L’essenza del fascismo

Nell’area culturale non-conforme italiana si sta risvegliando un certo interesse per Giorgio Locchi. La cosa, per chi scrive, è positiva. Locchi è pensatore di tutto rispetto, originale, nel senso che egli, in ogni sua opera, presenta la possibilità di recuperare l’origine, in quanto su di essa siamo, in ogni tempo, esposti. Non è poco, soprattutto per un ambiente abituato, dal secondo dopoguerra, a vivere di rimpianti e/o a definire il proprio immaginario su alcune figure di riferimento, il più delle volte, lette in termini idolatrici e scolastico-ripetitivi. Segnaliamo, all’interno di questa renaissance locchiana, la recente pubblicazione di L’essenza del fascismo per i tipi di Altaforte edizioni (pp. 125, euro 15,00). Il volume, curato da Adriano Scianca, è testo composito: comprende lo scritto Riflessione storica sul fascismo, uscito in prima edizione nel 1981, un’intervista rilasciata poco dopo a Marco Tarchi per meglio definire i concetti espressi nel saggio, la prefazione di Locchi a I fascismi sconosciuti di Maurice Bardèche, uno scritto di Philippe Baillet, oltre alla postfazione del curatore.

Una delle ragioni dell’interesse del volume va rintracciata nel fatto che, fin dall’incipit di queste pagine, Locchi individua, quale principale obiettivo polemico, la nuova storiografia del fascismo che, sotto la guida di Renzo De Felice, si affermava nei primi anni Settanta del secolo scorso.

L’autore ritiene che l’approccio critico-accademico defeliciano, attento ai dettagli della storia dei movimenti fascisti, accolta come “liberatoria” a destra, in realtà perdeva di vista il tratto essenziale connotante, sia sotto il profilo spirituale che politico, tali movimenti. Scianca ricorda, inoltre, che Locchi imputava a De Felice di non aver individuato il tratto europeo del fascismo, finendo con il depotenziare e relegare definitivamente al passato, tale esperimento politico. In una parola, De Felice avrebbe realizzato la “spoliticizzazione” del fascismo, presentandolo quale fenomeno di un’epoca storica irripetibile. Al contrario, storici ideologicamente avversi a tale ideale politico, quali Lukács e Viereck: «hanno […] il grande merito di aver messo in risalto l’origine prima, la matrice” del fenomeno fascista» (p. 9), pur criticandola apertamente e derubricandola, sic et simpliciter, all’irrazionalismo filosofico. Anche la storiografia tradizionalista, del resto, esempio tipico è offerto per Locchi dalle opere di Evola in tema, discriminando tra aspetti positivi e negativi del fascismo, avrebbe concluso con il: «restringere a se stessa la definizione del fascismo “valido”» (p. 10).

Tra le poche eccezioni, va annoverato Adriano Romualdi. Questi, sia pur in modo frammentario, a causa della sua prematura scomparsa, mise: «in luce la “conclusione indoeuropea” di quel che […] è il tipico “ripiego-sulle-origini-progetto-d’avvenire” di tutti i movimenti fascisti» (p. 11). Pertanto, il movimento storico in questione è la prima manifestazione, probabilmente “prematura”, di un fenomeno culturale e spirituale, manifestatosi in termini di “risorgenza anti egualitaria”, sinteticamente definibile “sovumanismo”, apparso in Europa nella seconda metà del XIX secolo, che ebbe, quali tedofori, Nietzsche e Wagner. Più in particolare, il “sovumanismo” si mostrò quale rigetto radicale dell’opposto principio egualitaristico, pienamente incarnato, dapprima dal cristianesimo e, successivamente, da ogni forma di democratismo, liberalismo, socialismo ecc. Le differenze presenti nei fascismi europei, indicano, a dire di Locchi, i diversi “gradi di coscienza” che essi ebbero dell’ideale sovrumanista. Per Wagner, il cristianesimo delle origini, avrebbe rappresentato una metamorfosi dell’originario “paganesimo”, ma tale messaggio sarebbe stato deviato dalle influenze eserciate sul cristianesimo dal giudaismo. I fascismi furono, pertanto, rivoluzionari” nel senso etimologico del termine, proposero un mito: «Mito si ha quando un “principio” storicamente nuovo sorge in seno ad un ambiente sociale […] tutto informato e conformato da un principio opposto» (p. 16). Stessa situazione visse il cristianesimo delle origini nei confronti del mondo classico. La sostanza dei movimenti epocali è sempre “sentita”, da chi è formato da valori opposti, in termini di irrazionalità.

