La ricerca dell’Uno nel neoplatonismo del ‘400

Sommario

1. Linee generali della rinascita del neoplatonismo in Italia. Cenni storici su Gemisto Pletone e le prime Accademie neoplatoniche in Italia.

2. La fondazione dell’Accademia Platonica a Firenze: evocazione dell’idea di una Riforma spirituale.

3. Il Trattato “Sopra lo Amore” ovvero Commento al Convito di Platone. Motivi spirituali, filosofici e letterari di interesse attuale per il testo.

4. La dottrina dell’Amore in Marsilio Ficino. Platonismo e neoplatonismo sulla dottrina dell’Amore. I tre Mondi. La legge ternaria. I gradi della Bellezza. I vari tipi e gradi di Amore.

5. L’Amore quale Via verso l’Uno. Concezione dell’Uno. Ascesa per gli stati dell’Essere. Amore sensibile ed Amore spirituale.

* * *

L’impulso spirituale (1) ed intellettuale (2) che determina la rinascita del neoplatonismo in Italia viene impresso da una figura poco considerata nel panorama della cultura ufficiale laica e cattolica del Novecento ma che, da circa un decennio, è stata gradualmente riscoperta e valorizzata; mi riferisco a Giorgio Gemisto Pletone, di cui solo negli anni ’90, sono state, per la prima volta, pubblicate in Italia, alcune opere, peraltro brevi, ma dense di contenuti spirituali, religiosi e filosofici che offrono molteplici spunti di riflessione (3).

All’età veneranda di 80 anni, Pletone compie il suo unico viaggio in Occidente, in occasione del Consiglio ecumenico di Ferrara e Firenze del 1454 nel quale si incontrarono la Chiesa cattolica di Roma e quella greco-ortodossa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato – ed è plausibile – che il suo pupillo Bessarione – allora monaco, poi cardinale e filosofo in Italia – abbia persuaso Pletone a prendere parte alla delegazione greca al seguito dell’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo.

Quel che si sa di lui è che durante il suo soggiorno in Italia si era dimostrato, oltre che prodigo di suggerimenti e chiarificazioni, anche abile nell’istruire e argomentare nelle varie conferenze che aveva accettato di svolgere.

Egli aveva studiato a Costantinopoli, seguendo il corso di studi fondato sull’eredità culturale della Grecia classica; sollecitato dai suoi docenti, si era interessato all’approfondimento della filosofia di Platone che a Bisanzio era stata riscoperta e valorizzata sin dall’XI secolo d.C., dopo la svolta neoplatonica impressa alla filosofia in particolare dal filosofo Michele Psellos (4). In seguito, Pletone si era spostato alla corte turca di Adrianapoli o a Prusa ove aveva studiato, sembra, col filosofo ebreo Eliseo (5 ).

In quel contesto, probabilmente, approfondì i commentatori arabi di Aristotele nonché lo Zoroastrismo, l’astrologia e l’astronomia. Secondo H. Corbin (6), fu grazie all’incontro con Eliseo che Gemisto conobbe la filosofia mistica del pensatore arabo-persiano Shorawardi (XII secolo), nel cui impianto dottrinario risultano fondamentali Hermes, Zoroastro e Platone; si trattava, in altri termini, di una rilettura della sapienza mazdaica dell’antica Persia alla luce della filosofia di Platone e senza allontanarsi dalla fede religiosa islamica.

Siamo quindi in presenza di un tipico esempio di sincretismo religioso e filosofico in cui convergono religione islamica, platonismo e zoroastrismo mazdaico.

E’ discussa e controversa la storicità della figura di Eliseo, che consociamo solo attraverso gli scritti di Giorgio Scholarios, ossia Gennadio II, primo patriarca di Costantinopoli sotto il dominio turco. Quel che ci interessa, in questa sede ed ai fini del tema presente, è la proposta di Henri Corbin, di procedere ad una disamina comparativa e sistematica fra la dottrina di Gemisto Pletone e quella di Shorawardi, per verificare se si possano realmente cogliere delle affinità e delle coincidenze fra i due sistemi di pensiero. La questione è importante, se si considera che la figura di Zarathustra è citata in Ficino (7) e che nel dipinto di Raffaello “La Scuola di Atene” – che tuttora si ammira nella Sala della Segnatura dei Musei Vaticani – è raffigurato anche Zarathustra accanto ad Hermes (8).

Raffaello Sanzio, La scuola di Atene (1509-1511). Musei Vaticani, Città del Vaticano
Raffaello Sanzio, La scuola di Atene (1509-1511). Musei Vaticani, Città del Vaticano

E’ noto, infatti, che la migliore arte italiana del ‘400 e del ‘500 risente fortemente dell’influenza neoplatonica (9). L’approfondimento delle influenze della filosofia mistica islamico-persiana su Gemisto Pletone ed il neoplatonismo rinascimentale aprirebbe nuovi orizzonti non solo sulla ricchezza e complessità di stratificazione culturale del Neoplatonismo ma soprattutto sulla ricchezza e fecondità di contatti culturali fra Oriente e Occidente, fra Islam e Occidente nel periodo storico intermedio fra Medio Evo e Rinascimento. E’ un tema di grande attualità nella crisi epocale che oggi viviamo soprattutto se si considera che “il clima intellettuale creato da Shorawardi ed a lui sopravvissuto dopo il suo assassinio avvenuto ad Aleppo… avrebbe comunque dato vita ad un circolo esoterico di filosofi e teosofi shi-iti, quello degli israqiyun che di fatto continua ancora oggi” (10).

In altri termini, la presa di coscienza dei legami storici e culturali fra Occidente ed Islam (con tutta la stratificazione religiosa mazdaica zoroastriana che tuttora persiste in Persia seppure in forma minoritaria) favorirebbe un approccio diverso, più dialogico e costruttivo col mondo islamico e con quello sciita in particolare; ciò sarebbe di grande ausilio in una fase storica di crisi epocale nella quale, dopo l’11 settembre 2001, i rapporti fra Islam sciita ed Europa sono molto difficili, anche per ragioni di incomprensione culturale.

2. – Le conferenze di Pletone vennero ascoltate da Cosimo de’ Medici il quale ne rimase così influenzato ed affascinato da concepire l’idea di una Accademia Platonica in Firenze che si ponesse idealmente come erede di quella dell’antica Grecia fondata da Platone e ne rispecchiasse il modello. Fu Lorenzo il Magnifico – figura di intellettuale raffinato e di abile tessitore politico – a realizzare e sviluppare l’intento del suo predecessore, allorché fondò l’Accademia nella villa di Careggi, nelle adiacenze di Firenze.

