola, Roma 1994.
  16. Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, I Dioscuri, Genova 1988, p. 76. Tradizionalmente, il Leone è la dimora del Sole. Cfr. Alfredo Cattabiani, Planetario, cit., pp. 17-18.
  17. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 41.
  18. Cfr., tra gli altri, Luce (Giulio Parise), Opus magicum: il fuoco; Leo (Giovanni Colazza), Atteggiamenti, in Gruppo di Ur (a cura di), Introduzione alla magia quale scienza dell’Io, Mediterranee, Roma 2009.
  19. Cfr. Gino Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, cit., p. 280.
  20. Cfr. Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, cit., p. 76.
  21. Cfr. Alfredo Cattabiani, Planetario, cit., pp. 17-18.
  22. Cfr. ivi, p. 79.
  23. Cfr. Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, cit., p. 78.
  24. Cfr. ibidem.
  25. Cfr. ivi, p. 76.
  26. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 77.
  27. Oswald Wirth, Il simbolismo ermetico, Edizioni Mediterranee, Roma 1997, p. 44.
  28. Cfr. Alfredo Cattabiani, Planetario, cit., p. 174.
  29. Cfr. ivi, p. 20.
  30. Ivi, p. 87.
  31. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 107.
  32. Ivi, p. 23. Tra l’altro, Evola sottolinea come il segno zodiacale del Toro potrebbe corrispondere all’Opera al Rosso mentre quello dei Gemelli potrebbe legarsi direttamente proprio al Rebis, all’Androgine. Cfr. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 158n.
  33. Cfr. Oswald Wirth, Il simbolismo ermetico, Edizioni Mediterranee, Roma 1997, pp. 95-96.
  34. Ivi, p. 119.
  35. Ibidem.
  36. Sulla sua valenza simbolica cfr. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 172.
  37. Tra l’altro, il pellicano simboleggia anche l’incarnazione di Dio in Cristo. Non mancano infatti raffigurazioni nelle quali è associato ad una croce, spesso con una rosa al centro.
  38. Cfr. Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., p. 24n.
  39. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 8.
  40. Cfr. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 36.
  41. Raoul dal Molin Ferenzona, Zodiacale, cit., p. 107.
  42. Ivi, p. 46.
  43. Il traduttore del Corpus hermeticum, tra l’altro, è menzionato nel racconto Due angioli, in riferimento alle sue dottrine sugli influssi astrali.
  44. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., pp. 179-180.
  45. Cfr. René Guènon, Il simbolismo della croce, Luni, Firenze 2006, pp. 23-27, 49-66.
  46. Julius Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 181n.
Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *