La dea bendata

I libri di Leonardo Magini[1] hanno il pregio dell’originalità senza mai sconfinare nella pura fantasia disancorata dalle fonti documentarie, anzi riesce a darcene una lettura meno superficiale restituendo il giusto risalto a particolari spesso sottovalutati.

Questo è l’ultimo frutto di un lavoro di ricerca e studio durato circa tre lustri che interseca i dati forniti dalla ricerca storiografica, archeologica, dalla letteratura storico religiosa ed etno-antropologica con quelli ricavati dalle fonti classiche.

Come si evince dal titolo il mito etrusco-romano di Fortuna e le infinite manifestazioni dello sciamanesimo sono i due poli di questa ricerca: da una parte, l’opera della Dea che sovrintende le sorti degli umani; dall’altra le azioni del taumaturgo al quale ricorrono per aiuto i popoli di tutto il mondo. Tratti sciamanici sono evidenziati in personaggi quali Caco, Ceculo e Coclite.

Qui mi piace ricordare il mito rappresentato nello specchio di Bolsena conservato al British Museum di Londra palesato dal Magini grazie al confronto con i miti dell’India sanscrita. Solitamente le descrizioni di detto specchio si limitano all’elencazione dei personaggi presenti: i noti Cacu e i fratelli Caile e Avle Vipinas (Caco e i fratelli Celio e Aulo Vibenna) e l’altrimenti ignoto Artile.

“Nell’India vedica si conosce il mito della liberazione della quaglia da parte degli Aśvin, i gemelli divini… legati, secondo l’interpretazione corrente, al Cielo e alla Terra, al giorno e alla notte. La quaglia che essi liberano dalla gola del lupo sarebbe l’aurora, la luce inghiottita in precedenza e rinchiusa nella caverna”.[2]

“Ecco, allora, che il ricordo di un antico adagio latino – ‘la cornacchia non ha niente a che spartire con la lira’ – consente di interpretare il mito rappresentato nello specchio etrusco. Dotata di malitia e di perfidia, la cornacchia Cacu ha fatto prigioniera la quaglia Artile, il ‘giovane di tipo apollineo, intento a suonare la lira’: qui Cacu ha preso il posto del lupo indiano e Artile rappresenta l’ordine del cosmo e l’armonia dell’universo nell’immutabile alternarsi dei giorni e delle notti, degli inverni e delle estati. A loro volta i fratelli Vipinas hanno preso il posto dei loro omologhi divini Aśvin e liberano Artile da Cacu, cioè la quaglia dalla cornacchia. Quest’ultima rappresenta il caos, il disordine primordiale” (pp. 33-34).

Non poteva mancare in questo libro Praeneste, città fondata da Ceculo, con il santuario, celebre già nell’antichità, di Fortuna Primigenia creato da Numerio Suffustio. Da notare che il nome Suffustius dovrebbe valere come “(Quello) dell’ottimo auspicio”.

Buona parte del volume è naturalmente dedicato a Servio Tullio la cui vita è regolata da Fortuna già dal suo concepimento. Ci possiamo solo soffermare a segnalare che l’Autore nella costituzione serviana individua la pitagorica armonia delle sfere sociali riscontrandone gli stessi rapporti numerici[3].

Il dossier Fortuna ricorda anche Tanaquilla che seppe interpretare l’auspicio manifestato dall’aquila che tolse il pileo dal capo del marito Lucumone, il futuro Tarquinio Prisco, per riporvelo dopo aver volteggiato nel cielo.

Paolo Festo ricorda che “arrivata a Roma, venne chiamata Gaia Cecilia – fu donna di tale qualità che le novelle spose usano assumerne il nome in segno di buon augurio”. [4]

Del resto, in consonanza con la tradizione romana, “il nome stesso di Tanaquilla viene a equivalere – letteralmente e metaforicamente – al latino lanifica ‘tessitrice’, che è il suo maggior titolo di gloria, assieme agli altri due – di prolifica, ‘prolifica’, e di domiseda, ‘che dà calma alla famiglia’. Tre titoli che – come è facile intuire e come si confermerà subito – fanno della futura regina romana il prototipo di ogni sposa” (p. 172).

Non prive d’interesse sono le considerazioni sulle festività che il calendario romano dedica a Fortuna, alcune delle quali in relazione con Venere. Magini termina la sua esposizione occupandosi del trionfo ripercorrendo il percorso del corteo trionfale.

Il volume è riccamente corredato di materiale iconografico a integrazione del testo e di tavole esplicative della costituzione serviana e dei rapporti armonici pitagorici. Un libro da meditare e consultare che avrebbe meritato un adeguato indice analitico.

* * *

LEONARDO MAGINI, La Dea bendata. Lo sciamanesimo nell’antica Roma, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2008, pp. 260, € 18,00.

[Pubblicato in: “Arthos”, XII, n.s., 18, 2009, pp. 89-90]

Note


[1] Tra gli altri ricordiamo: L. MAGINI, Astronomia etrusco-romana, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2003, cfr. la ns. Rassegna bibliografica, in “Arthos”, n.s., 12, 2004, [pp. 247-253], pp. 252-253; L. MAGINI, L’Etrusco, lingua dall’oriente indoeuropeo, prefazione di M. Negri, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2007, da noi recensito ne “La Cittadella”, a. VII, n.s., 29, genn.-mar. 2008, pp. 77-79.

[2] J. CHEVALIER – A. GHEERBRANT, Dictionnaire des Symboles, Laffont, Parigi 1988, sv. Caille.

[3] Cfr. anche, in forma più estesa, L. MAGINI, L’armonia delle sfere sociali o la costituzione pitagorica di Servio Tullio, in “Quaderni Warburg Italia”, nn. 2-3, 2004-2005, pp. 417-489.

[4] 85.3.

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Nato a Prato nel 1953. Collabora alle seguenti riviste di studi storici e tradizionali: Arthos; La Cittadella; Vie della Tradizione; ha collaborato a Convivium ed a Mos Maiorum. Socio della Società Pratese di Storia Patria; dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri e del Centro Camuno di Studi Preistorici. E' stato tra i Fondatori del Gruppo Archeologico Carmignanese.

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