Nel Commento al Convito, Marsilio Ficino scrive:

“Platone, Padre de’ Filosofi, adempiuti gli anni LXXXI della sua età, il VII dì di novembre, nel quale egli era nato, sedendo a mensa, levate le vivande, finì sua vita. Questo convito nel quale parimente la natività ed il fine di esso Platone si contiene, tutti gli antichi Platonici insino al tempo di Plotino e di Porfirio, ciascuno anno celebravano. Ma dopo Porfirio anni MCC si pretermessono queste solenni vivande. Finalmente ne’ nostri tempi il famosissimo Lorenzo de’ Medici, volendo il Platonico convito rinnovare, la cura di esso a Francesco Bandino commesse.
Conciò sia cosa adunque che il Bandino avesse ordinato onorare il VII dì di Novembre, invitati nove Platonici, con regale apparato nella villa di Careggi gli ricevette. Questi furono M. Antonio Degli Agli, Vescovo di Fiesole; Maestro Ficino, Medico; Cristofano Landino, Poeta, Bernardo Nuti, Retorico, Tommaso Benci; Giovanni Cavalcanti nostro famigliare che per la virtù dello animo, e per la nobilissima apparenza sua da’ convitati era chiamato Eroe, duoi de’ Marsupini, Cristofano e Carlo, figliuoli di Carlo, Poeta. Finalmente il Bandino volle ch’io fussi il nono: acciò per Marsilio Ficino a quegli disopra aggiunto, il numero delle Muse si ragguagliasse” (11).

Il numero dei membri rispecchia il numero delle 9 Muse, ciò rappresentando una implicita evocazione delle Entità Spirituali protettrici ed ispiratrici delle Arti liberali, che rientrano nel dominio di Minerva, la dea greca della sapienza. Ciascuno dei convitati aveva il compito di illustrare e commentare le varie orazioni in cui si articola il Convito di Platone. Il Commento del Ficino si configura come la risultante della conversazione dei dotti nella Villa di Careggi, anche se dalla lettura appare chiara l’impronta speculativa e la formazione culturale del Ficino.

Giova soffermarsi sulla scelta di Lorenzo il Magnifico di creare tale Accademia perché essa ha una pluralità di valenze che occorre chiarire.

Nel momento storico in cui avviene tale scelta, la cultura egemone era quella aristotelico-tomistica rispetto alla quale qualunque alterità culturale era presto sospettata di eresia (12). Dare impulso al risveglio della tradizione filosofica platonica voleva dire, in quel contesto storico-culturale, dare una svolta innovatrice e riformatrice alla cultura del tempo, una svolta tanto più rilevante e significativa ove si consideri che fu proprio nell’ambito di tale Accademia che si diede impulso alla traduzione dei classici, fra i quali ricordiamo le Enneadi di Plotino ed il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto.

Tale svolta era, al tempo stesso, un atto di rilievo politico, volto a marcare l’autonomia politica della Signoria di Firenze rispetto ai dettami della Chiesa cattolica di Roma. Una svolta resa possibile anche dalla natura delle relazioni economiche che intercorrono fra i due poteri, visto che i Medici erano i banchieri di molti ed anche del Papa, per cui godevano di un forte potere contrattuale. Creare l’Accademia platonica a Firenze voleva dire, inoltre, fare di Firenze un centro di riferimento culturale per i vari Stati presenti nella penisola, atteso che alcune Accademie platoniche erano state fondate a Rimini (13), a Napoli, a Ferrara, a Roma (14).

A Napoli, in particolare, un’Accademia platonica era sorta già alla metà del ‘400, sotto il regno di Alfonso I d’ Aragona, prendendo il nome di Accademia Alfonsina per poi essere rifondata sotto il nome di Accademia Pontaniana – in quanto rifondata dal Pontano alla fine del ‘400 – e riunirsi nella cappella Pontaniana sita nel Decumano Maggiore, nello stesso luogo in cui in precedenza sorgeva un mitreo della cui pianta rettangolare la Cappella conserva la forma, il che appare ben più che una mera coincidenza (15).

Fondare a Firenze l’Accademia platonica voleva dire anche aprirsi all’interscambio culturale con gli altri circoli neoplatonici delle altre città dell’Italia, dare luogo ad una koiné culturale che poteva anche vedersi nella prospettiva di una comune identità italiana. La storia dei rapporti fra le Accademie è tuttora da approfondire e va vista nel contesto del fermento innovatore che segna la cultura italiana del ‘400 (16).

Per completare, in linea di massima, il contesto storico-culturale, va considerata l’ipotesi di alcuni studiosi secondo i quali i Medici, avrebbero finanziato, grazie ai loro rapporti con banchieri tedeschi, una spedizione marittima sull’Atlantico alla scoperta, forse, di una nuova via per raggiungere l’Asia, il che coincide con la complessiva tendenza riformatrice di questa Signorìa. Se a ciò si aggiungono le carte nautiche ben documentate che attestano una conoscenza, in Occidente, dell’America nettamente anteriore alla scoperta ufficiale di Colombo e risalenti almeno alla metà del ‘400, si può avere un’idea più chiara del grande fermento culturale che contrassegna quel momento storico (17).

Il nucleo centrale del messaggio di Gemisto Pletone era quello di riscoprire, valorizzare ed attualizzare il patrimonio di saggezza del politeismo religioso ellenico come unica via di superamento delle tensioni, dei conflitti e delle guerre dovute alla intolleranza dei vari monoteismi religiosi di ceppo mosaico: l’ebraismo, il cristianesimo, l’Islam (18). Si tratta di un tema di grande attualità, in un momento storico in cui, dopo l’11 settembre, si è acuita fortemente non solo la tensione internazionale ma più specificamente il conflitto fra le varie religioni monoteistiche, anche in relazione allo status della città di Gerusalemme e dei “luoghi santi”.

Il neoplatonismo propugna pertanto una riforma spirituale molto audace in quel tempo in termini specificamente religiosi e cultuali, com’è dimostrato dai bellissimi versi dell’Inno ad Apollo scritto da Gemisto Pletone e contenuto nel Trattato delle Leggi (19). Tale riforma, come vedremo, è formulata con un linguaggio molto aulico e raffinato, con una ricchezza e complessità di contenuti tipica di una élite filosofica e letteraria, lontana dagli orizzonti del popolo e che, probabilmente, non riuscì ad innestare nel corpo vivo del tessuto sociale un progetto politico-culturale e religioso di tipo riformatore, forse perché troppo “avanti” rispetto al suo tempo.

Il neoplatonismo evocò – anche attraverso l’esplicito richiamo alle Muse – l’idea di una riforma spirituale che poi, non venendo realizzata, lasciò uno spazio vuoto, ma avendo comunque gettato il fermento di una sollecitazione innovatrice. Fu poi la Riforma luterana nell’Europa centrale a colmare, in una direzione ben diversa, l’istanza di un rinnovamento spirituale rispetto all’impianto culturale aristotelico-tomistico.