Il fascismo ha attecchito come richiamo in chi era connotato da una coscienza egualitarista “debole”. Il crollo dei regimi fascisti, che non ebbero l’opportunità storica, in quanto “prematuri”, di esplicare tutte le loro potenzialità, ha indotto la parte egualitarista a tentare di realizzare un’ultima sintesi, la fine della storia. Locchi, sostenitore di una visione aperta e tragica del tempo, ritiene improbabile questa definitiva chiusura, in quanto essa implicherebbe, oltre ogni concezione deterministica, una sua “condivisione” valoriale da parte di tutti gli uomini. L’egualitarismo, pertanto, nel secondo dopoguerra, vide nel fascista il “nemico” per antonomasia e concesse al fascismo una vita in negativo, catacombale e marginale. Tale posizione indusse Locchi a criticare ogni forma di entrismo sistemico, compresa la via delle nuove sintesi indicata dalla “Nuova Destra”, con la quale, per un certo periodo, collaborò. Non è casuale che Tarchi ricordi, nell’introduzione che accompagna la sua intervista al pensatore italiano, che le sue domande furono “modificate” da Locchi: «ebbi la sorpresa di vedere che pressoché ogni domanda era stata riformulata dal destinatario, qualcuna era stata eliminata, altre aggiunte […] le divergenze su più aspetti dell’interpretazione del fascismo tra Locchi e me sono rimaste intatte […] e forse si sono accentuate» (pp.30-31).

Stimiamo molto Locchi, probabilmente in questo libro non ha tenuto conto della lezione schmittiana che dice la storia, ogni evento storico, essere caratterizzato dal tratto dell’unicità. In particolare, non condividiamo la sua lettura del nazionalsocialismo, quale movimento che tradusse in pratica le idealità rivoluzionario-conservatrici. Al contrario, il nazismo, a nostro giudizio, in quanto regime monocratico, le tradì, contribuendo a realizzare il Gestell, l’impianto della tecno-scienza. A differenza di Baillet, pensiamo che Klages visse realmente ai margini, isolato dal regime. Certo, oggi è impossibile non tener conto del domino della Tecnica al fine della formulazione di qualsivoglia progetto politico ma, altresì, crediamo che l’approccio esclusivamente prometeico debba essere integrato da quello orfico. Solo a queste condizioni sarà possibile re-incontrare la physis, luogo della scaturigine e dell’origine, unica reale trascendenza che ci sovrasta, come sapevano i Greci, ben oltre le tragedie della storia.

Questo libro nonostante ciò, è testo rilevante, da leggere e da discutere.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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  1. STELVIO DAL PIAZ
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    QUELLO CHE EMERGE E’ INSIEME RIFLESSIONE STORICA E PENSIERO POLITICO. IL TUTTO, PERO’, E’ ORMAI “OBSOLETO” – CIOE’ FUORI DAL CONTESTO ATTUALE CHE – PURTROPPO – E’ SOLO ESCREMENTO MALEODORANTE LANCIATO A SUO TEMPO SUL CAMPO DI BATTAGLIA DA UN CERTO CAMBRONNE. QUINDI – NIENTE DI RIVOLUZIONARIO E NIENTE DI TRASGRESSIVO. SOLO TRANGENDER ! LA POLITICA MA” NON DELLA CAMERA LEGISLATIVA DELLA “CAMERA DA LETTO “. anzicheneccoMALA TEMPORA CURRUNT ! Stelvio il

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