La fiaba nera di Potere e Psiche

Nelle pagine gustosissime del suo capolavoro Il Maestro e Margherita, Mikhail Bulgakov ci descrive Lucifero nelle improbabili vesti di Voland, un professore straniero esperto di discipline esoteriche e magia nera che, comparso improvvisamente per le strade della Mosca staliniana accompagnato da una scombinata combriccola di aiutanti, si fa prontamente beffe dei notabili del Partito e delle contraddizioni insite nel sistema sovietico. Un tema, quello del Diavolo insediato al Cremlino, che dai tempi di Valerij Brjusov e Dmitrij Merezkovskij percorre l’anima russa, inestricabilmente intessuta di tenebra secondo l’ammonimento di Dostoevskij, al pari di una vena segreta e puntualmente riaffiora in superficie, come accade ad esempio nella spy story Il montaggio di Vladimir Volkoff, da poco riproposta da Stenio Solinas nella sontuosa edizione Settecolori, dove l’Oscuro Sire assume le sembianze di un agente del KGB, che irretisce il protagonista Aleksandr Psar in terra consacrata per guadagnarlo alla causa della Grande Madre Russia nell’eterna lotta contro il nemico di sempre.

Psicologo di chiara fama, docente universitario prima a Roma e poi nella sua Firenze, una lunga e accreditata esperienza di ricercatore condotta in Russia sulle orme del suo maestro Lev Semenovic Vygotskij al quale ha dedicato importanti studi, Luciano Mecacci ha, per ragioni professionali prima che artistiche, una naturale dimistichezza con il lato in ombra della nostra coscienza e con le epifanie di quella forza arcana che, come direbbe Goethe, desidera ardentemente il Male operando tuttavia per il Bene. Uomo di scienza segnato da una vena letteraria quantomai prolifica, Mecacci è noto al grande pubblico soprattutto per La Ghirlanda fiorentina, libro magnifico pubblicato da Adelphi nel quale, con il sostegno di un’impressionante mole di documenti resa tuttavia godibile dal taglio romanzesco della narrazione, ha ricostruito nel dettaglio, come in un racconto poliziesco, gli antefatti che hanno portato nel 1944 alla morte di Giovanni Gentile per mano di Bruno Fanciullacci, smascherando i silenzi interessati, le connivenze e le doppiezze di tanti nomi illustri della futura intellighentzia democratica, solerti nel consegnare l’ingombrante filosofo loro mentore nelle mani dei suoi carnefici al fine di cancellare le tracce di una collaborazione fattasi compromettente sullo sfondo della Repubblica Sociale ormai prossima al tramonto. Congedatosi dagli impegni accademici, l’Autore torna ora al suo mai dimenticato amore e, nel dare alle stampe Lo psicologo nel Palazzo per i tipi della neonata casa editrice veneziana Palingenia, ha attinto a piene mani al pozzo delle anime della cultura russa, riportando alla luce la vicenda dimenticata di Vladimir Bechterev (1857 – 1927), il neurologo e psichiatra sovietico, fautore di un’avveniristica teoria sui meccanismi di condizionamento della mente umana, considerato da più parti come il vero architetto del monumentale impianto repressivo dello Stalinismo.

Collaboratore di Ivan Pavlov, nel saggio “La suggestione e il suo ruolo nella vita sociale”, apparso nel 1899, lo studioso russo si dichiara convinto, in largo anticipo rispetto alle omologhe riflessioni elaborate da Carl Gustav Jung, della possibilità di applicare gli esiti delle ricerche relative ai riflessi condizionati su scala sovraindividuale, essendo a suo dire le masse governate nel profondo da un’energia psichica dotata di vita propria che, opportunamente sollecitata da stimoli esterni volti a ridestare la sopita forza evocativa degli archetipi, può essere governata e indirizzata al conseguimento di mète prestabilite. Una tesi le cui implicazioni politiche e ideologiche connesse al tema della mobilitazione totale della società, non sfuggono all’inquilino più illustre del Cremlino che nella notte di Natale del 1927, all’indomani di un importante convegno di neurologia tenutosi Mosca, invita lo psichiatra alla propria tavola. Quello descritto da Mecacci è l’incontro tra due personalità decisamente fuori dal comune. Bechterev ha un’altissima considerazione di sé, tanto da affermare di essere il solo, insieme a Dio, capace di comprendere l’intima struttura del cervello e l’organizzazione esatta dei processi cognitivi. Ammesso alla presenza di Stalin, si rende conto che il suo illustre interlocutore è ossessionato da una visione estetica prima che politica. Egli, più che un rivoluzionario si considera un artista, deciso a dare corpo all’ingiunzione di Lenin secondo il quale è necessario sognare, anche se, nel piano finalizzato alla creazione dell’Uomo Nuovo agognato dal Bolscevismo giunto al potere con l’Ottobre Rosso, il solo sogno ammesso è il suo e non vi è spazio alcuno per l’eresia. Tra i due commensali s’instaura un gioco di specchi e proiezioni difficilmente decifrabile che non può non richiamare alla memoria il dialogo tra Cristo e il Grande Inquisitore immortalato da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov. Ciò che lo Scienziato realizza nella propria immaginazione, il Demiurgo pretende d’imporlo sulla scena della Storia mondiale, avendo come tela un’intera sterminata nazione e come pubblico gli abitanti di tutto il pianeta, che deferenti mormorano il suo nome in centinaia di lingue diverse. Un confronto impari, al quale Bechterev non sarebbe sopravvissuto.

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Luciano Mecacci, Lo psicologo nel Palazzo, Palingenia Editrice, Venezia 2024; pag. 344 € 29,00.

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