Nel quadro generale della spinta innovatrice e riformatrice del neo-platonismo – che è una sorta di “rivoluzione conservatrice”, un ritorno ad antichi archetipi riattualizzati in chiave di rottura dell’equilibrio culturale consolidato – occorre ora passare alla disamina del Trattato Sopra lo Amore di Ficino e del legame che intercorre fra concezione dell’Amore e ricerca dell’Uno.

3. – I motivi di interesse del trattato Sopra lo Amore di Ficino sono molteplici. Vi è un interesse letterario, trattandosi di una delle pochissime prose italiane del Ficino, una prosa elegante, raffinata, per chi voglia gustare la prosa quattrocentesca, di una signorilità aulica e dal sapore d’antico con la quale gli antichi trattavano la nostra lingua (20).

Altro grande motivo di interesse è quello filosofico, perché la speculazione filosofico-mistica sul tema dell’Amore, caratterizza in modo precipuo gli scrittori italiani prima e durante il Rinascimento e costituisce il tema prevalente di gran parte delle loro prose e della loro poesia.

Tale speculazione ha la sua più completa e matura espressione in varie opere del Ficino – prima fra tutte la Theologia platonica, scritta in latino – fra le quali anche questo volumetto, in cui il pensiero platonico del Ficino non è artificio o convenzione, ma una vigorosa fede intellettuale nelle ragioni profonde di questa corrente. L’interesse filosofico è duplice. Esso riguarda la capacità del Ficino di calarsi profondamente, di immedesimarsi nello spirito del pensiero di Platone. Il filosofo Giuseppe Rensi giustamente osserva che “il Ficino… riuscì quasi sempre a penetrare il pensiero di Platone, con più intima profondità di quanto, nonostante l’apparato critico immensamente progredito, non abbiano saputo fare molti moderni” (21).

Il Rensi osserva che il segreto per penetrare il pensiero di uno scrittore è quello di non porsi in un atteggiamento di critica ostilità, ma di “lasciarsi trasportare “ dalla corrente di idee che lo scrittore svolge ed espone. L’Amore – ossia, nella fattispecie specifica, la capacità di donarsi, di immedesimarsi interiormente nel mondo di idee di uno scrittore o di un pensatore – è il segreto della comprensione. La conoscenza nasce dunque dall’Amore; se si entra in un rapporto di simpatia profonda, se ci si “sente insieme”, si percepisce lo stesso pathos, si vibra sulla medesima frequenza. Il trattato dimostra che questa “sunpatéia” è massima nel Ficino rispetto a Platone. Chi scorra quelle pagine, chi le legga con fervore ed attenzione, coglierà questa disposizione immedesimatrice del Ficino.

Vi è poi, un secondo motivo di interesse. Il platonismo è appreso dal Ficino nella sua versione alessandrina alla quale egli aggiunge una nota originale, ossia la lettura platonico-alessandrina del cristianesimo. Il paganesimo è esposto secondo l’elaborazione religiosa e filosofica profondamente spirituale che i pensatori alessandrini vi avevano dato. Questo paganesimo di impronta filosofica tardo-ellenistica viene poi adottato come chiave di lettura del cristianesimo. Orbene, questo è un punto molto importante che, a mio avviso, il Rensi non colse appieno: il centro di riferimento, l’angolo di visuale è il platonismo alessandrino, non il cristianesimo che anzi viene riletto alla luce di quella filosofia.

L’unica fonte cristiana citata nell’opera è quella di Clemente Alessandrino, che è poi un autore di formazione neoplatonica. Se si coglie il nocciolo vivo, vero, della speculazione ficiniana sull’Amore, si vede che esso, come il più antico di tutti gli dèi, ha dato origine all’universo ed agli dèi, muove le anime dei pianeti, è la forza cosmica per cui un’anima, scoccando la sua scintilla tramite il linguaggio degli occhi, attira a sé un’altra anima; è una Volontà o Brama universale che può essere avvicinata per affinità, al pensiero di Schopenauer ed a quello di Bergson, alle filosofie volontaristiche e vitalistiche moderne, alla Volontà o allo slancio vitale.

Vi è, inoltre, un motivo di grande rilievo filosofico. Nel linguaggio del Ficino, l’Anima reca in sé e proietta fuori di sé la forma dei corpi, quindi proietta la materia. In un passo del suo Trattato egli scrive che “la materia la puoi trarre solo col pensiero” (22). Ciò rappresenta un’anticipazione di secoli rispetto all’Idealismo trascendentale dell’800, ossia il concetto per cui non è il mondo esterno che crea la coscienza ma è la coscienza che foggia il mondo esterno ed è lo “spirito” inteso come Io pensante – che forma e plasma la natura. Questo è un tema che il Rensi giustamente pone in rilievo ed è significativo dell’evoluzione intellettuale di questi filosofi del ‘400 rispetto ai loro tempi. Partendo dalla dottrina platonica delle idee innate, ne viene per conseguenza che ciò che l’uomo conosce come mondo esteriore è una proiezione delle idee, cioè delle forme pure che ha in sé.

Dopo queste linee generali, occorre ora entrare nel merito della dottrina dell’Amore nel platonismo del Ficino e cogliere poi i nessi fra dottrina dell’Amore e ricerca dell’Uno nella prospettiva neoplatonica.

4. – La dottrina dell’Amore

Il punto di partenza della dottrina dell’Amore e del suo rapporto con la ricerca dell’Uno è la dottrina dei 3 Mondi, che ha una sua precisa corrispondenza con la concezione greca della tripartizione dell’essere umano (23).

Gli antichi greci (Orfeo e gli orfici, Esiodo, Parmenide, Platone nel Timeo e nel Fedro) pongono il Caos prima del Mondo e prima di Saturno, ove per Caos intendono – come spiega Ficino – il “mondo senza forme”. Dio – che viene identificato col “Bene” – ha creato la Mente Angelica, l’Anima del Mondo e, infine, il Corpo dell’Universo. A questi tre mondi – indicati in ordine di priorità cronologica ed anche in ordine gerarchico secondo la loro vicinanza a Dio – corrispondono tre caos. La mente Angelica è il primo Mondo fatto da Dio, il secondo è l’Anima dell’Universo, il terzo è il mondo sensibile.

Il processo che viene descritto è analogo su vari piani. Per un “appetito innato” la mente Angelica si rivolge a Dio suo principio; questo “voltamento” è il “nascimento d’Amore”, ossia l’inizio dell’attrazione, a causa ed a seguito della quale riceve un raggio divino, da Ficino definito “nutrimento d’Amore”, in seguito al quale si accende l’appetito del divino. L’accostarsi a Dio è l’impeto d’Amore; la sua formazione è perfezione d’Amore e il radunarsi e concretizzarsi di tutte le forme è ciò che i latini chiamano Mondo e i greci Cosmo “che significa ornamento” precisa Ficino.

