Le cronache del Signor Rossi

In genere correttezza letteraria vuole che alle recensioni non si replichi per negative e cattive che esse possano essere: ognuno ha il diritto di pensare quel che crede di un libro. Ogni tanto accade, però, che qualcuno si faccia prendere la mano dalla foga e poco correttamente cada, di certo non volendo, in errori di fatto, illazioni campate in aria, insinuazioni gratuite e malevoli. La situazione cambia e allora sì che si ha il diritto di replicare, come minimo per rendere edotti i lettori, i quali altrimenti corrono il rischio di formarsi una opinione unilaterale e sbagliata, che certe cose non stanno affatto come le descrive il recensore. Insomma, la nota e tanto apprezzata par condicio.

È questo il caso di quanto dice Umberto Rossi del mio Cronache del fantastico (Coniglio Editore) sul numero di giugno di Pulp. La famosa rivista, però, a quanto sembra non usa ospitare repliche o contraddittori, e quindi il sottoscritto si vede costretto a chiedere ospitalità in Rete per rettificare alcune maldestre affermazioni del Signor Rossi che non riguardano di certo quel che egli pensa del mio libro.

Da quanto si legge vien da pensare che il Rossi non abbia l’età, altrimenti non avrebbe potuto scrivere quel che ha scritto; ovvero che l’età ce l’abbia ma che la memoria ha fatto cilecca, a meno che non si voglia pensare ad una massiccia dose di mala fede. Ma io proprio non lo penso. Però, come si dice a Roma: er sor Rossi o c’è o ce fa.

L’impressione complessiva è che il nostro recensore abbia soltanto sfogliato il libro a caso qua e là, oppure lo abbia fatto basandosi soltanto sull’indice analitico e da qui sia poi risalito alle poche cose che in teoria lo interessavano. Ahi, ahi ahi, Signor Rossi, lei non mi può cascare sull’Indice! Il fatto è che da questa spulciatura egli trae alcune conclusioni, o meglio vengono avanzate alcune ipotesi basate sul – ci sia consentito dirlo – nulla, anzi proprio sul Nulla: se infatti il Rossi avesse conosciuto il (o si fosse meglio ricordato del) lavoro effettuato dal sottoscritto practitioner (come mi definisce), certe cose non si sarebbe nemmeno sognato di scriverle, se in buona fede ovviamente. Non solo: se avesse letto per bene la mia nota introduttiva avrebbe dovuto capire che i miei interventi su L’Eternauta erano “scritti d’occasione” motivati da quanto in un determinato momento mi veniva sollecitato da libri, eventi, polemiche, letture varie, incontri eccetera. Le mie Cronache sono quel che il titolo dice, non un saggio organico e complesso sul tema dell’Immaginario. Quindi, in generale, se si parla molto di alcuni autori o poco o nulla di altri, il motivo è semplicemente questo: non una particolare simpatia (a parte un paio di casi espliciti) o antipatia per l’uno o l’altro. Inoltre, essendo quasi tutti i miei pezzi legati da un particolare filo conduttore critico, anche qui dovrebbe essere evidente che siano molto citati alcuni autori utili, anzi fondamentali, per la mia analisi, mentre altri del tutto inutili non sono stati presi in considerazione. Perché il Signor Rossi se la sia invece presa per questo e me ne faccia una specie di colpa, non lo si capisce. O meglio, lo si capisce benissimo: Sor Rossi che mi fa, inciampa sull’ideologia? Forse meriterebbe un bel Tapiro d’Oro, o no? Che una recensione si basi sul criterio di accusare un autore perché non ha parlato di questo o di quello, o non ha citato questo o quello è quantomai ridicolo e quantomai capzioso. Sor Rossi, ma si è accorto che, pur avendo quasi 400 pagine, la mia non è una “enciclopedia della fantascienza & affini”?

Ma entriamo un po’ più nel merito:

– Dick e Ballard, ahinoi, citati solo “di sfuggita”! E allora? Magari vuol dare a intendere che non li apprezzi, non li conosca, non li capisca? Tutt’altro: Sor Rossi lei non ha mai letto in vita sua L’Eternauta, altrimenti si sarebbe ricordato (e questo sì che lo avrebbe potuto contestare al povero autore ed a ragione) che su quelle pagine uscì un ampio articolo proprio su Ballard – insieme alla ripubblicazione del suo famoso “manifesto”. Ma dove sta lo spazio interiore? – che invece, insieme ad un altro articolo ha avuto la pessima idea di sfuggire alla antologizzazione (il che ha la portata di una catastrofe per uno come me che ama essere “completo”). Si vede anche, caro Signor Rossi, che lei non solo non ha mai letto la rivista di Traini, ma conosce assai malamente il lavoro fatto da me e Fusco per la Fanucci nelle cui collane vennero pubblicati due libri di Dick ed uno di Ballard, cioè i pochi ancora liberi negli anni Settanta. Che ne vogliamo dedurre?