La grazia – il potere fascinoso e attrattivo di tale ornamento – è la Bellezza alla quale Amore attrasse la mente Angelica. La peculiarità dell’Amore sta nel suo attrarre le cose alla bellezza e di aggiungere le brutte alle belle. L’Amore è dunque Amore per la bellezza, attrazione misteriosa verso la bellezza e poiché tre sono i Mondi e diversi sono i gradi della bellezza, esistono corrispondenti gradi di Amore, da quello sensibile a quello volto alla bellezza delle forme archetipiche ed infine alla bellezza del divino.

La Mente Angelica – come stato dell’Essere – è quella in cui nascono gli dèi ed il mondo; essa sente, concepisce questo “appetito” verso Dio che è il sorgere dell’Amore, per cui si può comprendere perché gli orfici chiamassero Amore “antichissimo dio”. Peraltro egli è “per sé medesimo perfetto”, ossia dà perfezione a sé stesso, proprio perché nascendo nel “voltamento” verso Dio, da lui la mente Angelica riceve la sua luce.

Sono dunque tre i Mondi ed in tutti l’Amore desta le cose che dormono, illumina le tenebrose e dà vita alle cose morte, forma le non formate e dà perfezione alle imperfette.

La funzione dell’Amore

Per Ficino il compito della vita umana è quello di tendere al bene e fuggire il male; le leggi e i costumi hanno sempre avuto la funzione di dare agli uomini gli istituti idonei ad allontanarli dalle brutture ed a dare attuazione a quelle “oneste”. Questa inclinazione positiva può essere conseguita con maggiore facilità e speditezza solo grazie all’Amore che è, essenzialmente, “desiderio di Bellezza”. Per Bellezza Ficino intende una “certa Grazia” che scaturisce dalla corrispondenza, ossia dall’armonia, di varie componenti ed è di tre tipi.

La grazia che è negli animi è, per lo più, corrispondenza di più virtù. Quella che è nei corpi nasce dalla “concordia di linee e colori”, mentre quella che è nei suoni scaturisce dalla “corrispondenza di più voci”.

La bellezza è, dunque, di tre tipi: degli animi, dei corpi, delle voci. Quella dell’Animo può essere conosciuta solo con la mente; quella dei corpi con gli occhi, quella delle voci si coglie con la facoltà dell’udito. Se la bellezza è grazia, concordia di varie componenti e l’Amore è desiderio di bellezza, esso è dunque una naturale attrazione verso la corrispondenza, la concordia, l’armonia. Orbene, questa corrispondenza è, in fondo, una “certa temperanza”, ossia un rapporto proporzionato, equilibrato fra varie componenti, per cui l’Amore non desidera altro che quelle cose che sono “temperate, modeste, onorevoli”.

Subentra quindi la distinzione fra Amore e voluttà, fra desiderio di bellezza e piaceri “veementi e furiosi” che allontanano la Mente dal suo vero stato e turbano la serenità dell’uomo. Questi piaceri, queste voluttà sono per loro natura intemperanti e quindi contrari alla bellezza, per cui l’Amore vero fugge “lo sfrenato incendio” della lussuria. Il timore della bruttezza – che è intemperanza, mancanza della misura, scompostezza – e il desiderio della bellezza, ma anche della Gloria che nasce da imprese onorevoli, sono spinte che procedono dall’Amore, secondo una ritmicità che giova approfondire.

La legge del Tre

Ficino si richiama alla filòsofia pitagorica, ricordando che per i Pitagorici il numero ternario è la misura di tutte le cose, principio ripreso da Virgilio allorché scrive: “Del numero non pari si diletta Dio”.

Il “sommo Autore” dapprima crea tutte le cose; poi, a sé le rapisce, infine dà loro perfezione. Negli Inni orfici Orfeo chiama Giove “Principio, Mezzo e Fine dell’Universo”. Principio, in quanto produce tutte le cose; Mezzo, in quanto, una volta create le cose, a sé le attira; Fine perché le fa perfette nel mentre ritornano a lui.

In quanto crea le cose, è chiamato Buono; Bello in quanto attrae a sé le cose create, Giusto perché le fa perfette “secondo i meriti di ciascuna”.

I teologi antichi, volendo dare una immagine geometrica, posero la Bontà nel Centro e posero nel cerchio la Bellezza che è anzi, in vari gradi, comune a quattro cerchi concentrici che sono: la Mente Angelica, l’Anima, la Natura e la Materia.

La mente Angelica è un cerchio stabile, per la natura stessa di questo stato dell’essere, cioé quello della mente spirituale. L’Anima é, di per sé, mobile. La natura “si muove in altri ma non per altri”. La materia è mossa non solo in altri, ma da altri.

La Bontà di tutte le cose è, dunque, Dio Uno per il quale “tutte le cose sono Buone”; la bellezza è il raggio di Dio infuso in quei quattro cerchi concentrici. Tale raggio “dipinge”, ossia dà forma nei quattro cerchi alle specie di tutte le cose, e noi chiamiamo quelle specie “idee” sul piano della Mente Angelica, nell’Anima del Mondo ragioni; nella Natura le chiamiamo “semi”, nella Materia abbiamo le “forme”. Pertanto, nei quattro cerchi – che sono altrettanti stati dell’Essere – rifulgono quattro splendori: delle idee, delle ragioni, dei semi, delle forme.

Orbene, a dire il vero, chi abbia letto il Simposio di Platone coglie che questa concezione dei gradi e stati di manifestazione del divino – del bene – ossia della realtà come emanazione del divino e che al divino ritorna è, in realtà, una risonanza in Ficino della filosofia di Plotino come riportata da Porfirio, piuttosto che una impostazione genuinamente platonica. In Platone abbiamo infatti il dualismo Mondo delle Idee-Mondo delle forme, che nella fase tarda del suo pensiero tentò di attenuare e risolvere, introducendo la concezione del Demiurgo (24).

Fu la filosofia di Plotino – che risentiva dell’influenza della lezione di Ammonio Sakkas a sua volta discepolo dei predicatori orientali induisti e buddisti inviati in Egitto dall’imperatore indiano Asoka – che vide il mondo come emanazione del Bene a vari gradi e livelli di intensità, proprio per rielaborare e risolvere il dualismo platonico (25).

Nel ‘400 non vi era ancora una consapevolezza della specificità del neoplatonismo rispetto a Platone; la qualificazione di neoplatonismo è un frutto, nella storia della filosofia occidentale, di una elaborazione ermeneutica che parte dall’800. Tale dottrina, che nel suo emanazionismo, concepisce l’Essere in modo unitario e organico, ossia una realtà articolantesi in vari livelli, stati e gradi di manifestazioni dell’Uno – viene accostata da Ficino alla dottrina di Zarathustra, elemento significativo alla luce delle influenze spirituali e culturali di cui aveva risentito Gemisto Pletone.

“Zoroastro pose tre principii del Mondo, Signori di tre ordini: Oromasin, Mitrin, Arimanin: i quali Platone chiama Dio, Mente, Anima; e quei tre ordini pose nelle spezie divine, cioè Idee, Ragioni e Semi: Le prime, a dunque, cioè le Idee, circa il primo, cioè circa Dio: perché da Dio son date alla Mente e riducono essa Mente a Dio medesimo; le seconde circa il secondo, cioè le Ragioni circa la Mente, perché elle passano per la Mente nell’Anima; e dirizzano l’Anima a la Mente; le terze circa il terzo, cioè i Semi delle cose circa l’Anima: perché mediante l’Anima passano nella Natura, che s’intende nella potenzia del generare: e ancora congiungono la natura a l’Anima. Per il medesimo ordine, dalla natura nella materia discendono le forme” (26).

E’ degno di nota che Mitrin, cioé Mithra, venga posto in una posizione intermedia Dio e Ahriman, fra Oromasin a Ahriman, ossia fra Ahura Mazda ed il Signore delle Tenebre. Ciò corrisponde sia al contenuto delle fonti antiche ove Mithra è “mesìtes”, sia al contenuto stesso della iconografia mitriaca, in cui Mithra non è il Sole, ma un eroe solare, un alleato del Sole, quindi già collocato in una posizione di emanazione.

Peraltro la gerarchia dei Princìpi qui esposta – Idee, Ragioni, Semi – che discendono progressivamente da Dio alla mente, dalla mente all’Anima, da questa alla natura e dalla natura alla materia costituisce il modello archetipico universale della gerarchia normale dei princìpi costitutivi dell’uomo – Io come Principio spirituale, Anima come “corpo astrale”, Natura come “corpo eterico”, materia che corrisponde al corpo fisico – di cui parla l’esoterista Massimo Scaligero nei suoi testi (27) e che dovrebbero essere ordinati nel senso di un dominio degli aspetti superiori dell’uomo su quelli inferiori, mentre nella condizione ordinaria la gerarchia è capovolta.

Le Due Veneri

Da questa concezione dei tre mondi scaturisce, in Platone, la concezione dell’Amore come alleato di Venere e tanti sono gli Amori quante sono le Veneri. Il filosofo greco nel Simposio narra di due Amori e di due Veneri, l’una celeste, l’altra volgare. Sono pagine celebri del Simposio (30) che Ficino così commenta:

“Quando la bellezza del corpo umano si rappresenta agli occhi nostri, la nostra Mente, la quale è in noi la prima Venere, ha in reverenza e in Amore la detta Bellezza, come immagine dell’ornamento divino; e per questa a quello spesse volte si desta. Oltre a questo la potenza del generare, che è Venere in noi seconda, appetisce di generare una forma a questa simile. Adunque in amendue queste potenze è lo Amore, il quale nella prima è desiderio di contemplare, nella seconda è desiderio di generare bellezza. L’uno e l’altro Amore è onesto, seguitando l’uno e l’altro divina immagine” (28).

L’Amore volgare è desideroso della bellezza fisica, appetito di generare una forma simile alla bellezza spirituale. L’Amore celeste è contemplazione della Bellezza come immagine dell’“ornamento divino”.

Nel Simposio e in Ficino, l’Amore volgare è concepito come un grado di prima approssimazione, di avvicinamento ad una più alta forma di Amore per un più sottile e profondo tipo di bellezza. La riflessione parte dal carattere proprio all’Amore comune, il suo essere sempre inappagato, mai del tutto soddisfatto e quindi sempre in cerca di nuovi sbocchi che però rimandano, in una corsa indefinita, a nuove spinte, a nuovi riferimenti. Da ciò scaturisce che il vero Amore, ciò che dà il vero appagamento, è di natura superiore e riguarda una più alta forma di Bellezza.

“Ma lo Amore – scrive Ficino – per nessuno aspetto o tatto di corpo si sazia. Adunque e’ non cerca natura alcuna di corpo, e cerca pure la Bellezza. Onde e’ si conchiude che ella non può essere cosa corporale. Per tutte queste cose si vede, che quelli che accesi di Amore, hanno sete della Pulchritudine, se vogliono col beveraggio di questo liquore, spegnere l’ardentissima sete, bisogna che e’ cerchino il dolcissimo Umore della Bellezza, per ispegnere la sete loro atroce, ch’è nel fiume della materia e ne’ rivoli della quantità, figura e colori” (29).

Subentra quindi la trattazione della Bellezza come “splendore del volto di Dio” che Ficino descrive con un linguaggio ed una struttura concettuale che sono tipici del ‘400 e che risentono anche della angeologia sia iranica che cattolica. La concezione di base è quella platonica ma è evidente la persistenza di altri influssi, dal neoplatonismo tardo-imperiale alla teologia cattolica, da reminiscenze zoroastriane al gusto raffinato per il linguaggio aulico che riprende tendenze stilistiche dell’ambiente “cortese” medievale .

“Queste pitture si chiamano nelli Angeli, esemplari e idee; nelli animi, ragioni e notizie; nella materia del Mondo, immagini e forme. Queste pitture son chiare nel Mondo, più chiare nell’Animo, e chiarissime sono nell’Angelo. Adunque un medesimo volto di Dio riluce in tre specchi, posti per ordine, nell’Angelo, nell’Animo, e nel corpo mondano; nel primo, come più propinquo, in modo chiarissimo; nel secondo come più remoto, men chiaro; nel terzo come remotissimo, molto oscuro” ( 30).

Segue poi una trattazione molto articolata ed analitica dei modi e dei linguaggi d’Amore, del rapporto Amore-medicina e Amore-arti, della sua fruizione, dei vari tipi di passione, delle insidie insite nell’Amore, delle doti che dovrebbero avere gli amanti (31).

E’ una disquisizione finissima, sottilissima, profonda e perspicace che merita, per chi sia cultore del pensiero rinascimentale, una lettura fervida, coltivata con Amore, l’Amore del conoscere la filosofia dell’Amore. E’ una disquisizione originale del Ficino – questo è il punto saliente – i cui contenuti non risalgono tutti al Simposio, alcuni essendo del tutto autonomi rispetto alla trattazione platonica (32).La trattazione dell’Amore non sarebbe esauriente se non andassimo alla ricerca del suo fondamento mitico e spirituale.