– Evangelisti “evitato assolutamente di menzionare”, nonostante sia “l’unico scrittore professionista di fantascienza che abbiamo in Italia”! Grave ed ineludibile colpa, invero. Oggi di certo “famoso” per il Signor Rossi, ma ieri, ma vent’anni fa lo era effettivamente o era soltanto un Tizio qualsiasi? Vediamo un po’: un controllo delle date può essere quanto mai utile: il primo romanzo su Eymerich con cui esordì pubblicamente l’autore bolognese vinse il Premio Urania nel 1994 dopo innumerevoli riscritture come venne detto all’epoca, e apparve nella collana di Mondadori nell’ottobre di quell’anno. All’epoca – lo possiamo dire senza incorrere nel reato antidemocratico di lesa maestà? – Valerio Evangelisti era un Carneade fantascientifico, uno dei tanti che aveva vinto quel concorso, lungi dall’essere “l’unico professionista ecc. ecc.” Il secondo romanzo Le catene di Eymerich apparve su Urania nel luglio 1995: ma guarda un po’ il caso la mia collaborazione con la rivista di Traini si chiuse nel… luglio 1995! Bingo, Mr. Rossi! Che fa, mi cade sulle date? Altro tapiro. Mi spieghi perché mai ci potrebbe essere stata “una censura di tipo ideologico” per non essermi quindici anni fa occupato di un nome che aveva esordito con un paio di opere in cui nemmeno calcava troppo il pedale su certe sue idee politiche che sarebbero invece emerse in modo più esplicito soltanto in seguito. Come spero vivamente avrà ben notato, non avrei nemmeno avuto il tempo materiale di parlare di questo famoso scrittore in nuce sulle pagine dell’Eternauta. Lei mi accredita di una preveggenza in merito al futuro del grande autore bolognese che non possiedo, mio caro Signor Rossi, a parte il fatto (e può anche non crederci) che quei due primi romanzi non mi erano per nulla dispiaciuti (gli altri della serie sono stati semplicemente una ripetizione sino alla nausea dei medesimi schemi). Ohibò, poco egregio signore, le sue illazioni mi lasciano veramente allibito per usare un termine a lei caro;

– Jameson e Suvin: mi cospargo il capo di cenere per questa colpevolissima dimenticanza, soprattutto per l’arcinoto e arcimportante (allora, alla fine degli anni Ottanta) compagno professore Jameson: di lui, infatti, per quanto attiene al nostro specifico campo, era stato stampato in Italia soltanto un libricino in possesso di pochissimi specialisti in fantascienza (tra cui io) e che ha lasciata una traccia talmente fondamentale nella critica italiana specializzata in questo genere letterario da essere citato una volta sì e l’altra pure in articoli e libri dell’epoca e poi sino ai nostri giorni. Come, non ho citato il titolo? Scusate ma credevo fosse inutile, data la sua fondamentale importanza: ma si tratta de Le narrazioni magiche di pagine 84 edito nel 1979 da Lerici in quel di Cosenza… Chiedo venia, ma che ci posso fare se non mi ha offerto alcuno spunto di riflessione utile per i miei interventi sulle pagine dell’Eternauta? Lo stesso vale per Darko Suvin (con il quale, forse a Mr.Rossi interesserà saperlo, presentai anni fa alla Casa delle Letterature di Roma la nuova edizione di Solaris negli Oscar Mondadori con la mia provocatoria introduzione) autore di un grosso tomo sulle Metamorfosi della fantascienza (Il Mulino, 1985) con una introduzione assai dubitativa di Oreste del Buono. Ammetto colpevolmente: non sono mai stato un marxista, ma la loro matrice ideologica poco mi condiziona: se c’era qualcosa da dire nel bene o nel male l’avrei detta. Il fatto che entrambi siano di “radice marxista” non vuol dir nulla, se solo mi avessero fornito il motivo di parlarne: si veda lo spazio dedicato all’opera di un altro marxista non pentito come Asor Rosa, o a quella di Marco Paggi. Viceversa le ampie citazioni di Eliade, dovrebbe convenirne il Signor Rossi, sono proprio giustificate dal fatto che, indipendentemente dalle sue posizioni ideologiche o presunte tali, sono state le sue intuizioni sul mito e il sacro ad essere di base delle mie “teorie”, se vogliamo presuntuosamente definirle così. Tolkienianmente – mi è consentito dirlo? – le radici non gelano, né quelle “marxiste”, né quelle “di destra”.