Il mito dell’androgino

Secondo il mito greco, raccontato dal poeta Aristofane, in origine i sessi erano tre: maschile, femminile, ermafrodito. Quest’ultimo, essendo di natura superba ed insolente, al punto da sfidare gli dèi, suscitò le ire di Giove che per punizione lo segò in due parti. Egli le fece poi rimodellare da Apollo, dando a ciascuna di esse la facoltà di ricongiungersi all’altra per via sessuale, in modo da ricomporre l’unità originaria perduta. Per Ficino il mito narrato da Aristofane va letto in modo allegorico. Dal momento che per Platone l’uomo non è il corpo ma la sua anima, il mito – secondo Ficino – va riferito all’anima e non al corpo. Esso è un simbolo dell’itinerario dell’anima dalla sua iniziale condizione di purezza spirituale alla sua caduta nel corpo. Quando sono create da Dio “sono l’anime di due lumi ornate, naturale e sopra naturale, acciò che pe ‘l naturale le cose equali e inferiori, pe ‘l sopra naturale le superiori considerassimo”(IV,,2, p.61). Quando le anime, per un loro atto di superbia, vogliono rendersi eguali a Dio, perdono il lume sovrannaturale, cioè la facoltà della conoscenza spirituale e precipitano nei corpi. Dal lume naturale sono sollecitate a riprendere, a riscoprire il “lume sopra naturale” con studio di verità, ossia con la ricerca interiore. Riscoperto questo lume superiore, saranno intere, ritroveranno la completezza originaria che avevano smarrito. Occorre dunque – secondo Ficino – assecondare Amore, ossia quel desiderio innato che ci fa cercare la nostra unità primordiale.

La lettura neoplatonica si svolge tutta su questo piano, che svincola la comprensione del mito dell’androgino da qualunque riferimento sessuale. Se Amore è questa spinta innata verso l’unità originaria, occorre però comprendere bene la sua natura, che è complessa, ambivalente, ricca di possibilità ma anche di insidie.

Amore come Démone, figlio di Poros e Penia

Altro punto saliente che merita di essere focalizzato è la parte del Commento in cui Ficino affida a Tommaso Benci l’onere di commentare l’orazione pronunziata da Socrate (VI, I, p. 109). Questi, aveva riferito ai convitati il contenuto del dialogo con la saggia Diotima – figura femminile legata al mondo dei Misteri – la quale gli aveva rivelato la natura “mediana” di Amore , narrando il mito della nascita del figlio di Poro e Penia. Amore, in quanto figlia dell’Abbondanza e della Povertà, in quanto intreccio di ricchezza e di insoddisfazione, è un essere intermedio fra bellezza, bontà, beatitudine ed i loro opposti, come pure fra il divino e l’umano. E’ una peculiarità dell’Amore quella di uno stato intermedio fra la percezione della bellezza – dunque un parziale possesso – ed il suo completo godimento; esso è dunque bello e non bello al tempo stesso. Proprio per questa sua natura per Diotima Amore non è un dio ma un démone (dàimon), intermedio fra cielo e terra, fra umano e divino. Pertanto esso è un collegamento, un tramite verso la bellezza divina, ma può anche trascinare l’uomo verso la terrestrità.

In questa sede, ai fini del presente tema di approfondimento, ci interessa illuminare lo sbocco della trattazione ficiniana, ossia il rapporto che intercorre fra l’Amore nei suoi diversi tipi e gradi e la ricerca dell’uomo volta a ristabilire il contatto con l’Uno.

La Via dell’Amore e la ricerca dell’Uno.

L’Amore come desiderio di bellezza è inteso come una Via di apertura al Divino, partendo dal grado più sensibile fino a quello più elevato. Leggiamo Ficino:

“Insino a qui si è detto che le due abbondanze dell’Anima, e de’ due Amori: per lo avvenire diremo per che gradi Diotima innalza Socrate da lo infimo grado per i mezzi al supremo, tirandolo dal corpo a l’Anima; da l’Anima a lo Angelo, da l’Angelo a Dio”(33).

Ed ancora, la dottrina dell’Uno è così esposta:

“…Finalmente sopra la Mente Angelica è quel principio dello universo e sommo Bene, il quale Platone nel Parmenide chiama esso Uno. Imperocchè sopra ogni moltitudine delle cose composte debbe essere esso Uno semplice per sua natura. Perchè da Uno in numero e da i semplici ogni composizione depende. E quella mente Angelica benché sia immobile, nondimeno è essa Unità semplice e pura. Ella intende sé medesima: ove pare siano fra loro diverse queste tre cose: quello che intende, quello che è inteso, e lo intendimento. Altro rispetto è in lei in quanto intende; altro in quanto è intesa, e altro in quanto a lo intendimento. Oltre a questo ha la potenzia di conoscere; la quale innanzi a lo atto de la cognizione, per sua natura è senza forma; e conoscendo s’informa. E questa potenzia intendendo desidera il lume della verità e piglialo quasi, come quella che di questo lume, prima che intendesse, mancava. Ha ancora in sé moltitudine di tutte le idee. Tu vedi quanta e quanto varia moltitudine e composizione sia nello Angelo. Per la qual cosa siamo costretti quello che è Unità semplice e pura, preporre allo Angelo; e a questa Unità che è esso Dio, non possiamo alcuna cosa anteporre. Perché la vera Unità è fuori d’ogni moltitudine e composizione…”(34).

Da questa dottrina dell’Uno e dalla molteplicità degli stati dell’Essere, discende la concezione dell’ascesa dell’uomo attraverso i vari stati che Ficino così illustra:

“Adunque dal corpo a la Anima, da l’Anima a l’Angelo da l’Angelo a Dio, salire dobbiamo: Dio è sopra la eternità; l’Angelo nella eternità è tutto; perché la essenzia è operazione sua e stabile. E lo stato dell’eternità è proprio. La Anima è parte nella eternità, e parte nel tempo. Perché la sustanzia sua è sempre quella medesima senza alcuna mutazione di crescere, o di scemare. Ma l’operazione sua… per intervalli il tempo discorre. Il corpo in tutto è sottoposto al tempo; perché la sustanzia sua si muta e ogni sua operazione richiede spazio temporale. Adunque esso Uno è sopra movimento e stato: l’Angelo è nello stato, l’Anima nello stato, e nel movimento insieme; il corpo è solo nel movimento. Ancora esso Uno sta sopra il numero e movimento e luogo; l’Angelo sta nel numero sopra il movimento e il luogo; l’Anima è nel numero e nel movimento, ma sopra luogo; il corpo è sottoposto al numero, movimento e luogo. Imperocché esso Uno non ha numero alcuno; non ha composizione di parti; non si muta da quello che è in alcun modo; e non si rinchiude in luogo alcuno” (35).

L’Uno, ossia Dio, trascende l’eternità, e qualsiasi determinazione numerica, quindi anche lo stesso Uno. Qualunque determinazione, foss’anche l’eternità o l’Uno, è inadeguata ad esprimere il senso della Trascendenza che è al tempo stesso presente, con vari riflessi e in vari gradi, in tutto il manifestato.

Questa concezione risente della filosofia di Plotino, poiché l’Uno è un concetto specificamente, peculiarmente plotiniano, per cui Ficino riferisce a Platone ciò che in effetti non è un pensiero platonico, ma una elaborazione successiva del neoplatonismo. Platonico è il concetto del bene, platonica è la concezione delle idee come mondo di “éidos”, di forme pure, ma non è platonica la concezione della Mente Angelica che risente della dottrina emanazionista plotiniana nonché della angeologia cattolica che, a sua volta, media l’angeologia iranica.

E’ quanto mai felice, a questo punto, rileggere un brano del Simposio di Platone che riassume efficacemente e con bellezza poetica la concezione dell’Amore come Via di elevazione interiore, come passaggio dalla conoscenza del bello sensibile al Bello Ideale, ornamento del bene, dell’Uno che è il divino.

“Proprio in questo, difatti, consiste la via giusta per procedere verso la disciplina amorosa, o esservi condotto da un altro: cominciando dalle cose belle di questo mondo, innalzarsi sempre – con quell’oggetto, il bello, come fine – mediante l’aiuto, per così dire, di scalini, da uno solo a due e da due a tutti i corpi belli e dai corpi belli alle maniere belle di vita e dale maniere di vita agli apprendimenti belli, e dagli apprendimenti innalzarsi e finire in quell’apprendimento, che non di altro è apprendimento se non di quel bello in se stesso; e coglierà, giunto al compimento, proprio ciò che è bello, come tale. E’ questa regione della vita, caro Socrate – disse la straniera di Mantinea – proprio qui, se mai altrove, che è degna di essere vissuta da un uomo che contempli il bello in se stesso” (36).

L’Amore è dunque, nei suoi vari gradi, una via di elevazione spirituale. Sul piano dell’amore terreno, nel donarsi e dedicarsi ad un altro essere, nel divenire addirittura “dimentico di sé”, esso è una esperienza fondamentale ed insostituibile di superamento del senso dell’ego, della chiusura nel proprio egoismo, della “malattia dell’importanza personale”, per dirla con le parole dello scrittore peruviano Carlos Castaneda ( 37).

E’ una esperienza decisiva ed insostituibile di dilatazione della coscienza, di rottura di equilibrio, di rigenerazione per giungere ad un equilibrio nuovo. E’ la fase della immersione nel caos per uscirne rivitalizzati e rigenerati in una forma nuova.

Sul piano di un Amore più alto, esso è contemplazione del bello spirituale, quale emanazione e ornamento dell’Uno. Questa dimensione estetica, ornamentale del Bello rispetto all’Uno nella concezione neoplatonica del ‘400 ricorda, in modo significativo, la concezione indiano-tantrica della Shakti, intesa quale “splendente veste di potenza del divino”di cui ha parlato l’orientalista Filippani Ronconi (38). In tutte le tradizioni spirituali, occidentali ed orientali, vi è questo significato comune di un Principio che ha una sua manifestazione che è Potenza e, al tempo stesso, è bellezza. Nel tantrismo indiano – cui appartiene anche la corrente spirituale del buddhismo Vajrayana (39) – questo profilo di Potenza e Bellezza è particolarmente sottolineato, ma non è esclusivo di questa tradizione.

L’approfondimento della speculazione neoplatonica quattrocentesca assurge quindi al piano universale dei significati intertradizionali, del Bello e della Potenza quali manifestazioni dell’Uno, secondo canoni tipici di una certa speculazione indiana.

Ciò vuol dire che – ed è questo il punto centrale – l’elevazione dell’uomo al divino non può prescindere dall’apporto vivificante e creativo dell’Energia del Femminile inteso come principio cosmico. E’ una Energia che va integrata, che va accolta ed armonizzata, poiché altrimenti non può esservi avvicinamento all’Uno, ma solo dualismo, quindi separazione, disarmonia e conflitto.

L’Amore, quindi, come contemplazione della bellezza spirituale è una Via di apertura verso la Trascendenza e di contatto unificante con la Trascendenza.

In Metafisica del Sesso J. Evola ha illustrato la concezione dell’Eros quale via per la trascendenza, percorso di superamento di una condizione umana ordinaria. E comunque, aldilà della dimensione misterica ed iniziatica, già in sede di psicologia dell’amore, il filosofo romano illumina la dimensione dirompente, creativa e rigenerante dell’esperienza dell’innamoramento sulla quale, peraltro, esiste tutta un’ampia letteratura, anche con riferimento alle sue insidie su cui Ficino si sofferma con attenzione (40).

I neoplatonici del ‘400, nell’evocare le Muse ispiratrici e protettrici delle arti – articolazioni ed aspetti diversi del dominio di Minerva – e nell’evocare l’Idea di una grande riforma spirituale in Occidente, posero al centro ed al vertice della loro speculazione la riflessione sull’Amore quale Via di ricerca interiore per pervenire alla visione dell’Uno. Così facendo rinverdirono la tradizione platonica, arricchita e vivificata dall’ apporto della speculazione plotiniana nonché, com’è probabile, dal contributo della filosofia arabo-persiana di Shorawardi che influenzò la formazione di Gemisto Pletone, filosofo e mistico che solo da poco – ed è questo il fatto nuovo – in Italia si comincia a studiare e a riscoprire.

NOTE

1) Per impulso spirituale intendo un profilo specificamente misterico, profondo, quale è costituito dalle evocazioni rituali che si colgono negli Inni religiosi di Giorgio Gemisto Pletone. Più in generale, le dottrine tradizionali conoscono una facoltà conoscitiva dell’uomo che è metarazionale, nel senso che essa non annulla la ragione, ma la supera e la comprende. Guénon ci ricorda l’intuitio intellectualis della Scolastica. Al riguardo v. R. Guénon, Il regno della quantità ed i segni dei tempi, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1969 (ora: Adelphi, Milano, 2001). Analogamente, la concezione greca del noùs si riferiva a questa capacità di intuizione profonda, intesa come chiarezza interiore illuminatrice. Al riguardo, cfr. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 2006, con un saggio introduttivo di Claudio Risé, appendici di Alessandro Grossato.

2) Per impulso intellettuale intendo invece la sollecitazione costituita dalla speculazione filosofica, di elaborazione del pensiero come riflesso dell’intuitio intellectualis. E’ la concezione greca del Logos come funzione ordinatrice, che etimologicamente significa “ragione” ma anche “parola, discorso”. In questo senso, il Logos non è lo Spirito, ma è il riflesso, l’articolazione dello Spirito nell’uomo. Al riguardo, cfr. M. Scaligero, Manuale pratico di meditazione, Tilopa, Roma, 1985; Tecniche di concentrazione interiore, Mediterranee, Roma, 1988.

3) G.G. Pletone, Trattato delle Virtù, Ed. Raffaelli, Rimini, 1999;ID., Sulle differenze fra Platone ed Aristotele, Ed. Raffaelli, Rimini, 2001.

4) Sulla formazione di Pletone cfr. Moreno Neri, Introduzione al Trattato delle virtù, cit., pp. 9-30.

5) H. Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano, 1991, pp.213-228.