Le arrampicate sugli specchi, però, non finiscono qui perché il Rossi, a questo punto, fa tutto un elenco di nomi dei quali negli interventi su L’Eternauta non mi sarei occupato: avrei ordunque peccato di gravi omissioni fantascientifiche, per di più – forse – per inconfessabili motivi extraletterari. L’argomentazione è invero allettante per scoprire i miei altarini faziosi, ma al contempo è quantomai sintomatica di un certo modo di pensare. Infatti, lo stesso fondamentale rilievo si potrebbe fare a chiunque, addirittura allo stesso nostro documentatissimo contestatore. Mi si consenta di ricordare ancora una volta che in quel lontano tempo stavo scrivendo dei semplicissimi articoli per un mensile a fumetti e non voci di una virtuale “enciclopedia della fantascienza universale”. Ma il punto è non tanto questa pinzillacchera, quanto le deduzioni che il Signor Rossi ne ricava. Anzi, vere e proprie illazioni che, per usare un termine cui sembra parecchio affezionato, lasciano allibiti sul suo modo di pensare e valutare. Vediamo:

– Delany non citato perché… “afroamericano”! Incredibile ma vero, invece Delany è assai spesso citato nelle introduzioni ai volumi della Fanucci che evidentemente il Rossi non conosce o ha dimenticato: il che vuol dire che l’essere l’autore di Babel 17, pensate un po’, addirittura coloured non ha mai pesato per me né in bene né in male;

– Sheldon/Tiptree non citata perché… “donna”! Ah, la misogenia congenita di questo de Turris a che vette di provocazione arriva… Sta di fatto che romanzi fantascientifici e fantastici di donne con le gonne le collane della Fanucci sono tutt’altro che carenti. Invece che elencarli invito il distratto Signor Rossi a spulciare con attenzione, così come ha fatto con l’indice dei nomi di Cronache, l’elenco del centinaio di testi curati all’epoca da me e Sebastiano Fusco (prendere nota: è la seconda volta che lo cito);

– Disch “menzionato una sola volta en passant” perché…. “omosessuale”! Ah, l’omofobia innata di questo mascalzone di de Turris… Spiace dirlo, ma spiace veramente: il nostro Rossi ignora bellamente che fummo noi a pubblicare nella collana “Futuro” quel capolavoro di Disch, 334, chissà perché ignorato da tutte le altre collane di fantascienza dell’epoca. Applicando il ragionamento rossiano ci si potrebbe chiedere il perché: forse i curatori di allora erano tutti omofobi, a parte GdT&SF? Sarebbe gradita una illazione in merito;

– infine, mi sentirei “più a casa mia nel continente della fantasy e dell’horror che in quello della fantascienza”: il Rossi, che pur afferma di considerarmi “con le mani in pasta in questo genere (e non da ieri)”, dimostra invece di non conoscere la mia carriera (iniziata nel 1961: era egli già nato?), né i miei interessi, né la loro evoluzione. Lo ammetto con un certo qual senso di colpa: ebbene sì, sono a mio agio in tutti questi tre aspetti dell’Immaginario, ho cercato di riunirli in un’unica categoria generale proprio per non discriminarli fra loro, e li ho considerati tutti allo stesso livello di importanza. È grave, Dottor Rossi?

Da tutto questo coacervo di affermazioni, di qui-lo-dico-qui-lo-nego, di dubbi lanciati ai lettori, se ne ricava una sola conclusione. Il Rossi non sa esattamente quel che scrive, o se lo sa è prevenuto e fa illazioni che non si reggono in piedi e danno una immagine del sottoscritto volutamente fuorviante ai lettori della prestigiosa rivista di cui è a sua volta prestigioso collaboratore, ovverosia Pulp. Ne consegue anche un corollario, decisivo e sintomatico: da quel che il Signor Rossi scrive si dovrebbe pensare che, se dovesse fare delle scelte editoriali, se dovesse indicare dei testi da tradurre in italiano, egli privilegerebbe certe opere solo in quanto di “marxisti”, “omosessuali”, “afroamericani”, “donne”. Se dovesse recensirle, questo sarebbe il suo metro di giudizio per valutarle. Esclusivamente questo il criterio che sta a monte e surclassa ogni altro valore letterario, e non il fatto che si tratti di opere ben scritte, originali, valide, appassionanti, piene di idee, ricche e profonde. Cioè, la sua ipotetica scelta o la sua ipotetica valutazione sarebbe esclusivamente di tipo ideologico e non culturale (letterario). Come appunto è ideologica la sua recensione al mio libro, e proprio per questo zeppa di pregiudizi e quindi di errori. Il che non è bello, sa, Signor Rossi: non siamo più negli anni Settanta, la cosiddetta critica militante ha fatto il suo tempo da un bel pezzo, è morta e seppellita senza grandi rimpianti. Parce sepulta. Quasi quasi non ne fanno più uso l’Unità, il giornale fondato da Gramsci, quello della egemonia culturale, e forse nemmeno Liberazione e Il manifesto. Su, su, Sor Rossi farebbe meglio ad aggiornarsi. Non è particolarmente faticoso, basta un po’ di buona volontà…

* * *

PS. È alquanto singolare la critica terminologica che il Signor Rossi fa alla decisione di utilizzare parole inglesi nel sottotitolo del mio libro. È la prima volta che mi succede di venire accusato di esterofilia, quando è sempre accaduto il contrario. La risposta è banalissima: si sono scelti i termini inglesi per evitare una brutta ripetizione rispetto al titolo (Cronache del fantastico – Fantascienza fantastico orrore…). Non era difficile capirlo, bastava non essere prevenuti e conoscere la mia carriera.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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