6) Id., op. cit., pp. 216-219. Cfr. il saggio di A. Panaino, Da Zoroastro a Pletone. La prisca sapientia. Persistenze e sviluppi, in AA.VV., Sul ritorno di Pletone, Raffaelli Editore, Rimini, 2003, pp. 105-118.

7) M. Ficino, Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone (a cura e con prefazione di G. Rensi), Lanciano R. Carabba Editore, 1934, pag. 31.

8) Cfr. Storia dell’Arte italiana, Vol. III , Edizioni Electa, 1988, pp. 82-85.

9) Vedi in particolare gli studi di storia e di filosofia dell’arte concernenti l’influenza neoplatonica sull’arte del Botticelli. Cfr., Sandro Botticelli e la cultura della cerchia medicea, in Storia dell’arte italiana, II, diretta da G.Bertelli, G.Briganti e A.Giuliano, pp. 292-299. Cfr. Anche E. Zolla, Aure. I luoghi e i riti, Marsilio, Venezia, 1996, con particolare riferimento ai santuari neoplatonici sui Monti Cimmini ed all’arte simbolica ed esoterica del periodo quattrocentesco e rinascimentale.

10) H. Corbin, op. cit., pp.225-227.Cfr. Le osservazioni di A. Panaino, Da Zoroastro a Pletone, in AA.VV., Sul ritorno di Pletone, cit., p. 110 ss.

11) M. Ficino, Sopra lo Amore, cit., Proemio, p. 15.

12) Cfr. Moreno Neri, Introduzione al Trattato “Delle differenze fra Platone e Aristotele”, cit. , pp. 9-33.

13) Sull’Accademia neoplatonica di Rimini cfr. Moreno Neri, Il sogno di Gemisto Pletone, in Atti del Convegno di Studi “Simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia”: Il Tempio dei Malatesta: ermetismo e platonismo nel Rinascimento, Rimini, 13 ottobre 2001, ora in wwww.imperobizantino.it. Cfr. anche Id., Presentazione del Trattato delle Virtu‘ di G.Pletone, Rimini, 1999, ora sul sito telematico del G.O.I.M.(Grande Oriente d’Italia).

14) Sull’Accademia Romana fondata e diretta da Pomponio Leto, cfr. Id., loc. cit. Cfr. anche R. Del Ponte, Il movimento tradizionalista romano nel Novecento: studio storico preliminare, Sear, Borzano, 1987.

15) Sull’Accademia Alfonsina di Napoli e la successiva Accademia Pontaniana cfr. M. Neri, Conferenza di presentazione del Trattato delle Virtù di G.Pletone, cit.

16) Sul rinnovamento della cultura italiana nel ‘400, cfr. S. Gentile, Commentarium al Convivium de amore/El libro dell’Amore di M. Ficino, Letteratura italiana, vol. I , Einaudi, Torino, pp.743-765. Cfr. il sito www.voyager.it. della omonima trasmissione televisiva. In particolare cfr. la scoperta dell’America, a cura di S.Giacobbo, 1° dicembre 2008.

18) Cfr. Moreno Neri, op. cit.

19)Cfr. R. Del Ponte, Il movimento tradizionalista romano in Italia, Ed. Sear, Borzano, 1987.

20) Cfr. la prefazione di Giuseppe Rensi al testo di Marsilio Ficino, cit., p.5.

21) Id., op. cit. p.6.

22) M. Ficino, op.cit., p. 18 ss.

23) M. Ficino, op. cit. 25.

24) Sulla concezione platonica del Demiurgo, cfr. A. Bortolotti, La religione nel pensiero di Platone: dalla Repubblica agli ultimi scritti, Olski, Firenze, 1981. Sulle fonti del pensiero di Marsilio Ficino – da Platone a Plotino, da Porfirio a Proclo – cfr. S. Gentile, op.cit., pp.756-760 e bibliografia ivi. Si noti che nell’opera del Ficino, in nessuna delle sette orazioni compare la citazione di Plotino mentre è citato quel Pseudo-Dionigi l’Aeropagita che aveva divulgato il pensiero plotiniano.

25) Sui rapporti fra neoplatonismo plotiniano ed Oriente, cfr. Plotino e il neoplatonismo in Oriente e in Occidente, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 5-9 ottobre 1970), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1974; S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Laterza, Bari, 1990-94; M. Luisa Gatti, Plotino e la metafisica della contemplazione, Ed. Vita e pensiero, Milano, 1996; G.Reale, Plotino e il neoplatonismo pagano, Bompiani, Milano, 2004.

26) M. Ficino, op.cit., pp. 31-32. Sulla concezione indo-iranica del dio Mithra, sulle sue funzioni, sui suoi sensi simbolici, cfr. P. Filippani Ronconi, Zarathustra e il Mazdeismo, Edizioni Irradiazioni, Roma, 2007. Sulle peculiarità del dio Mithra nel mondo classico greco-romano, cfr. S. Arcella, I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica, Ed. Controcorrente, Napoli, 2002.

27) Cfr. Massimo Scaligero, Manuale pratico di meditazione, cit., pp. 79-82,118 ss; 125 ss.

28) M.Ficino, op.cit., p.36

29) Id., op.cit., p. 67.

30) Id., op.cit., p. 68

31) Id., op.cit., p.70 ss.

32) Cfr. le osservazioni di G. Rensi nella prefazione all’opera del Ficino.

33) M.Ficino, op.cit., p.118

34) Id., op.cit. p. 120

35) Id., op.cit., p. 128

36) Platone, Simposio, tr. it. Adelphi, Milano, 1992, p. 83.

37) C. Castaneda, A scuola dallo stregone, Astrolabio, Milano, 1970 (ora: Rizzoli, Milano, 1999); Viaggio a Ixtlan, Astrolabio, Milano, 1973; Una realtà separata, Astrolabio, Milano, 1986; Gli insegnamenti di don Juan, Milano, Rizzoli, 2003.

38) P. Filippani Ronconi, Le Vie del Buddhismo, Ecig, Genova, 1986, p. 109 ss.

39) P. Filippani Ronconi, op.cit., p. 109 ss. Cfr. anche Canone Buddista. Discorsi brevi, a cura e con Introduzione di P. Filippani Ronconi, UTET, Torino, 2004.

40) J. Evola, Metafisica del Sesso (con un saggio introduttivo di Fausto Antonini), Mediterranee, Roma, 1996.

* * *

Il presente saggio è ora pubblicato in La nostalgia del paradiso, Annali di Eumeswil, n.1, nuova serie, Editrice La Meridiana, Firenze, maggio 2010.

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  1. Moreno Neri
    | Rispondi

    Articolo molto interessante. Dove si può reperire la versione cartacea degli "Annali di Eumeswil" n. 1? Ne ho bisogno per poterli citare e inserire nella bibliografia del mio prossimo (si fa per dire) "Pletone / Tutti gli scritti".

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